Le conseguenze economiche dell’abbandono di ArcelorMittal

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Chiudere lo stabilimento di Taranto, ipotesi già scartata dal governo, sarebbe una vera e propria catastrofe. Verrebbe infatti meno l’1,4 % del Pil, ossia 24 miliardi di euro

Una vera e propria “bomba sociale” come l’hanno definita i sindacati si è abbattuta proprio nel giorno, ieri, in cui lo Svimez ha pubblicato uno scenario, quello del Mezzogiorno, a dir poco allarmante: al Sud la ripresa, insomma, non c’è. E poche ore dopo, è arrivata la notizia che ArcelorMittal lascia gli stabilimenti ex Ilva. Una ferale notizia per il Sud, e per l’Italia tutta.

Qualora venisse chiuso lo stabilimento di Taranto, e venisse meno appunto la produzione di acciaio, con il conseguente azzeramento delle 6 milioni di tonnellate annue (anche se ArcelorMittal ne aveva previsto 5,1 mln per quest’anno) sarebbe una vera e propria catastrofe: i conti sono presto fatti, verrebbe meno l’1,4% del Pil ossia 24 miliardi di euro. Era questo il calcolo fatto nei mesi scorsi da Il Sole 24 Ore che aveva pubblicato un aggiornamento di un’analisi econometrica commissionata allo Svimez. Vale a dire, numeri alla mano, la stessa cifra che è stata resa necessaria in questa legge di bilancio per scongiurare l’aumento dell’Iva.

Secondo tale analisi, il sequestro dello stabilimento avvenuto a luglio 2012 sarebbe costato la stessa cifra: l’impatto della crisi dello stabilimento sull’andamento manifatturiero reale fra il 2013 e il 2018, sarebbe stata una perdita ogni anno tra i 3 e i 4 miliardi di euro. Ossia, 24 miliardi di euro. I costi in termini di ricchezza non danno però idea della catastrofe sociale che una mancata soluzione all’uscita di scena di ArcelorMittal potrebbe avere: i dipendenti a Taranto sono attualmente 8.200 (quelli assunti dalla multinazionale indiana), cui vanno aggiunti 3-3.500 dell’indotto. Posti di lavoro che andrebbero in fumo, rappresentando una vera e propria emergenza sociale.

Mentre infuria la polemica politica, il Governo è al lavoro sul dossier: il Ministro competente, Stefano Patuanelli, ha prima riunito i colleghi del Lavoro, Nunzia Catalfo, dell’Ambiente, Sergio Costa, del Sud, Giuseppe Provenzano e poi è andato a riferire al premier Giuseppe Conte. Prima cosa da fare è capire il perimetro legale entro il quale muoversi. La linea è quella di fare di tutto per disinnescare questa “bomba”. Per questo motivo, per mercoledì mattina, è stato fissato un incontro con i vertici dell’azienda.   

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