Mostra “Vite di IMI” – Internati Militari Italiani. 1943 – 1945

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Open Source. Fondo Vialli – Museo della resistenza di Bologna. Internati militari italiani fotografati all’arrivo nel campo di prigionia

Dal fronte di guerra ai lager tedeschi 1943-1945. Una storia che ci appartiene, una storia Italiana, una mostra permanente allestita a Roma nella sede dell’ANRP (Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia).

L’armistizio dell’8 settembre 1943 provocò l’immediata rappresaglia dei tedeschi che catturarono e deportarono in Germania circa 600.000 soldati italiani che furono fatti prigionieri dalla Wehrmacht tedesca. Il 20 settembre 1943 Adolf Hitler, ordinò che i prigionieri di guerra italiani fossero dichiarati “internati militari” (IMI), uno status che la legge militare internazionale non prevedeva e che annullava di conseguenza lo status di “prigionieri di guerra” e la tutela della Croce Rossa Italiana.

Lo Stalag XB insieme al suo campo di concentramento Wietzendorf (l’ex Stalag XD) era uno dei più grandi campi di transito per gli internati militari italiani (IMI). Solo uno dei 3.000 campi nella zona di Berlino esiste ancora oggi, il “GBI-Lager 75/76”, per fornire un’importante testimonianza del passato. Fu allestito alla fine del 1943 dall’ispettore generale GBI (Generalbauinspektor für die Reichshauptstadt), sotto la direzione di Albert Speers. La zona di 3,3 ettari è costituita da 13 baracche alloggio di pietra e da una caserma amministrativa disposta centralmente.

Le iscrizioni incise sui muri ricordano il destino dei prigionieri di guerra italiani. Le fotografie e le testimonianze scritte danno un’idea delle condizioni di lavoro e di vita disumane, della discriminazione razziale, della paura e della repressione spietata, ma anche del desiderio di libertà e della volontà di sopravvivere.

Nel settembre del 1943 furono registrati circa 67.000 soldati italiani che di solito venivano immediatamente trasportati in campi di lavoro. A causa dell’elevato numero di IMI presenti nel campo, lo stesso venne chiamato “Italian Lager”. Solo gli ufficiali italiani rimasero a Sandbostel.

I soldati italiani che non si misero a disposizione per continuare la battaglia a fianco dei tedeschi furono disarmati e considerati prigionieri di guerra. Molti preferirono i lager piuttosto che la collaborazione con il Reich. Tra i prigionieri di guerra furono presi in consegna molti IMI per l’industria degli armamenti e per tutta la forza lavoro specializzata che sarebbe stata messa a disposizione del procuratore generale per l‘impiego di manodopera. Tutti gli altri prigionieri di guerra furono messi a disposizione come forza lavoro.

Anche se lo status di “IMI” era in realtà uno status migliore rispetto ai rifugiati politici e agli ebrei, i leali compagni di armi di un tempo erano diventati “traditori” agli occhi di molti tedeschi. Pertanto, nel campo di prigionia di Sandbostel e sull’Arbeitskommandos sono stati spesso sottoposti a trattamenti inumani, impiccagioni o fucilazioni e le condizioni igienico sanitarie erano inesistenti.

In base ai racconti dei superstiti, che portavano solo numeri invece di nomi, si hanno delle informazioni che ci permettono di ricordare gli IMI grazie a lettere aperte sul giornale della prigione che veniva stampato a Berlino “La Voce della Patria”.

Open Source. Università di Pisa Facoltà di Scienze Politiche Scuola di Dottorato in Scienze Politiche e Sociali. 

Molti dei prigionieri soffrivano di gravi malattie, acuite dalla continua denutrizione. Di conseguenza il loro rendimento sul lavoro non era all‘altezza delle aspettative dei tedeschi.

Nell‘ ordinanza firmata il 3 agosto 1944  (NOKW 982) dal capo del comando supremo della Wehrmacht Keitel, si legge:

Il Führer ha deciso che gli internati militari italiani (ufficiali, sottufficiali, truppa e funzionari) devono essere liberati dall‘internamento e passare al rapporto di lavoro civile.

Gli internati che prestano lavoro nel campo devono passare sotto l’autorità del GBA.

Ogni internato, prima del passaggio, deve dichiarare per iscritto di essere pronto a lavorare fino alla fine della guerra in Germania alle condizioni vigenti per la forza lavoro civile assunta in Italia. Soltanto dopo aver consegnato la dichiarazione può ottenere il certificato di rilascio. Se si rifiuta di fare tale dichiarazione, resterà internato fino a nuovo ordine. Coloro che passeranno allo status di civili conserveranno l‘abbigliamento indossato fino ad allora ; prima del rilascio tuttavia dovranno togliersi tutte le insegne militari. Open Source

(http://www.isc-como.org/schiavi_di_hitler/documenti/doc/perizia_tomuschat.doc)

Open Source SANDBOSTEL- La distribuzione della sbobba in baracca. @ANCR

Secondo una notizia pubblicata il 22 luglio 1944 dal “Völkische Beobachter”, l’organo principale della macchina di propaganda nazionalsocialista, Hitler e Mussolini si accordarono su una linea comune. Il 3 agosto 1944 Mussolini e Hitler firmarono un accordo che passo gli IMI al ruolo di  lavoratori civili. In questo modo i soldati italiani poterono ricevere una minima paga e ottenere un po’ più di libertà.

E’ solo grazie al Tenente e paleontologo Vittorio Vialli che siamo in grado di poter ricordare quei momenti. Catturato dai tedeschi a Istmia l’8 settembre 1943 riuscì a recuperare una macchina fotografica di contrabbando e a scattare più di 400 foto clandestine come Internato Militare Italiano all’interno di vari lager in Polonia e in Germania. Queste fotografie danno un quadro preciso della vita quotidiana degli internati militari italiani.

La mostra, realizzata con il contributo della Repubblica Federale di Germania

Giusy Criscuolo

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