La vecchiaia è tutt’altro che noiosa- Intervista a Patrizia Fortunati

Arte, Cultura & Società

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E chi l’ha detto che la vecchiaia è una fase della vita noiosa e che non riserva più novità e sorprese!? Ne abbiamo la conferma leggendo il romanzo “Puzza di morto a Villa Vistamare” di Patrizia Fortunati edito da Mursia. Protagonisti sono dei vecchietti simpatici e bizzarri che vivono intensamente le loro giornate ricche di avventure e colpi di scena in una residenza per anziani chiamata Villa Vistamare in cui succede di tutto.

Il romanzo comincia con la morte di uno degli inquilini, il visconte della Smeraldina, Giovanni Alfonso Maria. Il defunto è il nipote dell’antico proprietario della Villa, che, come il nonno prima di lui, ha deciso di donare un lascito contenuto in una busta sigillata.


Proprio dalla scoperta dell’esistenza di questa busta sigillata prenderanno vita una serie di equivoci, soap opera e indagini con protagonisti i simpatici vecchietti della residenza che non potranno fare a meno di far sorridere il lettore e ai quali sarà facile affezionarsi.

“Puzza di morto a Villa Vistamare” è un libro che si legge con tanto divertimento e piacere. Il merito è di Patrizia Fortunati che con un linguaggio semplice e scorrevole e con una spiccata ironia ha saputo narrare l’intera vicenda che rimane impressa nel lettore.

Questa simpatica storia ci insegna un nuovo modo di vedere la vecchiaia e la morte.  Di fatti i protagonisti del romanzo conducono le loro giornate animati da un’inedita speranza che è fonte di ispirazione per tutti noi e di cui ci parla l’autrice in questa esclusiva intervista.

 

Com’è nata l’idea di scrivere questo romanzo brillante e divertente ambientato in una residenza per anziani?

Ho sempre avuto una sana passione per la terza e quarta età, per quei “vecchietti” che la vivono non come fosse l’attesa del fine-corsa, ma come una parte del viaggio. E finché si viaggia, guai a non godersi il panorama. Mettere “i miei vecchietti” in una residenza per anziani è stata la scelta più naturale: quello è il luogo per eccellenza dove si aspetta la fine, ma si può anche decidere di continuare a vivere senza pensarci troppo o per niente e cercare ogni giorno un piccolo pretesto per “godersi il panorama”.

Quanto l’ha ispirata il suo rapporto speciale con i suoi nonni?

I miei nonni sono stati fondamentali nella mia vita. Ho avuto la fortuna di averli accanto – abbiamo abitato nello stesso palazzo fino alla mia adolescenza e poi comunque sempre molto vicini – e ho passato sempre moltissimo tempo con loro. Ho avuto anche la fortuna di poter godere della loro compagnia a lungo, perché entrambi hanno superato abbondantemente i novant’anni. E ci sono ancora, anche se mancano da tanti anni… ci sono ancora, moltissimo, anche in questo romanzo che infatti è dedicato a loro: a nonno Elio e nonna Osilia e a ricordi preziosi che mi hanno lasciato.

 

Ogni personaggio del suo romanzo è ben definito dal punto di vista psicologico. C’è uno al quale è particolarmente affezionata e perché?

Ovviamente sono affezionata a tutti “i miei vecchietti”: in ognuno di loro c’è qualcosa di mio e da ognuno loro spero di ereditare qualcosa per la mia terza età. Se proprio devo fare un nome, forse direi Peppino lo Sciancato con il suo inseparabile Ernesto Fumagalli: mi ha divertito molto raccontarlo, anzi raccontarli, lui e il pennuto!

I personaggi del suo libro vivono con la speranza che ogni giorno accada qualcosa di nuovo. Come potremmo definire questo tipo di speranza?

È la speranza di chi non si mette in un angolo ad aspettare la fine, di chi non si lascia vivere, di chi si alza al mattino per vedere cosa succede. Mio nonno a novant’anni si lamentava perché gli faceva sempre male un ginocchio e quando gli facevano notare che comunque alla sua età era normale avere qualche acciacco, lui rispondeva: “E beh, ora perché ho novant’anni non posso sperare di tornare in bicicletta?”.

 

Colpisce nel lettore la sua capacità di affrontare una tematica come la vecchiaia con ironia. Quanto è importante per lei questa dote nell’affrontare i periodi più difficili della propria esistenza?

Dico una cosa scontata affermando che l’ironia è un’arma importante, a volte potente, per campare meglio. È una banalità, ma è terribilmente vera. Strappare un sorriso, strapparsi un sorriso, ci rende un po’ più forti a parare i colpi della vita. Ovviamente, perché sia efficace, l’ironia deve essere declinata anche verso noi stessi.

Al giorno d’oggi si parla spesso di nonni e del ruolo prezioso e importante che svolgono nella cura dei nipoti all’interno della famiglia. Lei cosa ne pensa?

Io credo che i nonni debbano fare i nonni. Purtroppo capita spesso che esigenze economiche e sociali li costringano a occupare spazi che invece sono di pertinenza dei genitori ed è un vero peccato perché impedisce loro di godersi il tempo coi nipoti “da nonni” caricandoli di responsabilità che non dovrebbero essere le loro, e priva i bambini della possibilità di avere “nonni-nonni”. Insomma, i nonni sono e dovrebbero continuare a essere quelli che ti viziano, che ti raccontano della loro gioventù, che ti preparano la merenda più buona del mondo, che ti vengono a prendere il pomeriggio e ti tengono per mano. Data la loro età, sanno di avere poco tempo a disposizione da passare coi nipoti e questo tempo deve essere speso il più possibile in cose belle, in cose che lascino poi ricordi preziosi che durino tutta la vita.

A chi consiglia la lettura del suo libro?

Questo è un romanzo adatto a tutti perché fa bene a tutti pensare alla vecchiaia come a un momento ancora attivo della vita, in cui ne possono succedere ancora di cose belle. E poi, essendo un libro che vuol divertire, fa bene leggerlo perché strappa un sorriso e sorridere fa sempre bene.

Mariangela Cutrone

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