Politica monetaria

Economia & Finanza

Di

Era solo questione di tempo, ovviamente economico, e i “problemi” dell’Euro sarebbero ricomparsi. Gli economisti lo sapevano. Anche i nostri politici ne erano informati; ma s’è preferito proseguire verso una valuta europea unica. Ufficialmente, non si era evidenziata l’opportunità di rinunciare, per volontà o imposizione, all’Euro Zona della quale, però, fanno parte solo 20 dei 28 Paesi membri UE. Insomma, essere “europei stellati” non implicava la necessità, impellente, d’aderire alla moneta unica.

 Il nostro Paese mandava in “pensione” la Lira con una conversione (immutabile), pari a Lit.1936,27 per un Euro. In sostanza, un abbattimento reale di poco inferiore al 50% sul potere d’acquisto ante Euro. Era il febbraio del 2002. A quasi 16 anni da quella data, anche per gli eventi che si sono verificati sul fronte economico nazionale, la questione è sempre alla ribalta ed ha determinato dei nuovi dubbi; forse anche dettati dal timore di una certa dipendenza economica da parte dei Paesi, ove la valuta unica resta più” forte”. Meglio sarebbe stato un Referendum sull’adozione dell’Euro. Dato che la questione andava a coinvolgere la nostra economia interna, avrebbe dovuto spettare al Popolo decidere direttamente.

Invece, i tempi sono stati accelerati. L’Euro non è nato per livellare i sistemi economici dei Paesi aderenti. I parametri per la gestione di una buona amministrazione sono rimasti, com’era prevedibile, quelli del secolo scorso. Tornando, all’Italia, nella fatidica notte di conversione Lira/Euro, ci siamo trovati più “poveri” e i prezzi, in pochi mesi, sono stati adeguati al valore intrinseco della nuova moneta. Ad esempio, ciò che costava Lit.1000, era prezzato, poi, a 1 Euro. In pratica, un importo doppio. Peccato, però, che nello stesso tempo gli stipendi e le pensioni non abbiano seguito la stessa dinamica.

Ne consegue, a nostro avviso, che l’Euro Zona non ha rappresentato, almeno sotto il profilo della politica monetaria, un approdo sicuro per la nostra economia. Che, nonostante tutto, si barcamena ancora tra le secche di una situazione evolutiva della quale non ci sentiamo d’ipotizzare i concreti progressi. Dopo il tracollo della politica, siamo preoccupati sull’evoluzione della nostra economia.

Giorgio Brignola

Che cosa è la politica monetaria

Chiarito quanto in premessa, possiamo definire la politica monetaria come quella serie di attività e di processi con cui la banca centrale (ovvero, l’autorità monetaria), controlla l’offerta monetaria, intesa come la disponibilità di denaro e il suo costo, al fine di raggiungere i propri obiettivi, orientati verso la crescita economica e la stabilità generale.

Sulla base (anche) di quanto anticipato, possiamo pertanto affermare che la politica monetaria si occupa di gestire la relazione tra i tassi di interesse nell’economia e l’offerta totale di denaro: nelle ipotesi in cui la banca centrale scelga di espandere l’offerta monetaria, sarà disponibile una maggiore quantità di denaro per gli investimenti o per la spesa, con effetto favorevole sulla crescita economica del Paese (d’altronde, gli investimenti aziendali e la spesa delle famiglie sono le determinanti principali della crescita economica di una nazione).

Tuttavia, se l’offerta monetaria si espande troppo rapidamente, raggiungendo livelli elevati, viene indotto un alto tasso di inflazione, che è di solito considerato come un fattore determinato per l’economia. L’elevata inflazione può infatti pregiudicare il potere di acquisto: nel caso in cui l’offerta di moneta si contragga in maniera eccessiva, comporterebbe un tasso di inflazione più basso e potrebbe altresì rallentare la crescita.

Se quanto sopra è chiaro, possiamo altresì rammentare come per poter trovare l’equilibrio tra un tasso di inflazione ragionevole e una crescita economica sana, le banche centrali attuano due diversi tipi di politica monetaria: quella di natura accomodante, e quella di natura restrittiva. Ma quali sono le differenze?

Politica monetaria accomodante

Se l’autorità monetaria avvia una politica di tipo espansivo, significa che la banca centrale tenderà a incrementare l’offerta monetaria nel Paese. Questo conduce poi a un aumento degli investimenti aziendali, una maggiore spesa per i consumatori e uno stimolo alla crescita economica mediante tassi di interesse più bassi (i prestiti diventano più economici).

Naturalmente, una simile politica (che nei termini di cui sopra potrebbe essere super positiva) ha anche dei punti di attenzione e di accortezza. Attuando una politica accomodante, infatti, la banca centrale punta a tagliare di tassi di interesse reali, e riducendo i tassi di interesse reali le attività finanziarie e patrimoniali del Paese tendono a diventare meno attraenti, a causa dei rendimenti meno elevati. Gli investitori stranieri saranno dunque probabilmente indotti a tagliare le proprie posizioni sul debito nazionale, sull’immobiliare, sui titoli e sulle altre attività. Gli investitori nazionali tendono ad astenersi dall’investire nel proprio Paese, e cercheranno rendimenti più interessanti all’estero.

Uno scenario di cui sopra, pertanto, comporta la diminuzione dell’attività di investimento nazionale, con domanda più bassa per la moneta nazionale e una domanda più elevata per la valuta del Paese estero: il tasso di cambio della moneta nazionale dunque tende a diminuire.

Politica monetaria restrittiva

Se l’autorità monetaria pone in essere una politica monetaria restrittiva, diminuisce l’offerta monetaria nel Paese. In altri termini, se la banca centrale ritiene che l’offerta di moneta è su livelli troppo elevati, e vuole ridurla, uno degli strumenti più utili è l’incremento dei tassi di interesse. Una simile misura limiterebbe infatti la capacità delle imprese e delle famiglie di prendere soldi in prestito, considerato che tassi di interesse più elevati sono uguali a maggiori costi di indebitamento.

Ne consegue che con una politica monetaria restrittiva verrebbero limitate le attività di investimento delle imprese e la spesa delle famiglie, con riduzione della domanda di beni e di servizi. La crescita economica può dunque rallentare ma, d’altra parte, gli alti tassi di interesse e la domanda ridotta potrebbero ridurre la pressione inflazionistica.

Anche in questo caso, però, bisogna sempre guardare le due facce della stessa moneta. Mediante una politica restrittiva, infatti, la banca centrale punta ad aumentare i tassi reali e, aumentando i tassi reali, le attività finanziarie e patrimoniali del Paese tendono a divenire più attraenti, a causa del loro rendimento più elevato. Ne consegue che gli investitori nazionali tenderanno ad essere più disposti a investire nel proprio Paese e gli investitori stranieri tenderanno a espandere le proprie posizioni in obbligazioni nazionali, nell’immobiliare, e così via. L’aumento dell’attività di investimento nazionale porterà a una domanda più elevata per la moneta nazionale, e il tasso di cambio della moneta nazionale tenderà ad incrementare.

In che modo la banca centrale sceglie la sua politica monetaria

Non è facile cercare di riassumere quali sono gli elementi che una banca centrale dovrebbe assumere in maggiore considerazione per poter orientare la propria politica monetaria. Sicuramente, tra i principali ci sono i tassi di inflazione, la crescita economica, gli indicatori macroeconomici ulteriori come il tasso di disoccupazione. Il tutto, ponderato con i propri target, ovvero con i livelli giudicati “desiderabili”, e che di norma vengono inseriti nello statuto delle istituzioni monetarie.

A titolo di esempio, evidenziamo come la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea abbiano fissato nel 2% a/a un obiettivo di inflazione. Nel caso in cui l’inflazione sia al di sotto dell’obiettivo si andrà ad attuare una politica monetaria accomodante, e viceversa.

Si tenga inoltre conto che le politiche monetarie vengono mosse in maniera molto graduale, a piccoli passi: un simile approccio cauto è richiesto non solamente per la stabilità, quanto anche perchè la banca deve vedere in che misura questo aggiustamento avrà un impatto sull’economia globale. È proprio per questo motivo che di solito i tassi vengono alzati o diminuiti per 25 pb o per 50 pb. Ed è anche per questo motivo che i cicli di aumento o di diminuzione avvengono nell’arco di più anni.

Infine, sottolineiamo come generalmente l’adozione di politiche di tassi più bassi avvenga con maggiore celerità, mentre i cambiamenti di tassi di interesse al rialzo si verificano in modo più lento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube