Psicologia della paura: come affronta il nostro cervello il timore del coronavirus e perche’ ci condiziona piu’ di altri pericoli

Ambiente, Natura & Salute

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Nelle ultime settimane abbiamo visto dominare nell’agenda-setting nazionale l’emergenza coronavirus. In questo approfondimento non voglio affrontare l’argomento da un punto di vista informativo, medico o politico, ma sotto il punto di vista della psicologia comunicativa: perché questa situazione fa più paura del cambiamento climatico, di una qualsiasi altra malattia mortale, di incidenti e guerre?
L’argomento è interessante per chi si occupa di comunicazione e per chi è interessato a capire alcuni meccanismi psicologici che scattano nell’essere umano.
Oggi esaminiamo i funzionamenti inconsci che scattano nei vari contesti, aiutandoci a comprendere, in parte, il funzionamento del consumo, i rapporti sociali e il ruolo dell’informazione. 

PANORAMICA SUL MONDO: UNA LISTA DI QUELLO DI CUI AVER TIMORE, DAL CLIMA ALLE MALATTIE

Partiamo dalla premessa che non bisogna minimizzare il virus e la sua pericolosità. Se da un lato non dobbiamo eccedere nell’allarmismo, dall’altro è fondamentale rispettare alcune buone regole per evitare scenari più gravi (vedi la campagna #iorestoacasa).
Prima di osservare il lato psicologico scorriamo una serie di esempi e di numeri che dimostrano come nel mondo le cose che dovrebbero farci cambiare abitudini sono tante, ma non sembrano minare il nostro modo di vivere.

CAMBIAMENTO CLIMATICO

Il Climate Index Risk ha dichiarato che negli ultimi 20 anni i fenomeni meteorologici aggravati dal cambiamento climatico hanno causato 500 mila vittime nel mondo, ed è stimato che tra il 2030 e il 2050 questa crisi del pianeta ne provocherà altre 250 mila ogni anno.
Senza contare che l’inquinamento dell’aria è la causa di circa 80 mila decessi l’anno (Agenzia Europea dell’Ambiente) solo nella nostra nazione. Secondo i ricercatori dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) entro il 2100 ci saranno perdite economiche che oscilleranno tra gli 8,1 e i 15 trilioni di dollari.
E potremmo continuare con le specie animali a rischio, lo scioglimento dei ghiacciai e altro ancora.

Germanwatch@Germanwatch

Longterm results Risk Index 2020 shows: developing countries particularly & most existentially hit by extreme weather events. needs to decide tangible next steps to support them in addressing , also by financial means @UNFCCC

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MALATTIE, ABITUDINI ALIMENTARI E INCIDENTI

La prima causa di morte in Italia è per le malattie del cuore. Seppur i decessi siano in diminuzione oggi se ne contano circa 150 mila l’anno. Nonostante questo sono pochissime le persone che mantengono sotto controllo lo stato di salute del sistema cardiaco (sebbene ci siano molteplici misure di prevenzione previste dal nostro Servizio sanitario nazionale).
Seguono come motivi di decesso il tumore a trachea, bronchi e polmoni, con una media di circa 30 mila decessi su 250 mila casi l’anno. Tra le principali cause che fanno insorgere queste patologie troviamo l’inquinamento, il fumo, l’abuso di alcol, una scorretta alimentazione e la sedentarietà.
Nonostante questo, secondo i report dell’Istituto superiore della sanità, il numero di fumatori non accenna a diminuire. Come anche le abitudini di una cattiva alimentazione che oltre a portare direttamente alla morte causano varie tipologie di malattie: dall’ipertensione alle malattie dell’apparato cardiocircolatorio, malattie metaboliche e diabete.
Numeri, insomma, molto alti.
Come il numero delle vittime di sinistri stradali: si stima che ogni anno muoiano circa 3000 persone in seguito a incidenti, causati soprattutto da comportamenti errati alla guida, come l’uso dello smartphone o l’alta velocità. Eppure scrivere un messaggino alla guida ci appare lo stesso meno pericoloso e controllabile.

