La vita non vissuta in attesa di vivere

Arte, Cultura & Società

Di

di Sara Spagnoletti

Mai come in questi lunghissimi giorni di “quarantena” i social aiutano a mantenere il contatto con il mondo esterno.

Sono una finestra spalancata sui cortili altrui, lo spazio che ci permette comprendere come si stia vivendo l’emergenza covid-19.

C’è chi posta messaggi beneauguranti, chi si diletta a mostrare manicaretti da gourmet, chi pubblica le ultime, terrificanti, news sulla pandemia senza verificarne la fonte, spesso inaffidabile, chi scrive riflessioni profonde e chi si affida alla Divina Misericordia con pseudo catene sconfinanti in superstizioni medievali.

Ingenuità e malafede convivono, corrono insieme, e concorrono ad ingenerare panico o false speranze. In questi siparietti talvolta divertenti, talaltra irritanti, i grandi assenti sono i bambini.

Improvvisamente costretti a stare in casa, nei primi giorni contenti di poter, finalmente, giocare con i genitori, alzarsi più tardi, non andare a scuola o all’asilo, poi sempre più irrequieti.

Non è un compito facile far comprendere a chi si affaccia, con gioia, alla vita che non si può uscire perché “fuori ci sono i virus cattivi che possono fare ammalare i nonni”, incontrare l’amichetto con cui fino al  giorno prima avevano giocato e condiviso le merendine è pericoloso, mamma e papà devono mascherarsi anche sé il carnevale è finito.

Le domande si moltiplicano e di giorno in giorno cresce la loro ansia di tornare ad una vita normale “Mamma perché non vai più a lavorare e papà perché è sempre al computer?” “Voglio andare dalla nonna, vedi ho disegnato la strada da fare, visto che tu l’hai dimenticata”, “Metto il giubbotto e aspetto dietro la porta che tu ti decida a farmi uscire” “Uscite tutti, dove vi siete nascosti? Non mi piace questo gioco. La strada è vuota e non ci sono nemmeno le macchine, sono tutti morti?” “Papà quando mi porti in campagna a giocare, ho voglia di correre e di saltare”.

Queste e tante altre ancora sono le reazioni dei bimbi prigionieri di una situazione incomprensibile, difficile da accettare anche per chi è adulto.

Le torte da preparare insieme non bastano più, i cartoon non li divertono, vogliono la maestra non lo schermo di un computer per studiare.

Quanta incidenza avrà sulla loro psiche il distanziamento sociale?

Una domanda che inquieta e rende insonni le notti. La modalità di vista in stand by in attesa che il nemico invisibile che rende i genitori, i fratelli, gli amici, i colleghi, improvvisi veicoli di morte non può continuare a lungo.

I luoghi di culto deserti, le celebrazioni liturgiche violate dalla presenza dei carabinieri, le pietose esequie impedite, il tracciamento ed i braccialetti elettronici non possono essere il futuro.

L’essere umano ha bisogno del contatto con altri esseri umani per sopravvivere, è una legge di natura, i monitor e le tastiere non possono sostituire gli sguardi e le strette di mano.

#andràtuttobene #iorestoacasa sono slogan, la vita è altrove.

Sara Spagnoletti

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