L’“angelo caduto del pci” Togliatti lo mise… in Tasca

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Un secolo dopo rimane nell’ombra uno dei suoi maggiori protagonisti: Angelo Tasca. Espulso dal partito e quindi condannato alla gogna perpetua, come il 3 settembre 1929 decise Palmiro Togliatti a Mosca. La sorte di Tasca (come di Turati, Faravelli, Saragat ….) è paradigmatica.

 

Angelo Tasca, socialista umanitario

Per i 18 anni di Greta Thunberg la Svezia emette un francobollo. Le “Poste” italiane stampano un “timbro” per il Centenario della fondazione del Partito comunista d’Italia. Là per una giovinezza sbiadita. Qua per un defunto dalle mani mica tanto pulite e dalla memoria cortissima. Un secolo dopo rimane nell’ombra uno dei suoi maggiori protagonisti: Angelo Tasca. Espulso dal partito e quindi condannato alla gogna perpetua, come il 3 settembre 1929 decise Palmiro Togliatti a Mosca, pronubo ai dettati di Stalin. “Il Migliore” era al bivio: o Tasca o lui. Pronto a obbedir tacendo, scelse come gli conveniva. Opportunista? Costruttore? Volonteroso?

Ma chi era Tasca? Un “politico scomodo” secondo A. J. De Grand, un “eretico della sinistra” a giudizio di Sergio Soave: formule supponenti che la politica sia comoda e che la “sinistra” sia vi sia stata una “ortodossia”, una “dottrina”. Lo sappiamo. Il Komintern dettò il catechismo e le giaculatorie che ancora sentiamo ripetere. Lo fa il vanesio “Cento anni di sinistra” (ed. la Repubblica-l’Espresso) che intruppa Rosy Bindi ed Emma Bonino,  Ciampi e Cossutta…: minestrone da asporto. 

Tasca manca di una biografia vera: la narrazione dell’uomo. Fu un “socialista umanitario”, un “apostolo”, convinto che toccasse ai buoni e ai sapienti “evangelizzare”. Fu il Mazzini del social-comunismo italiano. Un piede nell’organizzazione sindacale e partitica, un altro, più a fondo, nel brulicame delle “classi numerose” che conosceva dalle esperienze di casa prima e più che da asettici laboratori di scienze economico-sociali. Alla “disciplina” di partito (prima quello socialista, poi quello comunista e in seguito nuovamente il primo, ma in Francia) antepose sempre la libertà di coscienza, la “critica” (era l’insegna della rivista di Filippo Turati e di Claudio Treves) e il “libero esame”.

Tasca non ebbe una vita  tutta in piano. Nacque a Moretta, umido borgo rurale a metà strada sulla linea ferrata Cuneo-Saluzzo-Torino il 19 novembre 1892, l’anno di fondazione del Partito dei lavoratori italiani, poi Socialista.  La cittadina gli ha intitolato una viuzza di pochi metri, verso Torino, ove, separato dalla moglie, il padre, operaio ferroviario, lo condusse con sé. Tra molte difficoltà conseguì la maturità classica, intraprese la facoltà di giurisprudenza ma ripiegò su quella di lettere e si laureò a 25 anni su Giacomo Leopardi e la filosofia dell’illuminismo francese. Da un lustro aveva concorso a fondare il Circolo educativo socialista di Torino: anello di congiunzione tra studenti, studiosi, “militanti” (come il giovane Giuseppe Romita, figlio di un monarchico tutto d’un pezzo) e operai “in carne e ossa” (come una volta concesse Antonio Gramsci). Il suo socialismo era radicato nella consapevolezza della realtà dei proletari, dei sindacati, di “bisogni” che vanno molto oltre le dispute dei dottrinari al vertice dei gruppi parlamentari e di partito. Contrario all’impresa di Libia (1911-1912) e ancor più all’intervento dell’Italia nella Grande Guerra (il partito socialista si accovacciò nella sterile formula “né aderire, né sabotare” e non mobilitò i suoi iscritti e simpatizzanti contro la piazza dominata da nazionalisti e antigiolittiani), Tasca fu tra i fondatori di “Ordine Nuovo” con Gramsci, Togliatti e Andrea Viglongo (altro “dimenticato” in questo Centenario).

Se alcuni sognavano il balzo in avanti sull’esempio di Lenin, come ricorda Franco Livorsi il 4 ottobre 1919 Tasca scrisse nell’“Ordine Nuovo” che “la rivoluzione non è opera di un giorno, di decenni, ma di una generazione”. La storia chiede tempi lunghi. Senza “educazione” le “masse” finiscono succube di nuove oligarchie, ammantate nei panni di “nuovi principi”.

