Quattro condanne per la fabbrica in Irpinia che ha provocato 33 decessi 

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Gli operai scoibentavano amianto dai vagoni a mani nude. A rischio gli abitanti di un intero rione.

AGI – In fabbrica si favoleggiava anche di una piscina a disposizione di chi vi lavorava. E l’imprenditore Elio Graziano li rassicurava, i suoi operai: “C’è meno pericolo che nel bere un bicchiere d’acqua”. Ma l’amianto, con le sue fibre sottili, ha sconvolto le vite di tutti.

Non solo dei 330 lavoratori che in sei anni hanno scoibentato vagoni delle ferrovie dello Stato, almeno 360 l’anno, diventando vittime di una strage che sinora ha prodotto 33 decessi con documentata, per i pm di Avellino, relazione con il lavoro che queste svolgevano. Per gli operai le vittime sono 48. E c’è un intero rione, beffardamente denominato borgo Ferrovia, nella periferia di Avellino, dove il mesotelioma pleurico è di casa, come l’asbestosi, la fibrosi polmonare e il carcinoma polmonare.

L‘Isochimica, oggi spettro metallico in attesa di una bonifica completa, era una di quelle attività industriali che nell’Irpinia post terremoto doveva riportare la vita. Ha dato invece la morte. Una fabbrica che gli stessi operai volevano chiudere e che vide i suoi cancelli serrati solo dopo il 1989 grazie al pretore di Firenze, Beniamino Deidda, che indagava sui morti delle grandi officine toscane dove le carrozze ferroviarie tornavano dall’Irpinia ripulite male dall’amianto.

Il sito industriale era stato aperto da Graziano agli inizi degli anni ’80, per costruire vagoni per treni, ma è diventato uno dei più grandi giacimenti di amianto d’Europa. La famosa piscina, di cui si sparse la voce nel 1986, era un fosso che serviva a sotterrare quel materiale che dava una polvere biancastra, quello stesso che gli operai maneggiavano senza alcuna protezione, a mani nude, anche quando si sapeva già quanto fosse pericoloso. 

Dopo decenni, per questa fabbrica killer arrivano delle condanne. Giudicati colpevoli di diisastro ambientale e omicidio colposo plurimo e per una serie di violazioni sulle norme di tutela ambientale e sicurezza nei luoghi di lavoro due funzionari di Ferrovie dello Stato, Aldo Serio e Giovanni Notarangelo, e due ex dirigenti di Isochimica, Vincenzo Izzo d Pasquale De Luca.

Dovranno scontare dieci anni di reclusione, come il pm Roberto Patscot aveva richiesto. Mentre per tutti gli altri 23 imputati, i giudici del tribunale di Avellino presieduto da Sonia Matarazzo, ha decretato l’assoluzione. Per i familiari delle vittime sono stati disposti 50mila euro di risarcimento

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Ex operai Isochimica in attesa davanti la fabbrica

Proprio i lavoratori nel 1984, avendo compreso che la loro vita era minacciata, manifestarono chiedendo la chiusura della fabbrica. L’unico caso in Italia. Pochi mesi dopo le proteste, in fabbrica arrivarono i medici dell’Università ma si rifiutarono di entrare. Poi furono distribuite le prime mascherine in plastica per proteggersi durante il lavoro, sequite da quelle in gomma e negli ultimi due anni di attività le tute con caschi. Quelle stesse tute dove perizie hanno trovato una quantità di amianto quattrocento volte superiore al consentito. I caschi, poi, ‘riciclavano’ l’aria del capannone impreganto di fibre di amianto. Al punto che tra i morti di asbestosi c’è anche un uomo che lavorava per la ditta che puliva i pavimenti del capannone

C’è voluto un procuratore capo nel 2012, Rosario Cantelmo, per aprire un fascicolo giudiziario che facesse luce sul bubbone Isochimica. Il suo fallimento era stato dichiarato dal tribunale di Avellino nel 1990, la bonifica è iniziata molto dopo e non ancora conclusa.

Elio Graziano, che morirà nel 2017 a casa sua, dopo una condanna ai domiciliari per un’altra vicenda, nel frattempo di aziende per scoibentare i vagoni ne aveva aperta un’altra, l’Elsid a Pianodardine, in società con imprenditori napoletani, ed era diventato presidente dell’Avellino della serie A. Prima della procura di Avellino, c’era stata solo un’interrogazione parlamentare del 12 settembre 1992 firmata da Antonio Parlato, Movimento Sociale Italiano, che chiedeva ai “Ministri dell’Interno, della Sanità, dei Trasporti, del Lavoro e della previdenza sociale e di Grazia e giustizia” di indagare per “sapere se risulti rispondente al vero che molti parenti e amici di Elio Graziano, personaggio non proprio in odore di santità, facciano parte della compagine societaria della Elsid”, e se risponde al vero che “quest’impresa, dopo aver rilevato l’Isochimica, continui ad operare per conto delle Ferrovie dello Stato la scoibentazione di trentaquattro carrozze ferroviarie ancora giacenti nello stabilimento”. 

Poi a maggio 2014, il sequestro del sito, dove, per i periti, “ci sono cinquecento enormi cubi di amianto cemento friabile e deteriorato e sotto terra ci sono 2.276 tonnellate di amianto. Nell’aria, ci sono fibre libere e respirabili”. L’Arpac, l’agenzia regionale per l’ambiente della Campania, ha accertato che ci sono 27 fibre di amianto per litro d’aria nel borgo Ferrovia, mentre, stando alle raccomandazioni dell’Oms, non ce ne dovrebbe essere nemmeno una.

Ora questa storia di silenzi e complicità sulla pelle di persone che volevano solo lavorare in sicurezza arriva una sentenza in primo grado. Ma il principale indagato, Graziano, è uscito definitivamente di scena. 

 
 

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