La polizia militare russa in Siria

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All’inizio del mese, nel governatorato di Idlib in Siria, c’erano 29 russi circondati dai combattenti del fronte ribelleTahrir al-Sham (Mosca li identifica ancora con il loro vecchio nome, Jabhat al-Nusra) (http://www.ua-time.com/2017/09/30/usa-russia-tensioni-in-siria/).

La Russia ha risposto con particolare stravaganza: il sottomarino da attacco Veliky Novgorod ha inviato contro gli assedianti missili da crociera Kalibr, e, mentre i jet da combattimento Su-25 continuavano a piroettare e bombardare il territorio occupato dai ribelli, gli elicotteri che trasportavano i comandanti siriani e russi (compresi i capitani delle operazioni speciali) si adoperavano per asportare i soldati rimasti intrappolati. Nell’operazione sono rimasti feriti solo tre soldati russi. La novità di questo plotone d’azione è stata che non si trattava di forze speciali Spetsnaz, bensì erano membri della Voennaya poliziia, la polizia militare russa.

Questa forza militare è stata formata nel 2011, ma ormai è composta da un forte gruppo di 20.000 uomini, sempre più professionali. Con i loro berretti rossi e bracciali neri, sono addetti ad affrontare la criminalità e l’indisciplina nei vari ranghi militari, una necessità a lungo discussa in Russia. Ora, sotto il capo Vladimir Ivanovskii, responsabile della Direzione principale della polizia militare del Ministero della Difesa, la loro efficacia è ancora oggetto di qualche dibattito pubblico, soprattutto perché non hanno alcun reale ruolo per indagare i massicci livelli di corruzione e appropriazione indebita dei militari; tuttavia, come sta dimostrando il loro crescente ruolo in Siria, rappresentano un diverso volto dell’esercito russo e un potenziale strumento di robusto soft power.

Il primo impiego della polizia militare in Siria è avvenuto nel dicembre 2016, con una forza di ceceni, coinvolta in gran parte nel cosiddetto “Kadyrovtsy” – le forze di sicurezza leali al forzuto repubblicano, Ramzan Kadyrov. Anche se alcuni hanno sostenuto che il loro numero fosse al massimo di 500 unità, la loro vera forza probabilmente era poco meno di 400. I ceceni hanno ricoperto vari ruoli, come la sicurezza dei convogli e le missioni di distribuzione degli aiuti nelle rovine di Aleppo.
I ceceni sono stati impiegati per la loro predisposizione a trovare un terreno comune con i locali, principalmente per la loro fede musulmana, ma la loro presenza ha nascosto anche due calcoli più cinici: a Mosca, trattandosi di soldati etnici russi, hanno rappresentato un bene perché hanno tenuto “nascosto”il numero delle “vittime russe”; a Grozny, hanno disegnato un segno di fedeltà. Kadyrov, dopo l’imbarazzante omicidio a Mosca del politico dell’opposizione Boris Nemtsov, è considerato con sospetto e preoccupazione dall’élite della sicurezza russa; ma in questo modo, lui ha potuto dimostrare il suo valore a Vladimir Putin e giustificare anche il suo continuo controllo sulle truppe di sicurezza della Cecenia.

Le forze cecene sono state ritirate nel mese di marzo 2017, il loro ritorno a casa è stato in parte sopperito con un battaglione di polizia militare della vicina Inguscezia. Le truppe ingush, particolarmente in evidenza nella difesa della base aerea di Hmeymim e di Damasco, tra cui alcuni combattimenti a fianco delle truppe dell’esercito arabo siriano nel quartiere Jobar, hanno rappresentato anche un motivo di politica di casa: il leader di Inguscezia, Yunus-bek Yevkurov, accuratamente consapevole che le ambizioni di Kadyrov sono quelle di estendere la sua autorità (fino al 1992 c’era unione tra Cecenia e Inguscezia), ha voluto anche lui dimostrare il suo valore e lealtà a Mosca.

In Siria, è stata la prima volta che la Russia ha dispiegato la polizia militare all’estero. L’esperimento è stato chiaramente considerato un successo, ma ora Mosca sta impiegando le unità di polizia militare senza alcuna particolare identità etnica. A luglio, in Siria operavano quattro battaglioni per un totale di quasi 1.200 effettivi. Le loro missioni primarie sono di fornire sicurezza al personale delle strutture russe, nonché creare punti di controllo e stazioni di osservazione che dirigono e osservano le zone di “de-escalation”, in linea con l’accordo raggiunto nel mese di maggio in Kazakistan tra la Russia, l’Iran e la Turchia.
Secondo molte fonti, la polizia militare sembra essere relativamente efficace e professionale ed è probabile che venga mantenuta in loco. Le unità di polizia militari offrono a Mosca diversi specifici vantaggi. Le unità sono costituite da professionisti volontari, quindi di facile impiego all’estero; ma significa anche che, quando le truppe professionali termineranno il loro turno di servizio, la loro preziosa esperienza che stanno acquisendo – particolarmente utile per la nuova forza – non verrà rapidamente dispersa. Il loro utilizzo è anche utile per la campagna pubblica nazionale ed estera di una guerra che non è particolarmente popolare in casa (in una recente indagine, il 50% degli intervistati ha chiesto il ritiro delle forze russe dalla Siria).


