Per mezzo milione di italiani la gig economy serve a sopravvivere

Economia & Finanza

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La metà sceglie di lavorare per le piattaforme in mancanza di alternative. Uno su tre non ha un contratto scritto e solo uno su 10 ne ha uno di lavoro dipendente. Viaggio nella nuova precarietà digitale.  Qual è l’identikit che emerge dai dati.

Lavoratori della gig economy, rider

 

AGI – In Italia la gig economy, i cosiddetti lavoretti con cui arrotondare, riguarda solo una minoranza dei lavoratori delle piattaforme digitali. Per l’80,3% di questi, infatti, è una fonte di sostegno importante o addirittura essenziale, mentre per circa la metà (48,1%, pari a 274mila soggetti) rappresenta l’attività principale: in tutto sono 570 mila.

È quanto emerge dal policy brief “Lavoro virtuale nel mondo reale: i dati dell’Indagine Inapp-Plus sui lavoratori delle piattaforme in Italia”, che offre un quadro dettagliato delle caratteristiche dei lavoratori delle platform work in Italia in tutte le sue diverse manifestazioni.

Dall’indagine emerge che uno su due sceglie di lavorare per le piattaforme in mancanza di alternative occupazionali (50,7%). Oltre il 31% non ha un contratto scritto e solo l’11% ha un contratto di lavoro dipendente. Si tratta, dunque, di un lavoro povero, fragile. In altri termini, di una nuova precarietà digitale.

L’indagine, che ha coinvolto oltre 45mila intervistati e che anticipa i propri dati a pochi giorni dalla presentazione della proposta di direttiva della Commissione europea per il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle piattaforme, sfata i miti della sharing economy. Le piattaforme digitali richiamano sempre piu’ forme di lavoro rigidamente controllate (nei tempi e nei modi), pagate spesso a cottimo (50,4% dei casi) e il cui guadagno risulta fondamentale per chi lo esercita.

“L’adozione della direttiva sulle condizioni di lavoro nelle piattaforme proposta lo scorso 9 dicembre puo’ rappresentare un importante punto di riferimento sovranazionale per regolamentare e tutelare il lavoro delle piattaforme”, ha affermato Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp che aggiunge: “In tale nuovo contesto fino a cinque milioni e mezzo di lavoratori digitali in Europa potrebbero essere riclassificati come lavoratori subordinati, usufruendo cosi’ di alcuni diritti fondamenti (tra cui salario minimo, orario di lavoro, sicurezza e salute sul lavoro, forme di assicurazione e protezione sociale) finora negati”.

“Queste garanzie –  spiega – consentirebbero non solo di bilanciare in maniera piu’ equa l’interesse dei fruitori di tali servizi con il diritto a condizioni di lavoro dignitose, ma anche di assicurare condizioni concorrenziali piu’ sane nei diversi mercati e una maggiore trasparenza fiscale”. La tipologia dei lavori in piattaforma è molto variegata: è necessario intervenire soprattutto e prioritariamente là dove le condizioni lavorative sono piu’ esposte al rischio di sfruttamento”. L’universo delle piattaforme.  

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