Fondatore del Partito comunista d’Italia

Il 21 gennaio 1921 Tasca fu tra i fondatori del Partito comunista d’Italia, nato per scissione dal Partito socialista radunato a congresso in Livorno, e assunse via via responsabilità di rilievo, nella convinzione, però, che il “capitalismo” non era affatto al crepuscolo e che pertanto le sinistre dovevano convergere sul terreno del riformismo democratico per non perdere l’appuntamento con la storia, ripetutamente mancato da Turati nell’età giolittiana.

Visse da acuto osservatore (che non è sinonimo di “spettatore”) la crisi della democrazia parlamentare: il fallimento dello sciopero legalitario del luglio 1922 (epilogo del “biennio rosso”), l’ennesima scissione del partito socialista tra massimalisti e “unitari” (Filippo Turati e Giacomo Matteotti) nell’ottobre 1922, l’assenza dei comunisti dalla scena italiana nelle convulse settimane di ottobre. Mentre Mussolini organizzava la “spallata” che il 31 ottobre, senza colpo ferire, lo condusse al potere a capo di una coalizione costituzionale, i vertici del Pc d’Italia erano impegolati a Mosca nelle dispute della Terza Internazionale dominata da Stalin. C’era anche Gramsci che in Italia tornò solo due anni dopo.

Tasca vedeva, constatava e comprendeva, ma non aveva i requisiti del “capo-popolo”, né del “capo-setta”. Come poi di lui disse, irridente, Togliatti, era un “gran studioso”, con propensione a valutare gli eventi, nella prospettiva poi affidata alla sua opera fondamentale: La naissance du fascisme (Parigi, 1938), rassegna degli errori commessi nel dopoguerra dalle sinistre che confusero ex combattenti e militaristi e si  auto-esclusero dal confronto con le istituzioni, illuse che fossero al collasso. Basti ricordare, al riguardo, la condotta dei 156 deputati socialisti che, eletti il 16 novembre 1919, uscirono dall’Aula cantando l’Internazionale mentre il re pronunciava il rituale discorso della corona. Volevano “fare come in Russia”, con la differenza che l’Italia aveva vinto la guerra, sia pure a carissimo prezzo.

Messo all’indice dai social-comunisti, il libro non venne apprezzato “a destra” perché pacatamente spiegò che l’avvento di Mussolini non era affatto una Rivoluzione ma l’involuzione del fascismo ed era quindi destinato a divenire regime di partito unico all’interno di un “sistema” che lo avrebbe utilizzato sino a quando gli fosse stato comodo. Ormai “al bando del partito” (come Amadeo Bordiga, Umberto Terracini e altri comunisti che pensavano di testa propria), nel suo volume Tasca non concedette alcun credito al fascismo. Valgano a conferma alcune sue considerazioni conclusive, animate da un afflato profetico ancor più che politico e storiografico: “La lotta contro il fascismo è in primo luogo lotta per la libertà e per il rispetto della persona umana; lotta impossibile se non si crede alla positiva verità di queste nozioni e se non si è pronti a rivendicarle e difenderle sotto qualsiasi regime. I comunisti hanno adottato la formula attribuita, del resto a torto, a Luigi Veuillot: «Quando siamo noi i più deboli, domandiamo la libertà in nome dei vostri principi. Quando siamo i più forti ve la neghiamo in nome dei nostri». Il socialismo non può essere un fascismo rosso. Pur escludendo i passi polemici e le contromanovre, il socialismo non può servirsi delle formule fasciste come il fascismo si serve di quelle socialiste. Ciò non può aprirgli una lunga strada o può condurlo troppo lontano. La classe operaia vale per il potenziale di filosofia cioè di umanità di cui dispone.

“Una nuova guerra  – scriveva Tasca alla vigilia della catastrofe suicida del 1939-1945 – non sarà vinta da quelli che disporranno dell’ultima cartuccia o dell’ultima tonnellata d’acciaio; la materia prima più indispensabile sarà lo sforzo umano reso possibile dalla grandezza delle speranze e dalla forza dell’ideale che lo sosterrà. Né si deciderà sul terreno della tecnica, specie se diventa, come è quasi inevitabile, guerra di logoramento di posizioni. La nuova guerra sarà più che mai guerra di masse, guerra di fanterie, e più che in quella del 1914-1918 saranno gli ultimi venuti al fronte e non i combattenti che faranno inclinare la bilancia. L’opinione pubblica vi avrà una parte decisiva e i suoi giudizi varranno eserciti. Per una lotta lunga i valori morali riacquistano tutto il loro peso. L’umanità dovrà cercare in profondità la sua salvezza e le passioni più profonde e tenaci sono quelle della coscienza, della coscienza illuminata. Dopo la catastrofe, se resteranno terre non sommerse, il sole si leverà dalla parte di quelli che meglio avrà conservato il fondo di umanità che il fascismo si sforza di compromettere e di distruggere per sempre”.

