Qualcosa di rosso oggi nel sole

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di Renzo Balmelli 

ROSSO. C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole. Anzi, di antico, scrive il Pascoli. Quel rosso antico evocato nel bel libro di Dario Robbiani che riporta il sorriso nell’ Emilia-Romagna. E lascia tramortito il leader del Carroccio determinato, sbagliando tutte le mosse, a fare del voto un vanaglorioso referendum su se stesso. Pretendere, come andava ripetendo, di citofonare al Quirinale per esigere elezioni immediate, gesto già volgare e arrogante di per sé, ormai non vale più una cicca. Anche scommettere sull’imminente funerale della sinistra è stato un atto di sconfinata presunzione che evidenzia una strana concezione del potere. Ai profeti di sventura basta replicare come fece Mark Twain quando venne a conoscenza del suo prematuro necrologio: ” spiacente di deludervi, ma la notizia della mia morte è grossolanamente esagerata”. 

VOCENo pasaran! Tenere la roccaforte emiliana non era un risultato scontato. Non sono passati, e ora, dopo lo scampato pericolo, per dare un senso alle parole e investire nel futuro, è il momento per il governo Conte di riportare serenità nel Paese, ritrovare la stabilità, dare vita a un fronte progressista unito, e chiudere la stagione dell’odio. Non sarà facile e ci sarà da soffrire ancora. Ma va fatto. In particolare nei confronti degli alleati l’Italia dovrà tornare a esprimere un’immagine consona alle sue potenzialità. Soprattutto in politica estera, di cui Berlusconi diede a suo tempo un’interpretazione piuttosto singolare, occorre dare prova di nuovo dinamismo. L’azione diplomatica resta una voce fondamentale in un quadro globale sempre più complesso e per essere all’altezza del ruolo serve una salutare iniezione di creatività e freschezza. In questa veste Roma deve profilarsi quale nume tutelare dei Trattati che portano il nome della capitale, preservandoli così dalle insidiose mire sovraniste. 

VIRUS. Durante la campagna elettorale la destra non ha mai smesso di evocare l’idea un po’ grossolana della spallata. Ma se proprio se ne deve dare una è piuttosto nei confronti del nuovo virus con la testa coronata che non conosce frontiere e si muove come un nemico sempre in agguato. La minaccia che arriva dalla Cina suggerisce due osservazioni. La prima di carattere medico-sanitario vede all’opera fino all’abnegazione ed a repentaglio delle proprie vite, schiere di medici e operatori sanitari impegnati a bloccare il contagio. L’altra di stampo ideologico tende invece a trasformare l’inafferrabile virus in una sorta di mostriciattolo totalitario capace di mettere a soqquadro le società democratiche. In un modo come nell’altro l’emergenza mette a nudo le nostre paure, spaventa i mercati, e limita la libertà di movimento fino a quando non arriverà il cessate allarme. Già, ma quando? 

INTERROGATIVI. A settantacinque anni dal giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa liberavano i sopravvissuti di Auschwitz, corre più forte che mai l’obbligo di non dimenticare l’orrore del male assoluto. Se n’è parlato, se ne parla e bisognerà continuare a parlarne affinché non vada perso neppure un solo lembo della memoria che a volte sembra svanire nei fumi dell’indifferenza. Secondo alcuni sondaggi l’antisemitismo non solo è ancora diffuso, ma tende a crescere alimentato dall’assurda convinzione che gli ebrei non dovrebbero insistere a evocare l’immonda “soluzione finale” e ciò che è accaduto durante l’Olocausto. Vengono i brividi a sentire certe infamie. Le cerimonie per l’importante anniversario sotto la ripugnante scritta Arbeit macht frei, indelebile e raggelante testimonianza di una società che aveva perso la ragione, sono valse se non altro a rinnovare l’appello affinché un simile orrore non si ripeta mai più. Auschwitz tuttavia pone interrogativi lancinanti sul perché sia accaduto; interrogativi che cercano ancora oggi una risposta.

 

SPECCHIO. Con tutto il rispetto per Edoardo Bennato, non si dica che sono soltanto canzonette. Fin dalla nascita nei primi anni cinquanta, da Vola colomba di Nilla Pizzi ai moderni fatti e misfatti dell’Ariston, San Remo non è San Remo se non è politico. Dalle prime edizioni, quando Nunzio Filogamo salutava gli italiani “vicini e lontani” e il pubblico sedeva ai tavolini come al caffè chantant, il concorso canoro nel bene e nel male ha sempre incarnato lo spirito del tempo. Nella sua lunga esistenza, il Festival si è dovuto confrontare con la politica rappresentandone le tendenze e le sfaccettature attraverso la selezione non sempre innocente delle canzoni, dei testi, degli ospiti e persino dei loro vestiti. Anche quest’anno, tra liti e riconciliazioni, per l’edizione numero 70 di San Remo, non sono mancate le polemiche, specchio fedele di un Paese diviso persino sul pentagramma. Il 4 febbraio si alza il sipario. Lasciamoci sorprendere.

 

MIRAGGIO. Come sosteneva il Giulio nazionale “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. Non sfugge a questa osservazione il piano di Trump su Israele e Palestina presentato nelle ultime ore come fosse la soluzione di tutti i mali. Certo, sarebbe bello poterci credere a occhi chiusi e vedere un’iniziativa diplomatica per il Medio Oriente andare finalmente a buon fine. Tuttavia l ’enfasi mediatica che ha fatto da cornice alla riedizione della “pax americana”, ricomparsa nell’agenda dopo una lunga stasi negoziale col concorso del premier israeliano Netanyahu, consiglia però di usare la massima prudenza prima di alimentare illusioni. Al di la dei dettagli, che per ora restano piuttosto vaghi, non sfugge all’attenzione che la mossa avviene in un momento in cui i due protagonisti devono affrontare in patria difficili prove elettorali, la qualcosa non depone necessariamente a favore della loro credibilità. Bisognerà quindi andarci coi piedi di piombo prima di parlare, nel solco della retorica trumpiana, di “accordo del secolo” che già desta dubbi e scetticismo. A disinnescare e risolvere la più lunga crisi dalla fine del Secondo conflitto mondiale ci hanno provato in tanti, ma come sappiamo senza esiti definitivi se non quello di deludere attese e speranze che finora hanno reso la pace un lontano miraggio.

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