Pancreas ricreato nel fegato, salvo giovane motociclista

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Così si è svolto l’intervento Brescia-Milano

Un nuovo pancreas dentro al fegato, per scongiurare un destino segnato dal rischio di diabete. Un’eccezionale staffetta Brescia-Milano ha permesso di salvare la funzione dell’organo produttore di insulina in un motociclista 19enne vittima di un incidente stradale, grazie a un autotrapianto di beta cellule pancreatiche (la fabbrica dell’ormone controlla-zuccheri) all’interno del tessuto epatico, che ha permesso di ricreare l’attività endocrina perduta.

I protagonisti dell’impresa record, definita “unica in Italia e per certi aspetti unica al mondo”, sono i camici verdi della III Divisione di Chirurgia degli Spedali Civili di Brescia – che hanno rimosso in laparoscopia il corpo e la coda del pancreas del giovane centauro, lacerati irrimediabilmente – e i camici bianchi del Diabetes Research Institute-Dri San Raffaele di Milano, che hanno lavorato una notte intera per ricavare dal tessuto inviato dai colleghi bresciani le cellule da rispedire al mittente per essere reinfuse.

A distanza di 3 settimane dal grave incidente, “il paziente è stato dimesso in eccellenti condizioni generali”, annunciano oggi i sanitari. “In particolare il profilo glicemico, alterato dopo la pancreatectomia – spiegano i medici – è andato progressivamente migliorando, fino a valori di assoluta normalità nell’arco delle 24 ore. Il giovane verrà seguito nei prossimi mesi per verificare la regolarità del decorso post-operatorio e l’efficienza del ricostituito patrimonio endocrino pancreatico”.

Da un lato il team di Guido Alberto Massimo Tiberio, professore ordinario di Chirurgia generale all’università degli Studi di Brescia-Asst Spedali Civili, dall’altro l’équipe dell’Unità di processazione delle isole pancreatiche dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano, guidata da Lorenzo Piemonti, direttore del Dri.

In trincea ci sono Tiberio e i suoi, i primi a intervenire quando in ospedale arriva un ragazzo scampato a un incidente in moto. Il pancreas ha riportato danni irreparabili e i chirurghi procedono all’asportazione laparoscopica di corpo e coda, le parti dell’organo dove risiede il grosso delle cellule deputate alla produzione di insulina. “In un caso come questo – sottolineano gli esperti – il rischio di sviluppare il diabete poco tempo dopo l’intervento è pari al 10-20%. Nel lungo termine, però, la percentuale si alza fino al 50%, influenzando radicalmente la qualità di vita del paziente”.

Per salvare il giovane da una vita di insulino-dipendenza, il medici bresciani contattano lo staff di Piemonti. Insieme decidono che non c’è un minuto da perdere e così in poche ore la parte di pancreas asportata a Brescia arriva a Milano in via Olgettina, dove nei laboratori del Dri inizia la lunga opera di isolamento e purificazione delle beta cellule. Serve una notte intera, ma al mattino le isole pancreatiche possono essere rimandate ai Civili e restituite al paziente, in collaborazione con Marco Di Terlizzi, radiologo interventista dell’Asst bresciana. Le beta cellule vengono immesse nel fegato attraverso la vena porta, nel giro di qualche settimana attecchiscono e riprendono a produrre insulina. Il pericolo di diabete è stato dribblato.

L’intervento, chiariscono all’AdnKronos Salute dal San Raffaele, è “il primo in Italia perché l’isolamento delle cellule beta ‘in remoto’ era già stato eseguito su un soldato statunitense ferito in guerra e operato al pancreas in Europa con cellule isolate a Miami”. E’ però “il primo al mondo considerando la combinazione fra tecnica mini-invasiva per l’asportazione del pancreas (laparoscopia fatta a Brescia) e isolamento delle cellule beta in remoto (San Raffaele Milano)”.

“Fino ad ora – evidenzia Piemonti – sono stati descritti meno di 10 casi al mondo in cui è stato utilizzato questo approccio, che richiede competenze multidisciplinari ed expertise che solo in poche situazioni si riescono a coordinare in regime di urgenza. Inoltre, l’asportazione del pancreas con tecnica mini-invasiva e la preparazione dei tessuti per il trapianto in un luogo diverso rispetto a quello del ricovero costituiscono una combinazione unica, che non si è mai verificata in nessuno dei casi finora descritti”.

“La collaborazione tra ospedale San Raffaele e Spedali Civili è un bell’esempio di sanità pubblica e privata votata all’eccellenza – osserva Tiberio – resa possibile dalla capacità di lavorare in rete e dall’abitudine a eseguire procedure complesse e a elevatissimo contenuto culturale e tecnologico anche in condizioni di emergenza, al di fuori dei canonici orari di lavoro, nel solo interesse del paziente. Sono bastate due telefonate per attivare una procedura che ha coinvolto, nella sola fase operativa, 16 specialisti tra medici, biologi, chimici e infermieri”. 

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