Quando Togliatti lo cacciò dal partito (1929): “Irresponsabile opportunista”? 

Poco amato “a destra”, Tasca fu odiato “a sinistra”. Quando pubblicò la Naissance du fascisme aveva alle spalle dieci anni difficili. Come ha sintetizzato David Bidussa, egli non condivise la visione catastrofistica del capitalismo predicata da Stalin per motivi propagandistici; non condivise la “previsione” (in cui a Parigi si cullava anche Francesco Saverio Nitti) che il fascismo  sarebbe caduto per il fallimento della politica economica; indagò invece sulle radici del socialismo. L’affermazione dell’imminente crollo del capitalismo era funzionale allo stalinismo: subordinare tutti i partiti comunisti agli interessi dell’URSS, identificati con quelli del Partito comunista sovietico e, in definitiva, del suo gruppo dominante; e scatenare l’offensiva contro i socialisti riformisti e democratici liquidati come social-fascisti.

Rappresentante del partito comunista d’Italia nella segreteria della Terza internazionale, il 20 gennaio 1929 Tasca scrisse alla segreteria del PCd’I: “Tutta la situazione gravita intorno a Stalin. L’Internazionale Comunista non esiste; Stalin è il maestro che muove tutto. Egli è all’altezza di una simile posizione? Egli è in grado di portare una così grave responsabilità? La mia risposta è netta: Stalin è smisuratamente al di sotto di essa. Rivedete tutta la sua produzione: non troverete un’idea sua. È un rimasticatore di idee altrui, che ruba senza scrupoli e poi presenta in quella forma schematica che dà l’illusione di una forza di pensiero che poi non c’è. Le idee sono per lui delle pedine che egli dispone per vincere partita per partita. Stalin plagia perché è intellettualmente mediocre e infecondo. Con questa politica e questi metodi Stalin è in Russia la pattuglia di punta della controrivoluzione; esso è il liquidatore, finché avrà mano libera, dello spirito della Rivoluzione d’ottobre”.

Sic stantibus rebus Togliatti, il Migliore, “capì” che doveva espellere Tasca dal partito. Gli chiese l’“autocritica”. L’“imputato” rispose con un memoriale difensivo. La disputa si chiuse come previsto: il 3 settembre 1929 Tasca fu espulso dalla chiesa sovietica. Proprio perché era stato tra i fondatori dell’“Ordine Nuovo” e godeva di ampia stima tra i pensatori comunisti e socialisti anche nell’Europa occidentale, Togliatti calcò la mano, passando dal dissenso ideologico al disprezzo per la persona. In Come e perché abbiamo cacciato Angelo Tasca (“Vie Proletarienne”, a. III, n. 27, 10 novembre 1929, poi in P. Togliatti, Opere, III, 1, 19291935, a cura di Ernesto Ragionieri, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 92-97) dette un saggio del “metodo” di annientamento del “nemico”, l“eretico”, additato al ludibrio. Tasca divenne l’“irresponsabile” al soldo del capitalismo.      

Poiché doveva spiegare ai militanti, ignari del retroscena e desiderosi di sapere e di esaminare, Togliatti scrisse: “Noi dobbiamo portare alla base, esaminare, discutere, fare oggetto di una vastissima campagna, tutte le decisioni della ultima Centrale [del partito]. Solo in questo modo potremo lottare seriamente contro l’opportunismo. Sbarrargli la strada. Individuarlo e batterlo in tutti i suoi aspetti. Ma se avessimo incominciato questa campagna usando indulgenza a un atipico, qualificato, spudorato rappresentante e portabandiera dell’opportunismo, che risultato avremmo avuto? Tutta la nostra azione sarebbe stata viziata da una contraddizione potente e quindi sarebbe stata inefficace. La democrazia interna, sì, sta bene. Se qualcuno la intende così, egli cade in un profondissimo errore. Già Lenin aveva definito l’opportunismo come la manifestazione dell’influenza in seno al proletariato di una classe avversa al proletariato. Combattere contro di esso vuol dire proseguire in altro modo la lotta di classe degli operai contro i loro nemici. Perciò si deve essere nella lotta aspri, violenti, pieni di odio. Qui è dove lo spirito di setta deve entrare in azione. L’espulsione di Tasca darà alla nostra lotta contro l’opportunismo un carattere di concreta asprezza e irreconciliabilità, che la renderà efficace”.

Dichiarato “nemico”, Tasca andava eliminato, sul piano morale se non si raggiungeva quello fisico (come accadde con Trotzky). La taccia di “opportunismo” divenne un marchio, come quella di “social-fascista” da Togliatti usata con sprezzo contro Turati, i socialisti democratici e i militanti di “Giustizia e Libertà”. Nella sua vacua genericità fece il paio con l’insinuazione di condotta “opaca” (che non vuol dire nulla ma molto insinua), di “immoralità” e altrettali “capi d’accusa”.

