Nel declino dei tempi, un poeta di frontiera: intervista a Silvio Straneo

Arte, Cultura & Società

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Parola a un artista che ha trovato nella poesia un canale di espressione contemporaneo e ci racconta quanto pensa dell’arte nella società, tra etica e politica, dando un contribuito ad una più compiuta definizione del concetto di sociatria.

Silvio Straneo è nato a Finale Ligure (SV) nel 1973 e vive a Savona. Ha scritto nel 2003 Danzando un sorriso (Cooptipograf Editore), libro vincitore del Premio Anthia alla Rassegna Regionale del Libro Ligure, Peagna; nel 2009 esce Fabrizio and us (Cappello Edizioni) evento-libro organizzato presso il Pozzo Garitta di Albissola (SV). Nel 2015 pubblica Virgole di Saette (Cappello Edizioni). Tra i diversi riconoscimenti conseguiti si ricorda nel 2017 il Premio Speciale “Migliore autore ligure” al concorso nazionale “Premio Ossi di Seppia, XXIII edizione” e realizza nello stesso anno Fiaccole di Fuoco (Cicorivolta Edizioni) a cura di Lamberto Garzia. Nel 2018 scrive Filo di spezie (Aletti Editore), a cura di Emanuela Ersilia Abbadessa. Infine, nel 2021 È luce che non sa (Editore: Collezione Letteraria), con postfazione di Paolo Cervari.

Nel suo percorso artistico , “Solo il linguaggio dice le cose?”, “E la poesia che ci dice al riguardo?” sono alcune fra le domande con cui si è accapigliato in una sorta di retroscena, rispetto allo spumeggiare in cresta delle parole, la poesia di Silvio Straneo, non senza talora rasentare un piglio filosofico. Al riguardo egli stesso è spesso esplicito e prende posizione: “Il tentativo, qui, è di instaurare una dialettica e, parafrasando la lirica, di giungere alla sensazione che niente esista al di fuori della lingua e che l’unica esperienza possibile… sia l’esperienza verbale”, è quanto afferma in un componimento contenuto nel suo ultimo volume. Fine dicitore, è sempre intrigante discutere con lui, questa volta allargando l’orizzonte dalla poesia all’intera arte, non solo alla sua valenza estetica, ma ai risvolti sociali, etici e politici che talora assume. Entra qui in gioco un concetto non molto noto, la sociatria, con le risposte che essa oggi può dare o non dare.

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D:  L’arte può rappresentare una cura dei mali di questo mondo corrotto?

R:  Curare, avere attenzione del proprio corpo, del proprio sentire (spirito che è parte di Bios), della vita che pulsa  in altre vite significa mettere in opera azioni, pensieri, per vivere in armonia. Per giungere a questo stato di consapevolezza occorre abitare la natura ed esprimere la Bellezza che è in essa. L’espressione artistica diviene così il fuso su cui si avvolge l’intimo sentire di una esistenza integra.

D:  La vera arte prevede un codice d’onore per il quale il messaggio sotteso alla propria opera vale per l’artista con lo stesso senso sacro della parola data?

R:  L’arte ha esigenze dure e nel canto o nella apparizione della sua Idea diventa sacra. Chi fa arte ha un codice d’onore, codice che è legato indissolubilmente alla Bellezza e al suo culto. Landolfi scriveva che “è vana la parola e non ci assiste”. Contraddizione in termini per dire che è proprio la parola il segno distintivo dell’uomo in termini evolutivi cognitivi.

D:  L’arte è una risposta concreta alle tante parole vuote di larga parte di intellettuali e politici?

R:  Certo che sì, la pratica, l’esercizio, il fare, il fare del pensare, sono senza dubbio i mezzi che possono liberare l’uomo verso un habitus dei luoghi e del tempo, modalità questa di essere e di avere, per dirla alla Agamben.

D: Tornando alla prima domanda, se introduciamo il concetto di sociatria (*), mi pare che anche tu ti ponga sul fronte della sua affermazione nell’arte e con l’arte. Questo nella misura in cui la sociatria, attraverso l’arte, può generare una via di verità, alimentando la mente, rieducare o, quantomeno, scongiurare la crescente e pericolosa carenza di pensiero, oltre che tendere ad avvicinare la persona alla virtù, sino a ritrovare in senso un più ampio un rispetto dell’umanità. Più in generale, c’è l’attenzione posta verso l’apertura ad una visione culturale ampia, dove possibili intersezioni fra gli ambiti morale, artistico, economico, educativo, giuridico, religioso…, se da una parte spronano l’individuo alla risoluzione del contrasto di turno, dall’altra schiudono un percorso di crescita.

R: Certo confermo la pertinenza della tua impressione, forse nel finale un poco criptica, per soli addetti: che l’arte, o meglio la dimensione creativa individuale e collettiva, sia l’unica esperienza evolutiva dell’uomo, quasi in quanto rito sciamanico.

D: Mi potresti, a tuo dire, fornire un’alternativa …

R: L’attenzione si allarga a una visione culturale-artistica amplia che necessariamente rinuncia ai limiti settoriali e ricuce attraverso una terapeutica dialettica (filosofico-religiosa, economico-etica, giuridico-educativa) l’integrità dell’individuo. L’organicitá della comunità in cui l’individuo si mescola, consegue all’intenzione collettiva di guarire. Praticare la via e l’esperienza dell’arte?

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(*) Sociatria deriva da due termini: sŏcius, che in latino significa “amico” o “alleato”, mentre iatreia deriva dal vocabolo greco che corrisponde a “terapia” o “guarire”.  Nella lingua inglese. il termine “Sociatry” fu ideato da Jacob Levy Moreno, uno psichiatra rumeno, naturalizzato austriaco e statunitense, che, a metà del XX secolo, concepì innovative teorie e metodi basati su una nuova forma di ricerca attiva (action methods), oltre che su un nuovo approccio sistemico della psichiatria sociale. Fu, infatti, il creatore dello psicodramma, del sociodramma, della sociometria e di quella che egli chiamò la sociatria, la cura della società attraverso il gruppo.

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