“Realtà vince il sogno”  

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Nel giudizio di tutti, con il nuovo governo, l’Italia volta pagina.

L’autogol della Lega che, per salviniana bramosia di onnipotenza, ha fatto come i pifferi di montagna i quali, andati per suonare, furono invece suonati, ha sventato un rischio di deriva, ma… 

di Paolo Bagnoli 

Oggi non è più al governo una forza razzista e antieuropea cui, nel governo precedente, i 5Stelle hanno fatto da stampella lasciandole, in cambio di altrettanto, spazi politici sterminati. Il presidente del consiglio, subentrato a se stesso, nei trascorsi quattordici mesi si è raffigurato in Parlamento come una specie di “strumento cieco di occhiuta rapina” sfogando la propria rabbia quando il vecchio partner di governo se ne era andato. Un comportamento non bello; Conte continua a essere un personaggio misterioso che gioca una sua propria partita con fine solo se stesso. Nel discorso fatto alle Camere per la presentazione del secondo gabinetto da lui presieduto è stato scialbo, insipido, senza nessuno scatto d’ala; la verniciatura politica della nuova fase rimane oscura. Ha tenuto a far sapere che è un uomo di sinistra nell’alveo del cattolicesimo democratico. Come dire: sono come Sergio Mattarella. Ne prendiamo atto. Ma quando parleranno i fatti si potrà capire meglio.

    Il partito democratico, dal canto suo, non passa giorno che non spalmi incenso profumato sul governo. Lo si può capire. Sicuramente ha fatto bene nell’impegnarsi nell’operazione che avrà successo se riuscirà a impedire che la destra salvinian- berlusconian-meloniana diventi la forza centrale della Repubblica. Ha compiuto una scelta di emergenza democratica; ora dovrà estrinsecarsi in politiche connotabili e correttive dei guasti provocati dall’alleanza gialloverde; non sarà facile visto che continua a raffigurare la nuova alleanza come dal respiro strategico. Sicuramente gioverebbe una maggiore prudenza: meglio non rappresentare una quaresima come un carnevale.

    Il partito di Zingaretti non poteva tirarsi indietro, ma si è trattato di una scelta di necessità e questa non è assolta dalla sola nascita della nuova maggioranza. Dentro la condizione della necessità molte sono le insidie strutturali che possono, nel medio periodo, creare seri problemi. Una riguarda lo stesso partito democratico che, per la propria sbiadita identità, non è riuscito a segnare la svolta in modo convincente, badando soprattutto a conquistare quei ministeri che possano garantirgli un ruolo pesante. Niente di male, naturalmente; gli strumenti sono fondamentali, ma la direzione non può essere approssimativa dopo le sbandate inferte al Paese e alla sua credibilità da Matteo Salvini. Vediamo cosa succederà sull’immigrazione, sulla sicurezza e sulla legge elettorale; una questione, quest’ultima che, per giustificarsi, tira in ballo la Costituzione e la sua riforma.

    La legge elettorale va rifatta, ma andrebbe pensata su un pensiero largo; certo se si tiene conto che i dirigenti dell’allora Ds e della Margherita fecero un partito e dettero vita a un sistema maggioritario per partorire il nuovo partito, più che pensieri larghi ne vediamo dei corti. Ci domandiamo: ma è proprio il caso, nel contesto attuale, porre all’ordine del giorno il rimettere le mani nella Costituzione? Come si può ritenere che due forze così diverse, con un Parlamento sostanzialmente silente, un dibattito serio anch’esso assente nel merito, possa tentare un’idea dell’Italia solida e istituzionalmente diversa da quella attuale senza rischiare un salto nel buio? Certo che l’Italia va migliorata, ma basterebbe sviluppare una vera politica di senso democratico: un qualcosa che manca da più di un quarto di secolo.

    Il Pd, a tratti, dà l’impressione di essere una forza impaurita, in preda al timore di potersi sgretolare da un momento all’altro. La scissione di Matteo Renzi – un’operazione singolare per definirsi tale visto che Renzi se ne va restando al governo – lo conferma. Quando Franceschini propone ai grillini di saldare un patto per le Regioni, non lo fa inseguendo un’idea dell’Italia, ma palesa il timore che quanto resta del potere locale in mano ai democratici possa andare perduto. È una paura che dà coraggio, ma al momento i frutti sono magri. Visto quanto sta succedendo in Umbria ove, con l’aiuto di Rousseau, i 5 Stelle dettano le regole del gioco imponendo un candidato a loro gradito. La vicenda umbra parla chiaro: l’alleanza Pd-5Stelle si può fare dietro lo schermo delle liste civiche, ma il Pd si scordi di avere il diritto a scegliere i presidenti. Sono giochi di ruolo pesanti che ci dicono come l’accordo tra le due forze è aperto a tutto, a ogni possibile sviluppo. I grillini si aprono in soccorso del Pd, ma il rapporto rimane avvolto nell’oscurità; il disegno politico non si vede.

