Le tensioni politiche potrebbero mettere a rischio i fondi del Recovery?

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La governance del Recovery Fund non contempla dunque alcuna prospettiva di cambio di Governo che possa portare a una revisione parziale o generale dei piani di ripresa e resilienza

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© FILIPPO MONTEFORTE / AFP –  Giuseppe Conte, Roberto Gualtieri

Le prospettive di instabilità politica che incombono su Roma a meno di una settimana dal voto parlamentare sulla riforma del Mes fanno temere non solo per la tenuta del Governo, ma anche per l’arrivo dei tanto attesi aiuti europei per la ripresa economica. I circa 209 miliardi tra sussidi e prestiti del Recovery ‘promessi’ all’Italia dopo il lungo summit europeo di luglio sono solo virtualmente assegnati al nostro Paese, che per ottenerli avrà bisogno di convincere le istituzioni di Bruxelles con un dettagliato piano di riforme e investimenti da collegare a un calendario di obiettivi da raggiungere.

Le regole del gioco del Recovery Fund erano chiare dallo storico vertice estivo, ma a cinque mesi dal sofferto ‘sì’ dei Paesi ‘frugali’ l’Italia non ha ancora reso pubblico alcun piano su come intenda investire i soldi, ma solo delle linee guida che riprendono i già noti obiettivi del programma Next Generation EU elaborato dalla Commissione europea.

Anche dopo la presentazione del piano pare difficile che Roma possa ottenere i fondi andando avanti con il pilota automatico di un eventuale Governo senza maggioranza e tenuto in piedi solo per mantenere l’ordinaria amministrazione fino a nuove elezioni. La procedura di approvazione dei “piani per la ripresa e la resilienza” (cosi’ vengono citati nelle conclusioni del Consiglio europeo di luglio) dopo la prima valutazione della Commissione, che può prendere fino a due mesi di tempo, prevede infatti l’assegnazione di un punteggio da parte dell’esecutivo Ue.

Il ‘voto’ verrà assegnato in funzione “della coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese, nonché del rafforzamento del potenziale di crescita, della creazione di posti di lavoro e della resilienza sociale ed economica dello Stato membro”.

L’eventuale valutazione positiva “deve essere approvata dal Consiglio (dove sono rappresentati gli Stati membri, ndr), a maggioranza qualificata su proposta della Commissione”, e per questo secondo passaggio Bruxelles assegna altre quattro settimane di tempo. Solo il semaforo verde delle due istituzioni Ue farà partire il prefinanziamento del 10% dei fondi, ma darà anche il via al tempo assegnato ai Paesi beneficiari dal crono-programma di “target intermedi e finali” compresi nei piani nazionali.

A vigilare sull’effettiva attuazione degli obiettivi previsti sarà il comitato economico e finanziario, composto da alti funzionari delle amministrazioni nazionali e delle banche centrali nazionali, della Banca centrale europea e della Commissione. La governance del Recovery Fund non contempla dunque alcuna prospettiva di cambio di Governo che possa portare a una revisione parziale o generale dei piani di ripresa e resilienza.

Viene invece espressamente disciplinata, questa sì, l’eventualità di “gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali”, cioè il ritardo del Paese nel raggiungere gli obiettivi promessi. In questo caso la questione può essere trattata dai leader in persona durante il primo vertice europeo previsto. Ma fino ad allora “la Commissione non prenderà alcuna decisione relativa al soddisfacente conseguimento dei target () e all’approvazione dei pagamenti”.

In altre parole, da un eventuale stallo durante il piano di ripresa potrebbe arrivare uno stop ai fondi da Bruxelles, che tornerebbero virtuali come al punto di partenza. L’unica finestra di revisione del Recovery si apre nel 2022 quando “i piani saranno riesaminati e adattati” al fine di “tenere conto della ripartizione definitiva dei fondi per il 2023”. I soldi che non verranno spesi, anche se assegnati all’Italia, resteranno nelle casse Ue.

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