Mancini e la Nazionale: Tra Goethe e Sant’Agostino. Sensazioni uniche

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Sono sensazioni difficili da spiegare. Ma si sa che quando gioca la nazionale italiana, per di più in gare ufficiali con un preciso obiettivo e non in anonime amichevoli, il paese non capisce più niente, si ferma e si unisce sotto la stessa bandiera in religioso silenzio, magari farcito da panzerotti (se a Bari) e birra ghiacciata, mentre altrove ci si ritrova con altre pietanze meno caloriche. E al diavolo il covid, Salvini, Meloni, Draghi, Grillo e Letta, e compagnia cantando.

Diciamo che è da meno di un mese – da inizio torneo – che la Nazionale del demiurgo Roberto Mancini ha cominciato a prendere a secchiate il sonno dei tifosi italiani addormentantisi in un lungo letargo dopo le noiose gesta di Ventura, e che, pur apprezzando il ruolino di marcia degli azzurri che li vogliono imbattuti da molto tempo, non si aspettavano che si potesse arrivare a tanto, fino alle semifinali, con un occhio in finale. No. Eppure la nostra nazionale ciclicamente ci fa questi “scherzetti”. Parte, magari, male, senza convinzione, poi pian piano viene fuori con coraggio, forza, sofferenza ed intraprendenza diventando un caterpillar contro tutti, persino contro il Belgio dato per favorito alla vittoria finale. Così fu in Spagna dopo un girone iniziale vinto in sofferenza, poi sappiamo tutti come è andata, e così fu anche per la nazionale di Lippi che iniziò maluccio, senza far breccia nei tifosi, e poi, man mano che passava il turno, trionfò a Berlino. Ed invece non c’è stato ranking e Lukaku che abbiano tenuto. Fiamminghi fuori e basta e tanti saluti a Re Filippo e consorte. Dispiace solo per l’infortunio a Spinazzola a cui auguriamo di guarire in fretta perchè il calcio italiano ha bisogno di lui, uno dei migliori in campo in questo scorcio di torneo.

E poi, volete mettere il gusto di uscire vincitori da uno stadio tedesco, quasi a voler dare una continuità alla storia che vuole l’Italia sbarazzarsi pressoché sempre della Germania quanto meno nelle gare che contano? Soprattutto dopo che gli “odiati” cugini d’oltralpe sono stati fatti fuori le cui “balle ancora gli girano”, per dirla alla Paolo Conte?

Ha vinto Mancini, allenatore che in punta di piedi ha fatto tabula rasa ricominciando da zero, più che i giocatori, perché l’allenatore marchigiano, con al suo attivo ben tre spot pubblicitari che stanno passando in TV da qualche mese, è riuscito laddove altri – dopo Lippi – non c’erano riusciti, nemmeno con Antonio Conte, vale a dire vestendo i panni di psicologo, ruolo che nel calcio è di estrema importanza ancora prima di divulgare lezioni di tattica. E mai come quest’anno dove si è giocato senza spettatori, senza quello che da noi va sotto il nome di “priscio”, senza supporto psicologico, ci voleva una lezione di fiducia da parte dell’allenatore così da spingere i ragazzi il più lontano possibile.

Sicché dopo aver maramaldeggiato nel girone iniziale, sulla carta, in effetti, abbordabile, ottenendo nove punti su nove, la Nazionale ha dimostrato di saper soffrire contro l’Austria e poi contro il Belgio dove ha letteralmente meritato la vittoria conducendo una gara straordinaria fatta di forza, di esperienza, di sofferenza e di qualità. Certi gol, come quello di Insigne, non si vedono facilmente in giro, così come quello di Barella, voluto e cercato dal momento che la palla sembrava, ormai, perduta. Ecco, solo chi sa ottimizzare certe occasioni può fregiarsi il titolo di squadra da battere. Non serve schiacciare gli avversari macinando occasioni su occasioni. No. Occorre capitalizzare al massimo le poche occasioni che capitano, magari giocando all’italiana come accade sempre con la nostra Nazionale nonostante astrusi moduli, sapendo gestire la partita e riuscendo a soffrire senza sbandamenti, con ordine ed esperienza, tutte caratteristiche che alla Mancini’s band non mancano mica. Del resto è fisiologico che qualcosa bisogna pur concedere agli avversari, mica si può pretendere di schiacciarli per cento minuti. Ed è proprio nella capacità di gestione e di visione della gara che si misura una squadra.

La magia è credere in noi stessi. Se riusciamo a farlo, allora possiamo far accadere qualsiasi cosa”, scriveva Goethe. E tal proposito dicevamo di Mancini il demiurgo: il ct della Nazionale ha saputo dare ai ragazzi la convinzione di crederci fino in fondo, credere di vincere con chiunque senza risparmiarsi e senza timori riverenziali, una squadra che, man mano, ha dato segni di crescita mentale e tecnica dimostrando che non sono secondi a nessuno, men che meno al Belgio dell’ex portiere del Bari Gillet e dei suoi illustri predecessori Scifo e Preud’homme.

Che si vada, dunque, avanti credendoci senza rinunciare alla fame e agli stimoli perché con questa Nazionale nessun traguardo sembra irraggiungibile. Wembley è lì che ci aspetta, probabilmente con l’Inghilterra che sarà senz’altro favorita non fosse altro perché nello stadio ci saranno i tifosi sudditi di sua maestà la Regina Elisabetta, e diventerà una vera e propria bolgia.

Ma prima occorrerà sbarazzarsi della Spagna che ieri ha sofferto le pene d’inferno per avere la meglio sulla Svizzera. Gli spagnoli hanno un lato debole: la giovane età, la rivoluzione tecnica voluta da Luis Enrique pecca in qualche ingranaggio, mentre la nostra Nazionale, come suol dirsi, è grande e vaccinata. Ecco, forse su queste basi si può cominciare a pensare in positivo.

Per Mancini crediamo vada a pennello una celebre frase di Sant’Agostino: “il giovane cammina più veloce dell’anziano, ma l’anziano conosce la strada”.

Insomma, da oggi il paese può cominciare a crederci dal momento che il pallone, si sa, è l’unico collante tra i 60 milioni di abitanti differentemente dalla politica e dal resto. La deadline è vicina. Il paese vuol rivedere ancora per due volte l’abbraccio tra Mancini e Vialli.

Massimo Longo

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