Le mani degli sceicchi sul pallone tra petrolio e soft power

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Possedere un club blasonato infatti consente di poter stringere legami influenti e rappresenta uno strumento necessario per riabilitare l’immagine, ormai consolidata, di Paesi islamici conservatori ancora arretrati a livello di diritti umani 

© AFP – Tifosi del Newcastle festeggiano il passaggio di proprietà a un fondo arabo

 Top players, petroldollari e soft power è il tridente messo in campo dagli sceicchi nel corso del decennio per conquistare a suon di milioni il mondo del calcio e diventare popolari. Con un duplice obiettivo: far dimenticare le frequenti violazioni dei diritti umani ed ottenere un ritorno commerciale.

Le ambizioni degli sceicchi sono saldate a doppio filo con la consapevolezza del potere in mano ai principali club globali, non solo in termini di popolarità tra gli appassionati, ma anche geopolitico. Possedere un club blasonato infatti consente di poter stringere legami influenti nel potente universo commerciale-politico che gravita attorno a uno degli sport più famosi al mondo. Uno strumento necessario per riabilitare l’immagine, ormai consolidata, di Paesi islamici conservatori ancora arretrati a livello di diritti umani.

L’invasione calcistica araba ha preso piede nell’ultimo decennio e ha progressivamente rubato alla scena ai magnati americani e cinesi, protagonisti di un numero maggiore di partecipazioni societarie ma ben lontani dagli investimenti offerti dai miliardari del petrolio.

Lo sbarco degli sceicchi nel ‘calcio che conta’ è avvenuto nel 2009 quando Mansour Al Nahyan da Abu Dhabi, membro della famiglia reale emiratina, ha comprato il lato storicamente ‘perdente’ di Manchester, il City, trasformandolo a colpi di miliardi in una corazzata in grado di raggiungere la finale di Champions League.

Nel corso degli anni lo sceicco inoltre ha messo in piedi una società, il City Football Group, che detiene quote di altri 9 club calcistici (New York City, Melbourne City, Girona, Troyes, Lommel, Montevideo City Torque, Sichuan Jiuniu, Yokohama, Mumbai City) sparsi tra tutti i continenti con l’eccezione dell’Africa. Il coronamento di un percorso di inserimento calcistico iniziato nel 2004, quando la compagnia aerea di bandiera Emirates divenne il main sponsor dell’Arsenal, prima di finire sulle maglie di Real Madrid, Milan, Lione e Benfica.

Oggi come allora un viatico, a livello di popolarità, per uno Stato responsabile di arresti arbitrari e tortura, limitazioni alla libertà di espressione, discriminazione di donne e migranti.

Lo stesso vale per il Qatar

L’emirato, accusato a più riprese di schiavitù e finanziamenti a gruppi terroristici, ha seguito la direzione intrapresa dai vicini della penisola arabica e nel 2011 ha comprato il Psg attraverso Nasser Al-Khelaifi, presidente del fondo sovrano di investimento. La cavalcata dell’imprenditore qatariota è stata analoga al City con una parata decennale di acquisti milionari, tra cui Leo Messi, che gli hanno consentito di diventare presidente dell’European Club Association (Eca).

Ma il punto più alto della scalata qatariota è stato raggiunto alcuni anni fa con la conquista del Mondiale di calcio, previsto per il prossimo inverno, macchiato dai sospetti di manovre illecite e tangenti milionarie per favorirne l’assegnazione. Una competizione di alto prestigio in grado di attirare l’attenzione globale che però ha anche svelato il lato oscuro dietro alla costruzione delle infrastrutture.

Il bilancio delle associazioni umanitarie parla di migliaia di operai morti sul lavoro, per la maggior parte migranti assoldati come manodopera a basso costo. Ma il pallone, oliato dai petroldollari, continua a rotolare senza difficoltà e anche l’Arabia Saudita ha deciso di essere della partita.

I dossier spinosi del nuovo proprietario del Newcastle

L’acquisto del club inglese, che divide i tifosi tra appartenenza e sdegno per i diritti umani, è il colpo in grande stile di Mohammed Bin Salmam dopo gli investimenti nella Supercoppa italiana, la cui finale si è giocata per tre anni in Arabia Saudita.

Ma le questioni aperte, e controverse, che lo riguardano sono numerose: dalle pesanti limitazioni alla libertà di espressione culminate con la brutale uccisione di Kashoggi alla diffusa applicazione di punizioni corporali e torture, fino ad arrivare alla responsabilità nella lunga guerra yemenita.

Ma il nuovo proprietario dei ‘Magpies’ confida che il patrimonio da 376 miliardi di euro, 13 volte maggiore a quello di Mansour e 60 volte quello di Al Thani del Psg, siano una coperta sufficientemente larga per oscurare ogni problema. C’è un sogno che lo sceicco è disposto a ‘comprare’:  riportare in alto il Newcastle, a secco di titoli nazionali da 65 anni, per conquistare uno spazio nel cuore dei tifosi e rilanciare l’immagine del Paese arabo nel mondo. AGI

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