La provincia o quel che essa fu

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Mi piace, sapete quando l’amarezza dell’aver saputo molto prima degli altri quale fosse il risultato di una certa azione diviene quasi un gongolante piacere? Si, è quello che mi assale in questi giorni quando sento certi nani non di rado assisi sugli scranni più alti, discettare sulla sorte dell’ente d’area vasta.
Non solo in Sicilia, dove si dovrebbe andare al voto il 30 giugno, ma anche nel resto d’Italia, nel Bel Paese che oggi è preda di certi selfisti da strapazzo.
C’è chi non le vuole, chi le vuole a elezione di secondo livello (perchè si sa il voto popolare è cosa da abborrire), chi preferirebbe darle in mano ai Prefetti, chi, ancora, vorrebbe ridisegnarle magari a forma di cuore che così son più belle.
Signori miei, la geopolitica non è una minestra che si può fare con qualsiasi verdura, è una scienza, anzi una Scienza, con la S maiuscola. I territori sono caratterizzati, soprattutto nella vecchia Europa, dall’esistenza di microsocietà, che in Italia hanno probabilmente la loro più perfetta definizione nei comuni. Comuni piccoli, anche piccolissimi, coincidenti spesso con l’estensione di una parrocchia, di una chiesa, una pieve…
Comuni di poche centinaia di abitanti ma forti di una loro identità spessisimo così distinguibile da quelle dei vicini aggregati dal non poter essere mai e poi mai aggregati. Se così non fosse perchè mai dovremmo tenere distinte Enna e Calascibetta? E perchè distinguere Adrano e Biancavilla, Caltanissetta e San Cataldo, Giardini e Taormina, Petralia Soprana da Sottana?
Parliamo di spending rewiev? Bene, accorpare i comuni costituirebbe un immediato guadagno in termini di gestione della cosa pubblica. 
Allora come governare questa fantastica atomizzazione umana? Semplicemente con un ente di area vasta. Cioè con la “provincia”. Ovvio, va ridisegnata, vanno ad essa ascritte competenze che oggi sono in mano a regioni ipetrofiche. L’ente di area vasta dovrebbe poter governare acqua e rifiuti, energia, protezione civile, pubblica istruzione e formazione, le strade di collegamento tra centri, la forestazione…
Le aree vaste vanno letteralmente separate delle aree ad alta densità abitativa, le cosiddette metropoli. Non ha senso tentare di amministrare insieme il mondo rurale montano e le piazze palermitane. Inoltre le aree vaste vanno ridisegnate non solo in onore all’omogeneità delle stesse ma anche in ragione dell’esistenza e del sostentamento a quel corredo minimo essenziale di infrastrutturazione sociale, culturale, sanitaria e di servizi che fanno “paese”. Non ha senso mettere in atto la politica di sviluppo delle aree interne (SNAI) se poi alle stesse aree interne chiudiamo scuole, tribunali, ospedali ed ogni presidio di legalità e di servizio.
Altrimenti, in nome della revisione di spesa (che sarebbe molto meglio chiamar così per capirci e farci capire) diciamocelo, sarebbe ben vantaggioso chiudere tutto e trasferirci tutti verso le quattro cinque città a far folla la domenica nei grandi magazzini.

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