L’Algeria scende in piazza contro Bouteflika

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Da venerdì l’Algeria è attraversata da un’ondata di protesta per la decisione del presidente in carica, Abdelaziz Bouteflika di candidarsi alle prossime elezioni del 18 aprile. Bouteflika, ormai 82enne, è in carica ininterrottamente dal 1999 e si prepara a correre per il suo quinto mandato. Proprio a lui si deve l’abolizione nel 2008 del limite costituzionale ai due mandati presidenziali, manovra politica che lo ha portato ad un ventennio di potere.

La sua è una figura emblematica della storia algerina, in particolar modo per l’indipendenza del Paese dal dominio coloniale francese. Colonnello nell’esercito, riuscì a distinguersi durante il conflitto ma anche nella sua carriera politica facendosi conoscere anche per il suo pugno duro, sia nel periodo delle Primavere arabe che contro le forze islamiste durante la guerra civile che produsse circa 200mila vittime.

Le proteste nascono dal fatto che per i contestatori, l’attuale presidente, non sia altro che una pedina di altri personaggi come Said Bouteflika, suo fratello e il generale Ahmed Gaïd-Sala che, secondo il New York Times, non sono altro che individui facenti parte “di una gentocrazia rimasta dalla guerra di indipendenza di quasi sessant’anni fa”, ossia di un’èlite commerciale e politico-militare che reggerebbe il paese sin dall’indipendenza. Infatti Bouteflika ha ormai ridotto le uscite pubbliche a causa delle sue precarie condizioni di salute poiché nel 2013 è stato colpito da un ictus (attualmente è sulla sedia a rotelle, incapace di parlare). Molti algerini hanno definito la decisione da parte di Bouteflika “uno stupro della dignità del popolo”, rappresentando dunque un’umiliazione alla democrazia popolare.

Nonostante la protesta sia nata dal basso, molti attori politici si stanno schierando dalla parte dei manifestanti: il Fronte delle Forze Socialiste (FfS) ha chiesto ai suoi seguaci di partecipare alle proteste, così come i candidati indipendenti alla presidenza Ghani Mahdi, Tahar Missoum e Rachid Nekkaz.

Di fatto le proteste si inseriscono in un contesto difficile dominato dalla crisi economica e dalla disoccupazione, vessato dalle conseguenze della crisi del petrolio (esso rappresenta infatti due terzi delle entrate dello Stato) che ha destabilizzato enormemente il già fragile equilibrio algerino. Le Primavere arabe sono state detonate con una politica statale fortemente invasiva fatta di assunzioni di massa e di investimenti (circa 180miliardi di euro) che aveva portato alla rielezione di Bouteflika con l’85% delle preferenze. Ora però la situazione è diversa: la protesta nasce dagli esclusi, dagli emarginati, da una generazione impoverita e disoccupata ma soprattutto giovane che non ha vissuto gli sconvolgimenti degli anni passati.

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