Anche Bucharin, come Tasca, non riteneva affatto che il capitalismo, malgrado il “venerdì nero” e la Grande depressione del 1929, fosse agonizzante: il primo, tuttavia, non fu subito espulso dal PCUS. Col cinismo del pavido,Togliatti si sentì dunque in dovere di precisare: “Perché il nostro partito doveva espellere Tasca se il partito russo non ha espulso Bucharin? Vogliamo registrare le differenze prima di tutto? Bucharin è un bolscevico della vecchia guardia e ha reso alla causa della Internazionale e della rivoluzione servizi grandissimi. Tasca è un piccolo professore vanitoso perdutosi, dopo lunga esitazione, nelle file del nostro partito e che alla causa della rivoluzione sinora ha reso essenzialmente il servizio di riuscire a indicare, con precisione, a ogni svolta la strada della capitolazione, della diserzione, della sconfitta. Dove sono nelle nostre file due gatti rognosi che vanno dietro ad Angelo Tasca?”

Meno di dieci anni dopo, Bucharin, già presidente del Komintern e autore di opere importanti come Teoria del materialismo storico (1921), fu accusato di “deviazionismo” (altro addebito tanto vacuo quanto efficace), arrestato, condannato a morte e fucilato, al pari di altri protagonisti della Rivoluzione d’ottobre (Kamenev, Zinoviev, Piatakov…), il maresciallo Tuchacevsckij, artefice dell’Armata Rossa, fucilato nel giugno 1937 e migliaia di ufficiali superiori nell’ambito delle “grandi purghe” staliniane.

La lezione di un socialista riformatore

Tasca scampò all’eliminazione fisica perché da Mosca riparò per tempo a Parigi. Con lo pseudonimo di Amilcare Rossi collaborò a “Le Monde”, diretto da Henri Barbusse, a “Le Populaire” di Léon Blum e pubblicò opere di ampio e durevole interesse. D’intesa con Giuseppe Faravelli, si oppose al patto di unità d’azione tra il Partito socialista guidato da Pietro Nenni e il Partito comunista togliattiano. La sua scelta gli attirò accuse infamanti e la damnatio memoriae da parte di tutto il “fronte popolare”, sia in Francia sia in Italia, in specie dopo il 1948-1949. La traduzione della Naissance du fascisme (La Nuova Italia, 1950) fu accolta da critiche feroci e/o da silenzio sprezzante. Eppure senza Tasca la storiografia sul fascismo sarebbe rimasta inchiodata alla propaganda della Terza Internazionale, pronta a capovolgere le carte, come accadde col passaggio dalla lotta contro i socialisti riformisti ai “fronti popolari”. Il celebrato Renzo De Felice arrivò quasi trent’anni dopo.

Il “caso Tasca” è la cartina di tornasole del tartufismo che ancora avvolge la narrazione su fascismo/antifascismo e sulle magnifiche sorti e progressive del comunismo all’italiana. Eppure ls storia del PCI non è affatto limpida. Come ricorda Giuseppe Vacca in Vita e pensieri di Antonio Gramsci 1926-1927 (Einaudi, 2012, p. 91), proprio Gramsci si dichiarò “in collera” con chi (Ruggero Grieco su mandato del Migliore?) da Mosca gli aveva indirizzato la lettera che, mentre già era in arresto, ne aggravò la posizione, come gli spiegò con amara ironia il giudice istruttore: “Vede bene, On., che non a tutti dispiace che ella rimanga in carcere”.

Malgrado le compiacenti apologie che nel Centenario del Pcd’I ne hanno cantato in coro la lungimiranza democratica e lo spacciano addirittura per riformista non fu una gran fortuna per l’Italia che nel 1929 lo stalinista Togliatti abbia iniziato la “sua” purga degli opportunisti, deviazionisti e “simili lordure”: Bordiga, Tresso, Ravazzoli, Leonetti… Una vicenda che merita di essere riportata al centro dell’attenzione.

Da anni paralizzato a letto, Tasca morì a Parigi il 3 marzo 1960. Non ha bisogno di “francobolli” (che si leccano da dietro) ma di studio.

Aldo A. Mola

Angelo Tasca (Moretta, CN, 19 novembre 1892- Parigi, 3 marzo 1960). Militante socialista dal 1913 e tra i fondatori del settimanale torinese “L’Ordine Nuovo” vi scrisse : “La rivoluzione non è opera di un giorno o di decenni, ma di una generazione (4 ottobre 1919). Espulso dal Partito comunista d’Italia (2 settembre 1929) a opera di Palmiro Togliatti, succubo di Stalin, nel 1938 pubblicò a Parigi l’opera Naissance du fascisme coniugò socialismo umanitario, democrazia e libertà di pensiero.

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