La vita e il destino

Arte, Cultura & Società

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Molti intellettuali, pensano che, la vita di una persona, sia “cosa” diversa dal “Destino”, tanto da dare, ad esso, di fronte ad un evento tragico, un senso inconsueto “all’inevitabile”.

E giù fiumi di concetti.

Personalmente, ritengo che, il percorso vitale di una persona, non dovrebbe mai essere scisso dal destino e, l’evento imponderabile, non dovrebbe mai essere liquidato con la inaccettabile indifferenza dei qualunquisti… anzi, andrebbe ricondotto all’interno di un circoscritto spazio esistenziale, dell’individuo coinvolto in quello stato di sofferenza, poiché, quello, è il luogo dove è custodito il mistero della vita.

Scriveva Antonio Gramsci: l’indifferenza, è il peso morto della storia.

Scriveva ancora a tal proposito Papa Wojtyla:

“La Croce della povertà, la Croce della fame, la Croce di ogni altra sofferenza possono essere trasformate, perché la Croce di Cristo, è divenuta una luce nel nostro mondo. Essa, è una luce di speranza e di salvezza. Essa, dà significato a tutte le sofferenze umane”.

In vero, chiediamoci, perché accadono le tragedie?

Infatti, per meglio comprendere l’imponderabile, bisognerebbe muoversi intorno alla storia personale di un individuo, bisognerebbe entrare nello specifico, per coglierne tutte le sfaccettature psicologiche e valutare le molteplici angolazioni, necessarie per ricavarne i diversi punti di vista, in modo tale da sintetizzare, in un tutt’uno, il “prima” e il “dopo” di un evento tragico, per giungere infine ad un decantato risultato finale.

Altrimenti, non si può assistere ad un evento traumatico senza capirne il senso, solo perché non è toccato a noi, ed ancora peggio, perché riguardi gli altri.

Naturalmente, affinché il complesso meccanismo di valutazione si possa mettere in atto, sul perché e sul per come accadano certi episodi, bisognerebbe che le dinamiche vissute da un individuo, si sviluppassero in funzione del libero arbitrio di cui è dotato ogni uomo al mondo, anche quando egli fosse isolato nella Sua tragedia personale, che si intrecciasse con gli eventi casuali, determinati intorno a lui dal “Fato”, ovvero il nesso distillato tra l’Azione individuale e l’imponderabile Destino.

Per essere più chiari: “Cosa c’entra il destino se un giovane facesse un salto nel vuoto di oltre 100 metri, attaccato ad una fune elastica e quel salto finisse male?”.  Cosa c’entra il Destino e/o il Fato che dir si voglia?

In quel caso, non c’è bisogno di introspezioni, valutazioni ed analisi di ciò che è accaduto, poiché quel salto parla da solo, descrivendo la dimensione di quell’uomo che, deliberatamente, ha messo a repentaglio la sua vita ed ha indotto i propri cari alla conseguente sofferenza.

Attenzione però: si tenga anche in debita considerazione che, il risultato finale di qualsiasi accadimento individuale, dipende soprattutto dal presupposto dal quale si parte, ovvero, se il soggetto in questione, sia dotato, in premessa, di una Fede Religiosa e/o più terrenamente, sia un Ateo.

Infatti, un Ateo guarda al proprio destino in modo puramente materiale e minimalista, diversamente, il Religioso, ritiene gli eventi, soprattutto quelli tragici, come una prova di tenuta della sua Fede e della sua Spiritualità, alla quale è chiamato da Dio, attraverso le trame del destino, ad affrontare una simile e tragica esperienza.

E a proposito di Spazio, in questo modo, potremmo applicare lo stesso principio valutativo tecnico-concettuale che utilizziamo in Arte, inevitabilmente necessario per la costruzione di un impianto compositivo all’interno di un supporto circoscritto, nel quale, devono confluire la decodificazione del passato e la interpretazione del presente della storia di un individuo, di un episodio e/o di una narrazione qualsiasi che si voglia rappresentare, per poi fissarla sulla tela bianca, in maniera incorruttibile.

E ciò, al solo fine di catturare le sintesi dinamiche dei molteplici “momenti” del vissuto quotidiano, che devono essere elaborati, interpretati, sintetizzati e riscritti, attraverso la grammatica pittorica, della quale ogni “vero” artista, è dotato.

Naturalmente, l’Artista, è facilitato in una operazione del genere, se solo dovesse rappresentare sé stesso, nel classico “Autoritratto”.

Infatti, ci sono stati Pittori del passato che, per sfuggire alle malevoli e diffamatorie interpretazioni reputazionali dei propri contemporanei, malgrado fossero stati vittime degli Eventi tragici imposti dalla vita e, di conseguenza, avessero conosciuto umiliazioni e momenti di alienazione, tanto da mettere in discussione perfino le loro stesse capacità artistiche, si sono autoritratti come se fossero dei Re, saltando tutti i parametri interpretativi intermedi per giungere, poi, direttamente ad una descrizione finale ed estremamente sintetica di sé stessi, in modo apologetico.

Per concludere, la vita ed il destino, si devono intendere, dunque, compresi in una unica assordante simbiosi, necessaria per meglio identificare lo spettro della sostanza vitale della quale, sin dalla notte dei “Tempi”, l’Umanità si nutre.

Eccezioni a parte, naturalmente, perché la mamma degli stolti, è sempre incinta e il Destino non va mai sfidato. Perché, quello, è l’unico momento di una netta separazione tra la Vita ed il Destino!

Comunque non bisogna mai deridere gli stolti, benché procurino proprio malgrado, sofferenza per sé stessi e per i loro congiunti.

Recita un antico “Detto”: Chi è cagion del suo mal, pianga se stesso. Non merta, è ver, che facciasi alcun bene a chi del male in traccia s’incammina. Ma rideree gioir mai non conviene per l’altrui benché stolta aspra rovina.

Insomma, la vita si sviluppa in funzione del Destino e il Destino trova applicazione in funzione della dimensione di ogni uomo.

Perché, il Destino esiste, statene certi, ma non nella misura di come l’immaginario collettivo lo intende.

Ma di questo argomento, ne parleremo in un’altra occasione.

Roberto Chiavarini                                       

Opinionista di Arte e Politica

 

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