Perché la lotta all’evasione fiscale fallirà

Economia & Finanza

Di

di Vincenzo Circeo*

Il Governo Conte Due, insediatosi sulla base dell’unica vera tradizione della classe politica italiana, il trasformismo (leggasi la tutela delle poltrone), ponendo a base della propria politica finanziaria il reperimento problematico delle somme da porre in bilancio, ha ritenuto di far quadrare i conti con la previsione di una enorme entrata derivante, si spera, dalla lotta all’evasione ed all’elusione fiscale.

Tenteremo qui di spiegare perché questa lotta alla vera grande evasione non potrà riuscire e tutto si concluderà con l’ennesima stretta dei freni ai piccoli e piccolissimi evasori, dai quali, per forze di cose, non si potrà ricavare granché. Andiamo subito all’essenza del problema: per contrastare realmente la vera evasione fiscale, quella miliardaria, è necessario, anzi indispensabile, che a livello della Unione Europea, si affermi in maniera concreta e reale, e non solo a parole, un concetto fondamentale, che si chiama armonizzazione fiscale. Se ne parla da sempre, ma per ora è solo un mito. E’ in effetti un tema che richiede il consenso di tutti gli stati membri, e quindi il veto è dietro l’angolo. In pratica, si tratterebbe, di un coordinamento necessario tra tutti gli stati membri, per stabilire regole comuni (già però il Regno Unito, dal 2016, fa sapere che la cosa non lo riguarda più. E trattasi di un partner finanziario particolarmente importante a livello mondiale).

E’ il mondo delle grandi società che è particolarmente interessato, dato che il fatto che esistano plurimi sistemi è ampiamente sfruttato dai colossi economi e finanziari, per usare gli spazi che favoriscono l’elusione, ma sono, in proposito, in piccoli paesi, primo fra tutti il Lussemburgo, che eccellono nell’arte di frantumare le aliquote fin quasi a zero per attirare sul loro territorio le multinazionali. Perno di tutto sarebbe la base imponibile consolidata comune per le imposte sulle società, con l’obiettivo di calcolare i profitti tassabili dove esse operano, in modo da compensare utili e perdite in tutta l’Unione con una sola dichiarazione, ma i vari governi intendono continuare a stabilire le regole di determinazione dell’imposta, consentendo, con appositi accorgimenti, un sistema che giunge a rasentare la vera e propria non imposizione. In Lussemburgo, ma non solo lì, per opera Junker ancora oggi, ai vertici dell’unione, il sistema in vigore è detto del “tax ruling”, cioè accordi preventivi scritti emessi dall’autorità fiscale locale, che indicano alla società richiedente come sarà valutato il peso fiscale di un suo affare formalizzato anche fuori da quello stato. Basta avere una casella postale in Lussemburgo come sede locale di una società, ed il Lussemburgo ve ne sono migliaia, e con una pura operazione di ingegneria finanziaria, si può ridurre la tassazione anche sotto l’1%, basta trasferire i profitti realizzati altrove su quella filiale pro-forma. Ecco, ad esempio, cosa accade in concreto: una grande società, che a casa sua opera in un regime fiscale societario dalle aliquote molto elevate, carica di ingenti spese per brevetti o licenze le filiali ubicate in paesi in cui sono concesse grandi agevolazioni.

 

 

In questo paesi, il Lussemburgo di Junker ad esempio, queste società, oltre a gestire la proprietà intellettuale ed incassare le royaltis, non fanno altro. E’ tanto se hanno una stanza ed una impiegata; di solito si tratta di uno sportello virtuale. Il guadagno viene poi canalizzato verso i paradisi caraibici. Ci guadagnano il Lussemburgo e gli altri stati compiacenti, ci rimettono le piccole imprese che non possono permettersi quanto sopra.

Quando il deputato europeo Sven Giegold ha dichiarato: per venti anni, alcuni stati, Lussemburgo in primis, hanno fermato il cammino dell’Europa verso una tassazione pulita: rifarei la stessa cosa, abbiamo voluto diversificare la nostra economia in Lussemburgo. Ma ora, dirà qualcuno, Junker se ne andrà; non dobbiamo essere ingenui; il Lussemburgo resterà ed anche il “tax ruling”. Pagheranno bottegai ed artigiani, questi si, ma non le multinazionali che hanno le caselle postali in Lussemburgo. E’ il libero mercato, signori. La politica fiscale appartiene ai singoli stati e le autorità europee non hanno mai fatto nulla per armonizzarla e né lo faranno ora.

Vincenzo Cerceo (già Colonnello della Guardia di Finanza)
 
 

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