Pascoli e la forza indagatrice del mistero

Arte, Cultura & Società

Di

di Stefania Romito

Pascoli ebbe una concezione dolorosa della vita, sulla quale influirono due fatti principali: la tragedia familiare e la crisi di fine Ottocento. La tragedia familiare colpì il poeta quando il 10 agosto del 1867 gli fu ucciso il padre. Alla morte del padre seguirono quella della madre, della sorella maggiore, Margherita, e dei fratelli Luigi e Giacomo. Questi lutti lasciarono nel suo animo un’impressione profonda e gli ispirarono il mito del “nido” familiare da ricostruire, del quale fanno parte i vivi e idealmente i morti, legati ai vivi dai fili di una misteriosa presenza.

In una società sconvolta dalla violenza e in una condizione umana di dolore e di angoscia esistenziale, la casa è il rifugio nel quale i dolori e le ansie si placano. La sua ribellione fu un senso di ripulsa e di avversione per una società, l’ingiustizia in cui era possibile uccidere impunemente e nella quale si permetteva che una famiglia di ragazzi vivesse nella sofferenza e nella miseria.

Non c’è ribellione nella sua poesia, ma rassegnazione al male, una certa passività di fronte ad esso. Vi domina una malinconia diffusa nella quale il poeta immerge tutto, uomini e cose. Egli accetta la realtà triste come è, e si sottomette al mistero che non riesce a spiegare. La sua poesia non ha una trama narrativa e non è neppure descrittiva. Esprime soltanto degli stati d’animo, delle meditazioni. È l’ascolto della sua anima e delle voci misteriose che gli giungono da lontano. Dalla natura o dai morti.

L’altro elemento che influenzò il pensiero di Pascoli fu la crisi che si verificò verso la fine dell’Ottocento e travolse i suoi miti più celebrati, a cominciare dalla scienza liberatrice e dal mito del progresso. Pascoli, nonostante fosse un seguace delle dottrine positivistiche, non solo riconobbe l’impotenza della scienza nella risoluzione dei problemi umani e sociali, ma l’accusò anche di aver reso più infelice l’uomo, distruggendogli la fede in Dio e nell’immortalità dell’anima, che erano stati per secoli il suo conforto.

Pertanto, perduta la fede nella forza liberatrice della scienza, Pascoli fa oggetto della sua mediazione proprio ciò che il positivismo aveva rifiutato di indagare, il mondo che sta al di là della realtà fenomenica, il mondo dell’ignoto e dell’infinito, il problema dell’angoscia dell’uomo, del significato e del fine della vita. Egli però conclude che tutto il mistero nell’universo è che gli uomini sono creature fragili ed effimere, soggette al dolore e alla morte, vittime di un destino oscuro ed imperscrutabile. Pertanto esorta gli uomini a bandire, nei loro rapporti, l’egoismo, la violenza, la guerra, ad unirsi e ad amarsi come fratelli nell’ambito della famiglia, della nazione e dell’umanità. Soltanto con la solidarietà e la comprensione reciproca gli uomini possono vincere il male e il destino di dolore che incombe su di essi.

La condizione umana è rappresentata simbolicamente dal Pascoli nella poesia I due fanciulli, in cui si parla di due fratellini, che, dopo essersi picchiati, messi a letto dalla madre, nel buio che li avvolge, simbolo del mistero, dimenticano l’odio che li aveva divisi e aizzati l’uno contro l’altro, e si abbracciano trovando l’uno nell’altro un senso di conforto e di protezione, sicché la madre, quando torna nella stanza, li vede dormire l’uno accanto all’altro e rincalza il letto con un sorriso.

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