La presenza e le attività della polizia militare sono state fortemente sfruttate per il consumo interno, non solo per giocare nell’agenda militarista e nazionalista dei media controllati dallo Stato, ma anche per suggerire che il ruolo russo è umanitario e relativamente gratuito. E, mentre la maggior parte delle vittime dei combattimenti sono state addossate alla forza pseudo-mercenaria “Wagner” (che in realtà è un fronte del governo, infatti si tratta di truppe quasi esclusivamente russe, le cui perdite non devono essere riconosciute da Mosca), il ruolo della polizia militare assolve anche le preoccupazioni pubbliche, che i loro ragazzi “non muoiono in una guerra di cui poco ci preoccupiamo”.

Infine, l’uso della polizia militare consente a Mosca, se si rendesse necessario, di usare soldati che sono in grado di combattere, anche se il loro ruolo primario non è quello di essere sulla linea del fronte. La Russia come agente di anarchia a livello globale, in molti paesi viene spesso considerata in termini essenzialmente negativi; tuttavia, l’uso di forze come la polizia militare, che hanno anche un ruolo potenzialmente positivo, oltre che umanitario, è considerato come un modo in cui il Cremlino sta bilanciando la sua forza bruta con il soft power. È dall’inizio degli anni ’90, che il Cremlino sta esplorando per strumenti illegittimi o legittimi di influenza coercitiva. Negli anni ’90, si è basato sui guerrieri proxy, come i ribelli in Transnistria, spesso per creare in modo preciso una situazione in cui si potevano schierare i “peacekeepers” russi. La 15a Brigata meccanizzata indipendente della Russia, con sede a Samara, è designata come una forza di peacekeeping specializzata, anche se la presenza di elementi della 15a nel Donbas durante l’inverno 2014 e la primavera del 2015 fa nascere il dubbio se ciò in pratica possa significare qualcosa. Tuttavia, questi elementi sono stati dispiegati in Bosnia e in Kosovo e un battaglione è ancora presente nella Transnistria.

Dal momento che Putin è salito al potere nel 2000 e a mano a mano che la sua politica è diventata sempre più aggressiva, la scelta di questa forza è diventata una priorità crescente e si è inserita nell’approccio più variegato di “mobilitare un’ampia gamma di strumenti diversi”, sia per l’hard che per il soft power. I proxy, spesso utilizzati dai signori della guerra e i gangster, come in Georgia nel 2008 e in Ucraina dal 2014, sono di limitata efficacia operativa e anche difficili da controllare. La creazione di organizzazioni pseudo-mercenarie, in primo luogo i “Corpi slavi” e poi “Wagner”, è appunto destinata a formare forze in grado di operare con un minimo livello di negazioni sia per il mondo esterno che per la popolazione della Russia. In questo contesto, mentre la polizia militare è innanzitutto esattamente ciò che sembra – una risposta necessaria nei confronti di una necessità all’interno delle forze armate russe – fornisce anche un’altra fonte di «potenza morbida e debole».

Oltre che fornieri di legge, ordine e sicurezza, svolgono anche attività di combattimento e la loro presenza, può anche – se si lavora con calcoli molto spietati – giustificare l’invio di una forza militare più convenzionale, se dovessero essere sottoposti ad una minaccia.
Certamente l’incidente descritto in precedenza in Siria è stato usato come pretesto per un massiccio e molto ampio assalto militare che, secondo le fonti russe, ha ucciso centinaia di ribelli, tra cui cinque comandanti. Ma ha anche acquisito una dimensione geopolitica, in quanto i media russi, affermando che gli americani hanno il controllo del Fronte al-Nusra e che l’attacco è stato “avviato da servizi segreti statunitensi per bloccare il successo delle truppe governative ad est di Deir ez-Zor”, non hanno perso tempo per incolpare Washington dell’attacco alle loro forze.

Nel frattempo, i russi sono arrabbiati per la morte del generale Valery Asapov nei bombardamenti vicino a Deir ez-Zor, che il vice ministro degli esteri, Sergei Ryabkov ha definito “il prezzo pagato con il sangue per l’ipocrisia della politica americana in Siria”. La combinazione di questi elementi ha trasformato la polizia militare nei bambini del poster della “missione di assistenza” russa al Medio Oriente.
Ci sono delle speculazioni che ora la polizia militare presto riceverà la propria serie televisiva, un suono che vuole unire gli US blockbusters NCIS e le unità russe: sarà tutta da vedere!

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