    L’altra insidia è rappresentata dai 5Stelle che, nonostante tutto, è più facile definire per quello che non sono che per ciò che sono. Più in crisi dei democratici continuano a vedere nel governo l’unico approdo possibile; l’unica ragione alla propria esistenza. Crediamo che si sbaglino coloro che ritengano oramai chiusa la prima fase della vita del movimento e che sia iniziata la strada per la loro trasformazione per diventare un partito più o meno compiuto: Natura non facit saltus.

    L’exploit elettorale che ne aveva fatto la prima forza ha rafforzato il loro dato antropologico; ossia, di un movimento senza altra bussola se non la rabbia, la foga per distruggere, la sublimazione della demagogia; il rappresentarsi in una diversità non ideologica, ma appunto antropologica e, quindi, ieri a destra tutta, oggi più sul centro, domani chissà; basta che, giorno dopo giorno, non perdano il proprio pubblico che deve essere convinto che una nuova storia, una “diversa” storia, è iniziata con loro. Naturalmente fa eccezione alla loro diversità il vezzo italico della furberia che praticano con una spregiudicatezza dalla quale non si può che rimanere stupiti.

    L’ex-ministro Danilo Toninelli ha bloccato opere pubbliche per 62 miliardi adoprando la formula del rapporto costi-benefici e l’ex ministro Riccardo Fraccaro – oggi sottosegretario unico alla presidenza del consiglio dei ministri – continua a giustificare il taglio dei parlamentari con l’argomento che così si risparmia; ben 500 milioni di euro a legislatura… Furberie, un po’ di periferia peraltro. Toninelli era convinto che ogni opera pubblica fosse solo un’occasione per rubare pubblico denaro; appena divenuto ministro gridò in televisione, “la pacchia è finita”. Fraccaro, sogna di sostituire Rousseau – la cui “volontà generale” evoca subliminalmente il nome della piattaforma – alle Camere. Nelle sue argomentazioni troviamo lo sprezzo del Parlamento. Tutti, infatti, sanno che la sua funzionalità non dipende dai numeri, bensì e solo dalla politica. Inoltre, per produrre consenso, si dice che i soldi risparmiati andranno a sostegno di questa o quella categoria di cittadini pur sapendo – ci auguriamo almeno che lo si sappia – che i denari che rimangono al Tesoro non hanno vincolo di destinazione. La furberia, di solito, non marcia insieme all’affidabilità.

    Il movimento 5Stelle esprime l’antropologia dell’anticasta. Ancora oggi vediamo quanto una polemica tirata via, rabbiosa, populistica sulla casta abbia negativamente inciso. Chissà se i giornalisti Stella e Rizzo che alla casta dedicarono, anni orsono, un libro di successo lo riscriverebbero oggi in quei termini. Una cosa, infatti, è denunciare le cose che non vanno e le rendite di posizione, un’altra è ritenere che lo scandalismo rafforzi la democrazia. Il primo capitolo della guerra alla casta è stata la battaglia sui vitalizi, che non sono pensioni, e sui quali la Corte Costituzionale si è più volte espressa in termini di legittimità spiegando di cosa si tratta. Bene: i grillini l’hanno cavalcata in maniera addirittura ossessiva perché, colpendo gli ex parlamentari, si colpiva, giudicandoli più che negativamente, i rappresentanti eletti di una storia italiana che andava cambiata cancellando tutto quanto era stato fino alla fine della prima Repubblica. Gli ex parlamentari, quindi, quali simboli da colpire, umiliare, additare come mala gente. Con loro, naturalmente, veniva colpito il Parlamento e la democrazia rappresentativa che, per i 5Stelle, tutto rappresenta fuorché il popolo dei cittadini.

    Giorni orsono Sergio Rizzo (la Repubblica,12 settembre) ha scritto parole sagge: «Se vuoi distruggere un Paese, per prima cosa, devi distruggere la sua storia. Perché senza la storia un paese non è niente. Semplicemente, non esiste.» Il riferimento era all’insegnamento della storia nelle scuole e nell’università. Ha ragione, ma la frase, tuttavia, ha un valore ben più grande rispetto allo specifico di cui Rizzo trattava sollevando un problema molto, ma molto serio.

    Osserviamo che gli argomenti anticasta non l’hanno smantellata, la casta, ma sono serviti solo a cancellare storia.

    Oggi il Paese necessita di recuperare se stesso e declinare una storia al futuro. Ecco una necessità che una politica responsabile dovrebbe affrontare. I ragionamenti con troppi condizionali sono anch’essi segnali d’incertezza, ma affidarsi all’ottimismo eccessivo finisce per negare la ragione; ci viene in mente il poeta Carlo Betocchi: “realtà vince il sogno”.

 Da La Rivoluzione Democratica

https://www.rivoluzionedemocratica.it/

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