Officina troppo rumorosa, il vicino va risarcito

Noi e il Condominio

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Il Tribunale condannava il titolare di un’officina al risarcimento dei danni causati al proprietario dell’appartamento soprastante, a causa delle immissioni di rumore intollerabili prevenienti dal proprio stabile. In appello, il risarcimento veniva ridotto a 10.500 euro, escludendo il danno alla salute. La Corte d’appello riteneva che, seppure le immissioni di rumore privavano il proprietario della possibilità di godere in modo pieno e pacifico della propria abitazione, non poteva ritenersi provato un danno alla salute, per cui l’unico danno risarcibile era quello della compromissione del pieno svolgimento della vita domestica.

Il danneggiato proponeva quindi ricorso in cassazione per ottenere anche il risarcimento del danno alla salute.

Il danno alla salute va dimostrato. La Suprema Corte ha confermato che il danno alla salute non può ritenersi sussistente in re ipsa, ma deve essere allegato e provato dal soggetto danneggiato. Nel caso di specie, quindi, non avendo il ricorrente fornito alcuna prova del danno alla salute, i giudici hanno correttamente limitato il risarcimento dei soli danni derivanti dalla lesione al normale svolgimento della vita familiare.

Diritto al normale svolgimento della vita familiare. L’assenza di un danno biologico documentato non impedisce il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, «allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo» (Cass. Ss.Uu.2611/2007). A tale indirizzo si è conformata la sentenza impugnata, la quale ha ritenuto che non potesse ritenersi provato un danno alla salute, riconoscendo al ricorrente il risarcimento del danno derivante dalla lesione al normale svolgimento della vita familiare.

Il normale tollerabilità e priorità dell’uso. Discorso diverso, invece, per quanto concerne la presunta «priorità temporale dell’attività commerciale rispetto alla destinazione abitativa». Su questo fronte, la Cassazione ritiene invece errata la sentenza impugnata, che «ha erroneamente considerato, ai fini dell’ammontare del risarcimento, pure il criterio della ‘priorità dell’uso’». Occorre dunque rivedere la cifra che i titolari dell’officina dovranno versare al proprietario dell’abitazione. E, in questa prospettiva, la Corte d’appello dovrà considerare che l’art. 844 c.c. «impone, nei limiti della valutazione della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio»; ma «l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità comporta, nella liquidazione del danno da immissioni, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto, venendo in considerazione in tale ipotesi unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni e, specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile».

Giuseppe Nuzzo (avvocato)

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