“Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”

Attualità & Cronaca

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Nel giorno di Pasqua, Papa Francesco, dalla Loggia delle Benedizioni, appare quasi schiacciato da quello che continua ad accadere in queste ore in Ucraina.

AGI – Due volte lo dice, Francesco, con la voce grave di chi sa bene quale sia il pericolo, il rischio, la posta in gioco per un’umanità che non pare proprio voler capire.

Due volte: “Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”. La frase è tratta dal Manifesto degli Scienziati, firmato nel lontano (ma molto vicino) 1955 di Guerra Fredda. Per gli storici: è anche l’anno in cui parve prevalere lo “spirito di Ginevra” con un primo disgelo tra Dwight Eisehower e Nikita Khruschev.

Non sono però le minuzie delle vecchie cronologie a interessare il Pontefice che oggi, dalla Loggia delle Benedizioni, appare quasi schiacciato da quello che continua ad accadere in queste ore in Ucraina. Doveva essere la Pasqua del ritorno alla vita quotidiana. Bergoglio aveva programmato (ed ha compiuto) un lungo giro su un’auto scoperta tra le 50.000 persone convenute a Piazza San Pietro per la messa solenne. Per quasi venti minuti stringe mani, benedice infanti, regala rosari e soprattutto ritrova quel contatto fisico con il gregge che gli era mancato da quando il covid iniziò ad appalesarsi.

Ma anche se è Pasqua, la Quaresima non è finita: lo dice lui stesso. Il suo sguardo, dalle celebrazioni del Venerdì Santo ad oggi, è sembrato un po’ più cupo, un po’ più sofferente: complice il ginocchio che continua a dolere, tanto che anche oggi, sull’auto bianca che lo conduceva tra un lato e l’altro del Colonnato fin giù a metà di via della Conciliazione, è stato prima in piedi, poi seduto e poi ancora in piedi. Il vero dolore però è un altro, e Beroglio lo esprime tutto in quello che invece è un momento tradizionalmente festoso.

“I nostri sguardi sono increduli, in questa Pasqua di guerra. Troppo sangue abbiamo visto, troppa violenza. Anche i nostri cuori si sono riempiti di paura e di angoscia, mentre tanti nostri fratelli e sorelle si sono dovuti chiudere dentro per difendersi dalle bombe”, ammette, “Facciamo fatica a credere che Gesù sia veramente risorto, che abbia veramente vinto la morte. Che sia forse un’illusione? Un frutto della nostra immaginazione?”.  Sembra il “mio Dio perché mi hai abbandonato” che i vangeli attribuiscono al Cristo della Passione.

Certo, subito dopo il Pontefice aggiunge: “No, non è un’illusione. Oggi più che mai risuona l’annuncio pasquale tanto caro all’Oriente cristiano: ‘Cristo è risorto! È veramente risorto!'”. Però il tono di tutto questo messaggio pasquale è improntato alla tristezza. Il Venerdì santo, del resto, è stato anche il giorno della contestazione (da parte ucraina) di quello che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere un gesto particolarmente significativo: la croce portata da una ragazza ucraina insieme ad una ragazza russa. Invece ha prevalso l’esasperazione sulla profezia. Ecco perché Francesco rileva adesso che “oggi più che mai abbiamo bisogno di Lui, al termine di una Quaresima che sembra non voler finire”.

“Abbiamo alle spalle due anni di pandemia, che hanno lasciato segni pesanti. Era il momento di uscire insieme dal tunnel, mano nella mano, mettendo insieme le forze e le risorse”, sottolinea quasi sconsolato, “e invece stiamo dimostrando che in noi c’è ancora lo spirito di Caino, che guarda Abele non come un fratello, ma come un rivale, e pensa a come eliminarlo”.

Continua a durare il momento “dell’odio fratricida”. Resta solo la fiducia che “su questa terribile notte di sofferenza e di morte sorga presto una nuova alba di speranza”. E allora “si scelga la pace. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre. Per favore, non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade”.

Ci si rivolga allora a “chi ha la responsabilità delle Nazioni”. Chiunque egli sia, “ascolti il grido di pace della gente. Ascolti quella inquietante domanda posta dagli scienziati quasi settant’anni fa: ‘Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?'”.

Sia quindi “pace all’Ucraina” perché “porto nel cuore tutte le numerose vittime ucraine, i milioni di rifugiati e di sfollati interni, le famiglie divise, gli anziani rimasti soli, le vite spezzate e le città rase al suolo. Ho negli occhi lo sguardo dei bambini rimasti orfani e che fuggono dalla guerra”.

Pace a loro e a tutte le vittime delle guerre in corso. Anzi: “il conflitto in Europa ci renda più solleciti anche davanti ad altre situazioni di tensione, sofferenza e dolore, che interessano troppe regioni del mondo e non possiamo né vogliamo dimenticare”.

Non mancano i segni di speranza, a dimostrazione che il genere umano è ancora in grado di essere se stesso. “Nel dolore della guerra non mancano anche segni incoraggianti, come le porte aperte di tante famiglie e comunità che in tutta Europa accolgono migranti e rifugiati”, prosegue il Papa, “Questi numerosi atti di carità diventino una benedizione per le nostre società, talvolta degradate da tanto egoismo e individualismo, e contribuiscano a renderle accoglienti per tutti”.

Una chiosa, quest’ultima, che si pone anche come un’indicazione ad un’Europa che in altri momenti assai recenti di accoglienza ne ha dimostrata ben poca. Questo vuol dire “non arrendersi al male e alla violenza” e lasciarsi “vincere dalla pace di Cristo”.

Perché “la pace è possibile, la pace è doverosa, la pace è primaria responsabilità di tutti”. E impone una scelta, dove l’alternativa vuol dire por fine al genere umano.

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