PAURA E PERCEZIONE DEL RISCHIO: COME SI COMPORTA IL NOSTRO CERVELLO E IL RUOLO DELL’INFORMAZIONE

La paura è una delle emozioni di base. E’ evolutivamente funzionale alla sopravvivenza della specie, è adattiva: ci avvisa quando si manifesta una minaccia, ci mette in allerta. La paura non è quindi qualcosa di negativo.
Lo studio delle emozioni, sia a livello neurofisiologico sia psicologico mostra come solo grazie alla paura è possibile affrontare in modo adeguato il pericolo.
E’ da sottolineare come la risposta alla minaccia non è necessariamente uguale per ogni individuo, ma dipende da come viene percepita quella minaccia e dalla valutazione del rischio che ne deriva.La psicologia ci aiuta a definire in questo modo la paura come la sensazione di pericolo che abbiamo rispetto a un rischio: nel dettaglio abbiamo paura di quegli elementi o quelle situazioni avvertite come non controllabili.

Alla base dell’analisi sociologica troviamo pericolo e percezione, a loro volta influenzate dalla rappresentazione sociale, ossia come la società descrive una situazione pericolosa e quali sono i suoi suggerimenti per affrontarla.

Nel nostro approfondimento, per comprendere perché l’emergenza sanitaria attuale fa più paura di tanto altro, dobbiamo distinguere, con le parole di Luhmann (sociologo tedesco), il pericolo dal rischio. Il primo si riferisce a cose o situazioni che dipendono da elementi esterni, non controllabili; il secondo si riferisce a danni derivati da una specifica azione.
Partendo da questo breve riassunto sulla paura possiamo analizzare come viene alterata la nostra percezione del rischio in questo momento storico, relativo al coronavirus, ma che può essere applicato a una serie di decisioni e atteggiamenti che un individuo assume nell’arco della giornata, nei suoi rapporti e nei consumi.

TEMPO, SPAZIO E CONOSCENZA: L’IMPORTANZA DELLA PROSSIMITÀ E DELLA MANCANZA DI CONTROLLO NELLA PERCEZIONE DI UN RISCHIO

La percezione del rischio è variabile e deriva da fattori soggettivi che dipendono da come percepiamo la realtà e da come giudichiamo le cose: sono le nostre esperienze che ci portano a fare una prima valutazione.

Un primo fattore che altera la nostra percezione è la prossimità del pericolo. Un virus, invisibile, con potenzialità mortali, accresce la nostra percezione di rischio se riguarda noi stessi, se quella minaccia entra nella nostra sfera, “vicino a noi”. Un pericolo che percepiamo lontano dal nostro mondo, nello spazio e nel tempo, per quanto possa preoccuparci, non risulterà abbastanza potente da farci cambiare stile di vita o imporci nuovi modi di agire. Ecco perché l’epidemia localizzata in specifici luoghi come città, navi, ospedali, circoscritti alla nostra terra ci spinge, oltre a preoccuparcene, anche a considerare in maniera più forte quel pericolo. Se il contagio di una malattia si verifica in un punto geograficamente lontano e allo stesso tempo in un punto vicino, la percezione sarà elevata per la sua vicinanza e per la globalizzazione: la popolazione viaggia e si sposta, rappresentando un rischio.

Allo stesso modo la sensazione del tempo è altrettanto importante nella percezione di un pericolo: quando per esempio parliamo del cambiamento climatico, gli effetti che siamo in grado di vedere personalmente sono, di fatto, limitati. La degenerazione della terra si colloca su una scala temporale molto ampia, di molto più estesa anche della vita umana, rispetto a un nuovo virus che in pochi mesi ha colpito gran parte del mondo, causando vittime e rendendolo comprensibile al nostro pensiero.

Un altro aspetto è quello della novitài rischi “nuovi” sono avvertiti come maggiormente pericolosi rispetto a quelli conosciuti, ed ecco perché il coronavirus, che rappresenta una minaccia sullo sfondo internazionale, spaventa più di altre malattie o influenze che siamo abituati ad affrontare regolarmente. Collegato è il fatto di non avere controllo sulla minaccia: un virus invisibile, di cui non abbiamo una cura, che non sappiamo come affrontare, ci rende più impauriti di fronte all’emergenza.
Uno stile di vita poco sano, potenzialmente rischioso, o metterci alla guida di un veicolo, ci fa percepire il pericolo in maniera differente perché pensiamo di avere un controllo maggiore: noi guidiamo e noi abbiamo determinate abitudini.

