Reddito di cittadinanza: se l’ex moglie ha i requisiti, lo stato paga gli alimenti

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Secondo l’avvocato Puglisi, FamilyLegal, il 40% delle divorziate italiane potrebbe accedere al reddito, sollevando di fatto l’ex marito dal dovere di versare il mensile di mantenimento

Milano, 27 febbraio 2019 – Il 17 gennaio 2019, come ormai è noto, è stato approvato il decreto sul reddito di cittadinanza. Il sussidio, che ha come finalità quella di contrastare povertà e disuguaglianze sociali, oltre che di fornire una garanzia al diritto del lavoro, alla formazione e all’educazione, verrà erogato a partire dal 1 aprile, mentre dal 6 marzo è già possibile presentare la domanda per ottenerlo.

Per poter accedere al beneficio è necessario possedere una serie di requisiti: il richiedente deve essere cittadino maggiorenne italiano o dell’Unione Europea, oppure in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

Inoltre il reddito di cittadinanza è vincolato all’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, riferito al nucleo familiare, che deve essere inferiore a 9.360 euro, mentre il valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non deve superare i 30.000 euro (6.000 per i single).

Secondo l’Inps, stando alle dichiarazioni del 2017, sono circa 3,6 milioni le persone con Isee inferiore ai 10.000 euro.

Ma è il fattore disoccupazione a giocare un ruolo fondamentale nel calcolo del contributo al reddito: a livello nazionale nel 2018 il tasso di disoccupazione del Paese era all’11,3%, 10,6% per gli uomini, 12,4% per le donne.

Anche gli inattivi (ovvero coloro che non partecipano al mercato del lavoro, non cercando attivamente un’occupazione) potrebbero usufruire del reddito di cittadinanza, pur dovendo dimostrare di essersi effettivamente messi alla ricerca di un’occupazione attraverso il tutoraggio dei cosiddetti navigator. In Italia risulta ‘inattiva’ il 34,8% della popolazione, con un 25% di tasso di inattività maschile, e ben un 44,6% per quellofemminile. Le donne inattive sono pari a 8,6 milioni, un numero molto simile a quello delle donne che un’occupazione ce l’hanno. Una grande fetta di queste inattive e disoccupate è costituita da donne separate o divorziate, che, sempre secondo l’Istat, al 1 gennaio 2018 era di 990.372 unità su 31.056.366 (totale della popolazione femminile italiana). Facendo le debite proporzioni, le donne prive di occupazione con un reddito inferiore a 9.360 euro potrebbero attestarsi su una percentuale del 40% delle separate e/o divorziate.

 Questo significa che, qualora il reddito del nucleo familiare della donna separata o divorziata sia inferiore a 9.360 euro (e in presenza di tutti gli altri requisiti), la stessa potrebbe potenzialmente avere accesso al reddito di cittadinanza, sollevando di fatto l’ex coniuge quantomeno dall’onere di fornire un assegno di sussistenza – spiega l’avvocato Lorenzo PuglisiPresidente e fondatore dell’associazione Familylegal –Parliamo, a conti fatti, di circa 400.000 mariti che potrebbero mettere in discussione il proprio onere di mantenimento facendo leva sul nuovo sussidio fornito dallo Stato”.

Prosegue Puglisi: “La Sentenza a sezioni uniti della Cassazione n. 18287/2018 dello scorso luglio, ha cristallizzato i presupposti per il riconoscimento e la quantificazione dell’assegno divorzile (avente funzione perequativa e assistenziale) partendo dalla ratio dell’art. 5 della legge sul divorzio che prevede espressamente che il mensile sia dovuto a favore dell’altro coniuge quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”. Più che lecito, quindi, chiedersi se in presenza di un reddito di cittadinanza, i Tribunali ridimensioneranno gli assegni alle ex mogli, quantomeno con riferimento alla componente di natura assistenziale.

Sempre secondo l’Istat, le separazioni in cui vengono cumulati gli assegni al coniuge con quelli ai figli sono il 10,5% del totale, percentuale che raddoppia se si considerano le separazioni con figli minori (21,3% del totale delle separazioni con figli minori). Si tratta si numeri abbastanza stabili nel tempo, che non hanno subito variazioni di rilievo a seguito dell’applicazione delle nuove normative sulle separazioni. La quota di separazioni con assegno per coniuge e figli è più alta al sud e nelle isole (rispettivamente 29% e 23,5% delle separazioni con figli minori), mentre al nord si assesta quasi al 18%. Quando ad essere corrisposto è solo il contributo economico al coniuge (e non anche ai figli), la quota scende al 10%.

Nella sola città di Milano al 1 gennaio 2018, risultavano 44.755 donne separate/divorziate, su un totale della popolazione femminile di 733.110. Nella capitale lombarda ogni anno i tribunali gestiscono circa 2.500 cause fra separazioni e  divorzi e i numeri non accennano a diminuire. L’intera regione Lombardia conta all’incirca 130.838 separate/divorziate, sempre secondo le ultime rilevazioni.

È quindi verosimile l’ipotesi che il reddito di cittadinanza si sostituisca agli ex mariti nell’onere di versare l’assegno di mantenimento all’ex moglie? “il reddito di cittadinanza va a minare la certezza di ottenere l’assegno di mantenimento, posto che il presupposto per ottenere il mensile dall’ex coniuge è proprio la mancanza di risorse adeguate al proprio sostentamento.  Nel caso di coppie che abbiano goduto di un tenore di vita particolarmente agiato, tuttavia, l’eventuale reddito di cittadinanza non escluderebbe in ogni caso il diritto al contributo mensile in quanto quest’ultimo tra le sue funzioni ha quella di preservare i medesimi standard di vita goduti in costanza di matrimonio”, conclude Puglisi.

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