La protesta dilaga in Kazakistan e il governo si dimette

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Da giorni monta la rabbia tra i cittadini per l’aumento del prezzo del gpl. Il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha ‘defenestrato’  Nazarbayev e ha chiesto a Mosca di intervenire per aiutare il Paese. Le forze di pace del CSTO hanno annunciato l’invio di truppe.

AGI – È stato anche oscurato Internet in Kazakistan dove da tre giorni vanno in scena le più importanti proteste nella storia post-sovietica del Paese e adesso il rischio è che cali il sipario su quanto sta accadendo. Da giorni monta la rabbia per l’aumento del prezzo del gpl; dopo che i manifestanti hanno preso d’assalto e dato fuoco a edifici amministrativi e dopo che il governo si è dimesso, è stato decretato lo stato di emergenza in tutto il Paese.

Il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha anche ‘defenestrato’ il ‘padre della nazione’, Nursultan Nazarbayev, dalla guida del Consiglio di Sicurezza; dopo aver governato con il pugno di ferro per trentanni il Paese, Nazarbayev, alleato chiave del presidente russo Vladimir Putin, si era dimesso nel 2019 ma ancora manteneva saldamente il controllo sul Paese; ora che il suo ‘delfino’ lo ha allontanato, se ne ignora la sorte.

Il presidente Tokayev ha chiesto a Mosca di intervenire per aiutare il Paese a reprimere le proteste, organizzate secondo lui da “gruppi terroristi”.

“Ho fatto appello ai capi degli stati del CSTO (l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) per aiutare il Kazakistan a sconfiggere questa minaccia terroristica”, ha detto in un intervento alla televisione di stato. Secondo Tokayev, i gruppi di terroristi che organizzano le proteste sono state “ampiamente addestrate all’estero”. 

 CSTO invia truppe per “normalizzare situazione”

Le forze di pace del CSTO, l’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, composta da sei ex repubbliche sovietiche e guidata da Mosca, verranno inviate in Kazakistan su richiesta del presidente Kassym-Jomart Tokayev. Lo ha annunciato il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, presidente di turno dell’Organizzazione.

La decisione, ha spiegato, è stata presa dal Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO. Le forze di pace resteranno in Kazakistan “per un periodo limitato di tempo, con l’obiettivo di contribuire a stabilizzare e normalizzare la situazione nel Paese”.

 

Tokayev ha assicurato una risposta “ferma” alle manifestazioni che hanno pochi precedenti in un Paese ricco di petrolio e gas, locomotiva economica dell’Asia centrale ma in cui si misurano crescenti disuguaglianze sociali. Le dimissioni del governo e la ‘defenestrazionè di Nazarbayev segnano due importanti concessioni ai manifestanti, ma la crisi minaccia di destabilizzare il Paese, la più grande delle Nazioni nate dalle ceneri dell’Unione Sovietica, Russia esclusa, l’ultima ad aver dichiarato l’indipendenza dal suo scioglimento, il 16 dicembre 1991.

Il presidente kazako aveva in precedenza decretato lo stato di emergenza e il coprifuoco di due settimane nella regione occidentale del Mangistau, ad Almaty, la città più grande del Paese, e nella capitale, Nur-Sultan; limitati gli assembramenti e limitata la circolazione. Parlando in russo alla nazione, Tokayev ha poi promesso riforme e rivolto un appello “a mostrare prudenza e a non soccombere alle provocazioni interne ed esterne”.

Ma per ora non è bastato. Nonostante il Kazakistan occidentale sia ricco di petrolio e gas, la qualità della vita è generalmente inferiore alla capitale, Nur-Sultan, e alla capitale economica, Almaty. Le tensioni economiche sono aumentate con la pandemia. Le strade sono in molte zone in cattive condizioni, i servizi pubblici al di sotto degli standard e poichè il cibo deve essere trasportato su grandi distanze, spesso può diventare più caro che nei centri urbani più ricchi.

Il Paese possiede sterminate risorse minerarie – il 60% di quelle dell’ex Unione Sovietica – tra cui ferro, carbone, petrolio, metano e diversi metalli usati nell’elettronica e nella missilistica; ed è un importante produttore di petrolio e gas, ma anche di uranio, il materiale radioattivo utilizzato nelle centrali nucleari (l’anno scorso ne ha estratto il 40% della produzione mondiale). Risorse che ne fanno la prima economia dell’Asia centrale, nonchè il più importante produttore ed esportatore di petrolio nell’ambito della Comunità di Stati indipendenti. 

Le proteste, che in tre giorni hanno brandito richieste sempre più politiche, sono nate da una esigenza molto concreta: la riduzione del prezzo del Gpl alle stazioni di servizio, il carburante più usato per le auto nel Paese. Partite il 2 gennaio dalle città di Zhanaozen e Aqtau, nella regione occidentale di Mangistau, le manifestazioni sono dilagate in tre giorni in diverse zone del Paese. Martedì sera sono arrivate ad Almaty, capitale economica, dove circa 5 mila persone hanno marciato nelle strade e sono state poi disperse dalla polizia con lacrimogeni e granate stordenti.

Poche ore dopo, manifestanti hanno occupato diversi edifici pubblici nella città e preso il controllo anche dell’aeroporto, che ha cancellato tutti i suoi voli. A causare il contestato aumento è stata la decisione del governo di porre gradualmente fine ai sussidi sui prezzi del carburante alla pompa di benzina e consentire, così, al mercato di dettare i prezzi. Il processo, iniziato a gennaio 2019, si è concluso sabato scorso, comportando un sostanzioso aumento dei prezzi, in particolare laddove la domanda di Gpl è elevata.

È il caso appunto della regione di Mangystau: in pochi giorni, i prezzi del Gpl nelle stazioni di servizio sono raddoppiati da 60 tenge (0,14 dollari) a 120 tenge (0,28 dollari) al litro. Il governo stima che il 70-90% dei veicoli nella regione vada a Gpl, una proporzione più alta che in molte altre parti del Paese. Tokayev martedì ha annunciato la riduzione del prezzo di un litro di Gpl a Mangystau da 120 a 50 tenge (0,11 dollari) per “garantire la stabilità del Paese”, ma non è riuscito a sedare le proteste.

Intanto il Cremlino segue attentamente quanto accade nel ‘cortile di casà. Il ministero degli Esteri ha fatto sapere di tenere d’occhio la situazione, ma il Cremlino ha assicurato che il governo kazako è in grado di gestire la situazione da solo, che non ha fatto richieste di aiuto e ha messo in guardia da “interferenze esterne”. La Farnesina segue la situazione da vicino e l’Unità di crisi ha raccomandato di “posticipare fino a nuovo avviso i viaggi non essenziali verso il Kazakistan, data l’attuale situazione di tensione”.  

 

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