Dagospia @_DAGOSPIA_

CORONAVIRUS, LE TAPPE DEL CONTAGIO IN ITALIA NELLA MAPPA IN TIMELAPSE: TUTTI I NUMERI E LE CITTA’

http://ow.ly/fWgP102ciah 

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CONTROLLO NARRATIVO E RUOLO DEI MEDIA

Come abbiamo detto il pericolo deriva da qualcosa che non conosciamo. Per ridurre la paura derivante da questo si fa riferimento al controllo narrativo: discorsi e spiegazioni con cui si cerca di completare i buchi di conoscenza facendo diventare un argomento da sconosciuto a conosciuto, dando indicazioni sul tipo di comportamento da adottare e ridurre il timore di ciò che è ignoto. Un esempio di questo possono essere le spiegazioni delle procedure di sicurezza quando prendiamo un volo: possiamo avere paura di volare, ma sapere quali sono le prassi per salvaguardarci in caso di emergenza ci permette di affrontate con meno ansia il viaggio.

media giocano un ruolo fondamentale: sono lo strumento attraverso il quale costruiamo la nostra immagine del mondo, la quale è basata sulla nostra esperienza e su quello che ci viene raccontato dagli altri. Rientrano in questo contesto non solo i mass media più classici, come televisione, radio e internet, ma anche i social media. Tutti questi ci aiutano a definire cos’è pericoloso – dunque la percezione – e come affrontare questo stesso pericolo – controllo narrativo.
La diffusione delle notizie su un pericolo può alterare e modificare la nostra percezione: maggiore è l’attenzione che si presta a un argomento, maggiore sarà l’impressione della concretezza del pericolo stesso. Non ha meno importanza l’utilizzo del linguaggio (che affronteremo tra poco) e del tono: utilizzare un linguaggio pessimistico e catastrofico in maniera costante e giornaliera altera la nostra percezione, dando per vero quanto comunicato e innalzando l’asticella della percezione del pericolo.

Ministero Salute @MinisteroSalute

Resta a casa e segui i consigli utili a prevenire il contagio da :

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BIAS, EURISTICHE E LINGUAGGIO: LE SCORCIATOIE DELLA NOSTRA MENTE

Perché parlare di euristiche e bias? Perché sono meccanismi mentali che adottiamo tutti inconsciamente in molte occasioni: dalle decisioni di ogni giorno, alle scelte di acquisto sino alle notizie a cui dare importanza. Esattamente come in questo periodo dove siamo bombardati di notizie e utilizziamo in maniera forte queste scorciatoie. 
La nostra mente è felice di utilizzare questo sistema, perché ama la semplicità e cerca di risolvere velocemente un problema attingendo dall’esperienza e da quello conosciuto per trovare una soluzione accettabile.

Quando parliamo di euristiche parliamo di una procedura di semplificazione che applica il nostro cervello e che serve a trovare una soluzione semplice e accettabile a un problema. Può essere definita una scorciatoia decisionale. 
Il problema si pone quando cambiando contesto questa scorciatoia potrebbe non funzionare correttamente, provocare un errore sistematico di giudizio: il cervello suggerisce una soluzione errata.

Per semplificare il concetto, e associarlo poi all’argomento di discussione, possiamo far riferimento a qualche esempio di euristica e bias.
Una delle più classiche è quella della rappresentatività: una scorciatoia del pensiero che porta a paragonare le informazioni che abbiamo a disposizione con dei prototipi mentali.
E’ importante sapere che questi pregiudizi, approssimazioni, possono portarci a errori ripetuti, specialmente quando facciamo riferimento a eventi legati al caso o alla statistica. Se per esempio vi parlassero di un conoscente e lo descrivessero come timido, che tende a stare in disparte, pronto ad aiutare gli altri, ma che mostra poco interesse nel sostenere chi gli sta intorno, remissivo, che ha bisogno che tutto sia in ordine e mostra passione per i dettagli. Se vi chiedessero che lavoro fa questa persona, dandovi quattro possibilità: pilota, bibliotecario, commesso o medico, come arrivereste alla vostra decisione? Questa euristica vi porta a paragonare le caratteristiche dell’uomo con quelle della categoria di ogni lavoro.
In generale tendiamo a costruire questi archetipi anche nei comportamenti d’acquisto: sappiamo che un prodotto light è buono perché non ha grassi o zuccheri, che generalmente sono definiti dannosi per il nostro corpo, ma tendiamo a non controllare se nel prodotto possano essere presenti altre tipologie di sostanze dannose, come i coloranti artificiali. Nel caso della malattia, per esempio, quando oggi vediamo passare un’ambulanza, in automatico pensiamo che stia andando a prelevare una persona potenzialmente infetta. Ovviamente questo non è vero, anzi è statisticamente molto difficile.

LE PAROLE UTILIZZATE DAI MEDIA: COME SONO PERCEPITE DAL NOSTRO CERVELLO

Utilizzare costantemente determinate parole o costruzioni verbali influisce nella percezione del rischio. Anche in questo caso la nostra mente tende a ricordare le parole secondo euristica, a dare un grado di importanza in base alla tipologia di parola, inconsciamente.
Nella scala di gravità della salute la parola epidemia ha un valore ben diverso dal semplice “malattia”. Se scriviamo un articolo utilizzando la descrizione Treccani di epidemia: “manifestazione collettiva d’una malattia che si diffonde rapidamente” trasmetteremo meno preoccupazione rispetto alla parola di cui questa è la sua reale definizione. Ecco allora la corsa al supermercato per procurarsi le scorte necessarie per un eventuale catastrofe, o l’acquisto impulsivo di igienizzanti o mascherine.
Anche qui vengono alla mente costrutti creati da altri media che influiscono sulle nostre azioni: il cinema ci ha donato numerose immagini relative a crisi mondiali causate da virus e infezioni. Città allo sbando, supermercati vuoti, paura degli altri. E’ interessante come oggi nei principali player di streaming i film di fantascienza che affrontano questi argomenti sono tra i più visti, nonostante di qualche anno fa (vedi “Contagion” del 2011).

Stesso principio, per tornare a un concetto già affrontato, delle scelte verbali degli ambientalisti che nel tentativo di far innalzare il livello di allerta per il cambiamento climatico, hanno iniziato a utilizzare la parola “emergenza climatica”, al posto proprio di cambiamento, che nella nostra esperienza ha un valore che può essere anche positivo, o non gravissimo, rispetto a emergenza.

BIAS DEL PRESENTE: SFORZO E RICOMPENSA

L’essere umano non compie una scelta se questa non porta all’ottenimento di qualcosa. Abbiamo il bisogno di percepire ogni nostra azione come concreta, in grado poi di darci indietro, a noi o a persone a cui teniamo, qualcosa di utile. In questo modo avvertiamo di aver impiegato il nostro tempo nel migliore dei modi. 
In questo periodo il “bias del presente” è uno dei maggiormente applicati dalla nostra mente: le decisioni vengono prese per ottenere una gratificazione immediata, ignorando le possibilità di “guadagno” differite nel tempo, influenzando di conseguenza i nostri comportamenti.
Applicando questo concetto alle strategie di marketing di coinvolgimento ci appare chiaro come quelle più efficaci sono anche quelle che riescono a dare degli obiettivi raggiungibili a un cliente interessato, disponibile a uno sforzo programmabile nel tempo per raggiungere la ricompensa. Questo vale per numerose decisioni: tendiamo per esempio ad approfittare di sconti e premi sul momento, rimandando le spese più impegnative a un futuro non per forza ben definito.

Abbiamo dunque capito che a parità di rischio percepito, la vicinanza di un “lieto fine” può stabilire la nostra priorità. Nel caso del Covid-19 lo sforzo per combattere il contagio è relativamente limitato, ma soprattutto assicura un reward quasi immediato.
Annullare un viaggio, restare in casa, evitare luoghi affollati: un sacrificio necessario, che persino ci gratifica facendoci sentire protettivi e attenti al sociale, con la certezza che non appena finirà tutto si tornerà a una meritata normalità.
Molto diverso dalle eterne rinunce e dal cambio totale di stile di vita che occorrerebbe mettere in pratica per fronteggiare l’emergenza del cambio climatico.

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