Ministro o ministra? Senatore o senatrice?

Ora Legale per i Diritti Umani

Di

Avv. Giovanna Barca – Le Avvocate Italiane

Il mondo giuridico, quello a cui appartiene, in particolar modo, il libero professionista, non è stato mai avulso  da dibattiti che riguardassero la tematica sul linguaggio di genere e, nemmeno, mai, dispensato da discussioni sulle problematiche che interessassero la discriminazione di genere.

Nell’ambito della professione forense, si fa fatica a declinare il titolo di avvocato al femminile, a volte impensabile, e, per parecchi anni, non ci si è posto questo problema, considerando che l’avvocatura fosse una professione esclusivamente maschile.

Non va dimenticato anche che l’avvocatura non era una professione qualunque, ma quella che più di ogni altra aveva un rapporto di grande contiguità con il potere politico. L’avvocato era considerato il professionista della politica, forse per questo, per lungo tempo, apparve naturale escludere le donne dall’esercizio della professione e quindi dal potere.

A distanza di anni, forse proprio per questo sottile legame tra diritto e politica, ci si trova in difficoltà quando si presenta l’occasione di essere protagonisti di importanti rivoluzioni sociali. Il pregiudizio insito nell’uomo e la voglia di mantenere il controllo e lo scettro del comando, spesso influenzano ed offuscano in maniera negativa la scelta di sostenere un cambiamento culturale e mentale che possa realizzare nella società una effettiva uguaglianza tra uomini e donne.

In data 27 luglio 2022, l’Aula del Senato ha respinto l’emendamento della senatrice Maiorino che chiedeva la possibilità di adottare la differenza di genere nella comunicazione istituzionale scritta. L’emendamento prevedeva che il “Consiglio di presidenza stabilisse i criteri generali affinché nella comunicazione istituzionale e nell’attività dell’amministrazione fosse assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l’adozione di formule e terminologie che prevedessero la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne”. 

La norma avrebbe introdotto nel linguaggio istituzionale scritto i termini ‘ministra’ e ‘senatrice’, oppure ‘la presidente’, in pratica la declinazione al femminile per tutti i ruoli, con l’abbandono del genere unico.

La proposta ha ottenuto 152 voti favorevoli, non sufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta necessaria per questa votazione.

Tantissime le riflessioni.

La Meloni, tra l’altro unica donna capo di un partito, astenendosi dalla votazione, ha dichiarato “l’evoluzione del linguaggio non si fa per legge o per regolamento, ma attraverso l’evoluzione del modo di pensare e parlare dei popoli”.

La senatrice Valente “Verbalizzare la differenza vuol dire riconoscerla, negarla vuol dire chiedere l’omologazione. Il ruolo non è neutro, è maschile. Impedire alle donne di essere riconosciute nel ruolo che svolgono significa dare per scontato che quel ruolo sia appannaggio maschile. Il tema non si è mai posto per maestra o infermiera, chiediamoci perché si pone per parlamentare o presidente. Negare questo passo di civiltà e di progresso a una delle più importanti istituzioni del Paese racconta molto dei rischi che una cultura reazionaria può innescare”.

La Conzatti “Il linguaggio è identità. Quello che puoi pensare e chiamare diventa prima possibile e poi reale. Per questo chiamare il ruolo delle donne fa sì che le donne possano immaginarsi in quel ruolo. Il linguaggio di genere deve entrare anche nelle Istituzioni ed è grave che oggi in parlamento sia stata stoppata la parità di genere nel linguaggio, è un’occasione persa”.

“Fratelli D’Italia è l’unico grande partito della storia d’Italia ad essere guidato da una donna”, fa notare il senatore Lucio Malan. “Così si dimostra attenzione all’apporto femminile nel mondo delle istituzioni. Non con norme-manifesto ideologiche da campagna elettorale. Ci siamo astenuti sull’emendamento perché riteniamo che l’evoluzione del linguaggio non si faccia per legge o per regolamento. Ma attraverso l’evoluzione del modo di pensare e parlare dei popoli. Imporre che in tutti i documenti del Senato si debba scrivere, ad esempio, non più ‘i senatori presenti’ ma ‘i senatori e le senatrici presenti’. Non più ‘i componenti della Commissione’ ma ‘le componenti ed i componenti’, ha davvero poco senso. Nessuno, infatti, né oggi né all’epoca della Costituente, ha mai pensato che quando la Costituzione dice che ‘I senatori sono eletti a suffragio universale’ si intende che le senatrici sono elette in un altro modo.  Le donne si difendono con il criterio del merito, con adeguati sostegni a chi le assume”.

In Italia, purtroppo, ancora poche sono le donne che ricoprono ruoli negli organi decisionali: se i vertici della piramide decisionale restano nelle mani degli uomini, ci saranno ancora tantissime violazioni di diritti delle donne, discriminazioni e violenza.

Però, mi chiedo anche a cosa serve un emendamento che inserisca e preveda un linguaggio di genere, quando poi dinanzi ad opinioni liberamente e democraticamente espresse dalle donne, le stesse non hanno un linguaggio rispettoso le une nei confronti delle altre?

Se noi donne stesse non ci rispettiamo tra di noi, come possiamo pretendere il rispetto degli uomini?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube