Polonia, Cina, Iran: i tre fronti dell’Ue oggi

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Carta di Laura Canali

Le notizie geopolitiche del 4 luglio, a partire dalle priorità commerciali, diplomatiche e giuridiche di Bruxelles oltre la questione dei migranti.

di Federico Petroni

POLONIA

La partita in corso a Varsavia sull’abbassamento dell’età di pensionamento dei giudici della Corte suprema non riguarda solo la Polonia, nonostante il suo governo pretenda il contrario. A chiarirlo sono le parole dello stesso premier Morawiecki, significativamente pronunciate al Parlamento Europeo: “Ogni paese nell’Unione ha il diritto di plasmare il proprio sistema legale secondo le proprie tradizioni”. Dove a interpretare queste ultime è ovviamente il partito al potere in questo momento.

Varsavia rivendica di fatto di potersi allontanare dalle regole a cui lei stessa ha accettato di sottostare aderendo all’Ue. Così facendo si pone, assieme all’Ungheria di Orbán e solo in qualche istanza appoggiata dagli altri paesi del gruppo di Visegrád, alla guida del fronte sovranista orientale determinato a resistere alla temuta sottomissione alla Germania.

A determinare tale deriva è stata senza dubbio la crisi finanziaria del 2008-10, che ha interrotto il sogno di prosperità crescente implicito nella narrazione europeista. Non che l’economia polacca non se la passi bene, tutt’altro. Ma la rottura dell’incantesimo ha riportato alla ribalta gli Stati e la necessità di accomodare i loro sempre meno conciliabili interessi. Convincendo l’Europa centro-orientale della necessità di alzare la voce per difendere le proprie fragili e recenti conquiste. In questo imbaldanzita dall’esplicito sostegno degli Usa, cui la regione serve per allestire il contenimento alla Russia, principale spauracchio di questi paesi.

Di fronte a questa sfida, la Commissione Europea può fare ben poco, oltre ad aprire procedure d’infrazione e a minacciare di ridurre del 23% i fondi di coesione per la Polonia nel bilancio 2021-27. Non esistono regolamenti per impedire la divaricazione degli interessi dei membri dell’Ue.

LA CINA NON È VICINA

L’Unione Europea non è disposta a prestare il fianco alla Cina nella guerra commerciale contro Donald Trump. Questo quanto emerge dalle indiscrezioni a proposito di una richiesta di Pechino alle cancellerie dell’organizzazione di redigere un duro comunicato contro il presidente Usa e le sue iniziative che hanno ristretto, sia per il Vecchio continente che per l’Impero del centro, il libero scambio verso il Nordamerica. In vista del vertice sino-europeo che si terrà nella capitale asiatica il 16-17 luglio, i funzionari mandarini erano pure disposti a fornire agli emissari dell’Ue una lista dei settori in cui effettueranno in futuro liberalizzazioni.

Ma i diplomatici di Bruxelles non hanno ceduto alle lusinghe. Poiché, riportano le fonti, concordano con le preoccupazioni economico-strategiche di Washington sulla Cina, solo non con i mezzi per arginarla. Si conferma così la posizione gregaria dell’Ue nei confronti degli Usa. Impossibilitata a sottrarsi all’esibizione dei muscoli della superpotenza guardandosi altrove. Per mancanza di alternative concrete e per preoccupazioni di sicurezza nazionale. Per una volta, almeno, non per le proprie debolezze strutturali.

MINACCE IRANIANE?

Un ambito in cui l’Ue sta attivamente provando a resistere all’agenda di Trump è l’Iran, con cui i paesi ancora firmatari dell’accordo sul programma nucleare rigettato dagli Usa si incontreranno a Vienna venerdì. Sempre in Europa è in questi giorni il presidente della Repubblica Islamica Rohani. Dall’Austria, l’alto funzionario ha detto che Teheran si atterrà al patto se saranno garantiti tutti i suoi benefici.

Commento sibillino che fa il paio con quello lanciato ieri dalla Svizzera a proposito delle esportazioni di petrolio. Interpretato da Reuters come una (molto) velata minaccia di interrompere il flusso di oro nero attraverso lo stretto di Hormuz, dal quale transitano ogni giorno circa 16 milioni di barili. Non sarebbe la prima volta che l’Iran ventila tale ipotesi o conduce attacchi in tal senso (erano gli anni Ottanta). Ma il sito della presidenza della Repubblica Islamica riporta la seguente dichiarazione: “Gli americani dicono di voler completamente fermare l’export del petrolio iraniano, ma non capiscono il significato di questa frase, poiché non ha alcun senso che il petrolio dell’Iran non possa essere esportato e quello [del resto] della regione sì”.

Di qui a leggere una minaccia ce ne passa. Ma la stessa lettura l’ha offerta un giubilante generale Qassem Soleimani, capo delle operazioni estere della forza d’élite dei pasdaran, dichiarandosi pronto a condurre missioni in tal senso. Chiaramente, minacce a Hormuz non aiuterebbero Bruxelles a mantenere i rapporti con Teheran.

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