Quanto è diffuso lo smart working nei Ministeri e negli enti pubblici?

Economia & Finanza

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Secondo dati provvisori, nelle amministrazioni centrali le percentuali alte di lavoro agile vanno dal 60 al 90% ma nelle Regioni sono più basse. Per i sindacati ci sono “resistenze” da parte dei dirigenti 

 
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© Agf – Ufficio Pa

Lo smart working prende piede nei ministeri ma non si diffonde negli enti locali. Secondo le rilevazioni provvisorie, risalenti a venerdì e in continua evoluzione, della Funzione pubblica, vi sono nelle amministrazioni centrali delle percentuali alte di lavoro agile che vanno dal 60 al 90%; si arriva all’80% del personale alla Presidenza del Consiglio, all’88% al ministero del Lavoro, all’85% all’Inps.

Molto variegata invece la situazione negli enti locali: alla Regione Marche su 2.080 dipendenti lavorano da remoto in 1.300 e in Veneto 1.430 su 2.750. Ma i sindacati sono insoddisfatti e parlano di “resistenze” all’applicazione dello smart working, nonostante le indicazioni della ministra della Pa Fabiana Dadone. Per questo sono pronti a presentare diffide, così come fatto oggi nei confronti della Regione Lombardia.

Le segreterie regionali di Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Pa e Uil Fpl hanno ​intimato e diffidato i legali rappresentanti e dirigenti delle amministrazioni “a dare attuazione immediata all’art. 87 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, collocando con provvedimento immediato tutto il personale in attività di servizio in forma agile presso il proprio domicilio; a voler disporre con formale provvedimento all’individuazione del personale da assegnare ai servizi indifferibili da svolgere in presenza in ufficio, comunicandolo nell’immediato al personale destinatario”.

In assenza di provvedimenti si considerano le amministrazioni “responsabili dell’eventuale danno alla salute pubblica, con conseguenti azioni in sede amministrativa e giudiziaria da parte delle organizzazioni sindacali”.

“​In altri territori le federazioni stanno replicando questa diffida”, riferisce all’AGI Alessandro Purificato della Fp Cgil Enti Locali.  “La situazione è molto differenziata: alcune realtà, come le Camere di commercio e i Centri per l’impiego, sono riuscite a fare il lavoro agile in percentuale importante e hanno operato su appuntamento. Altre realtà si stanno adeguando lentamente ed anche in grandi Comuni come Roma, dove, escludendo il personale dei servizi educativi e della Polizia locale, l’80% dei dipendenti è in smart working, vengono poi chiesti i rientri settimanali. Una grande quantità di comuni medio e piccoli, molti anche in Lombardia, sono rimasti inerti, seguendo più un atteggiamento di rinvio che una vera presa di consapevolezza. Così negli uffici continua a girare troppa gente”.

E i dispositivi di protezione? “Vi è carenza – risponde Purificato – e se al nord qualcosa è stato distribuito, altrove le amministrazioni erano impreparate e non sono riuscite a procurare mascherine e guanti. Per di più viene fornito disinfettante ed è prescritto il distanziamento”.   

Secondo il sindacalista, “la resistenza dei dirigenti ad applicare il lavoro agile è dovuta alla preoccupazione di possibili rilievi della Corte dei Conti e degli organi di controllo, preoccupazione che sovrasta quella per gli aspetti sanitari. In altri casi, invece, mancano le infrastrutture materiali e infine in qualche caso è determinante un fattore culturale. Difficile avere una fotografia chiara, perché gli enti si muovono in maniera scoordinata e molti stentano ad individuare i servizi indispensabili”.

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