Sherlock Holmes nella letteratura criminale

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

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Lente di ingrandimento, test sull’emoglobina e analisi comportamentale per il detective più stravagante della Londra fine Ottocento nel romanzo “Uno studio in rosso”.

Sir Arthur Conan Doyle è il creatore di questo eccentrico ed intelligente investigatore, che segnerà la vita stessa dello scrittore, tanto da volerlo morto. Si pensa che l’odio nutrito da Doyle nei confronti del suo più conosciuto personaggio letterario sia nato quando Sir Arthur si accorse che Holmes era diventato indiscutibilmente più famoso di lui. Secondo alcune indiscrezioni pare che Doyle non abbia mai provato simpatia per la sua creatura, avrebbe preferito essere ricordato e apprezzato come l’autore dei romanzi storici medievali, di quelli napoleonici, o anche per i suoi libri sullo spiritismo o i reportage come corrispondente di guerra. Sfortunatamente, anche se in questo caso fortunatamente per lui, i lettori sono rimasti coinvolti dalle avventure di genere poliziesco.

Arthur Ignatius Conan Doyle nasce a Edimburgo, il 22 maggio del 1859, figlio di un famoso caricaturista e di Mary Foley.  Nonostante le precarie condizioni economiche i Doyle fanno studiare il figlio fino al conseguimento della laurea in medicina. Arthur affiancherà la professione medica a quella di scrittore, infatti è stato un autore prolifico e poliedrico, i suoi generi spaziano dalla fantascienza al soprannaturale, dal giallo al romanzo storico. La sua fama però è indiscutibilmente legata al personaggio che veste i panni dell’investigatore Sherlock Holmes.

Pubblicato nel 1887, “Uno studio in rosso” è il primo di quattro romanzi in cui Doyle descrive nei minimi dettagli il detective Holmes e il suo compagno di avventure, il medico John Watson. Nella prima parte di “Uno studio in rosso”, la voce narrante è quella del dottor Watson, congedato dall’esercito per una grave ferita riportata alla spalla nella battaglia di Maiwand, Watson conosce Holmes grazie a Stamford, suo infermiere, quando lavorava come medico al Saint Bartholomew’s. Nella nebbiosa Londra, Watson e Holmes condivideranno un appartamento, e da subito inizieranno a indagare su un misterioso delitto, il cadavere di un uomo viene rinvenuto in una casa disabitata. Un omicidio, definito da Tobias Gregson di Scotland Yard, un vero rompicapo. Sul luogo del delitto nessun segno di rapina, né alcun indizio sulle cause della morte, gli agenti di polizia londinesi brancolano nel buio più totale. Il geniale acume dell’investigatore Holmes sarà in grado di dipanare l’ingarbugliata matassa?

Intrigante l’ambientazione del romanzo, una Londra misteriosa di fine Ottocento. Un protagonista sui generis: egocentrico, presuntuoso, tagliente, consapevole del suo fine intuito e delle sue conoscenze in campo scientifico e psicologico. Lo stile del romanzo è lineare, chiaro, scorrevole, lontano da artificiose finezze moderne, dunque comprensibile da un vasto pubblico.

Perché questo titolo, Uno studio in rosso? Lo rivela lo stesso Holmes: “Il filo rosso del delitto corre nella matassa incolore della vita, e il nostro compito consiste nel dipanarla e isolarlo e portarlo allo scoperto centimetro per centimetro”. Per gli appassionati del genere giallo, ma non solo, questo romanzo della letteratura criminale è interessante, a mio avviso, perché anticipa delle tecniche investigative che, nella nostra epoca, certamente in uno stadio più avanzato, sono fondamentali per inchiodare il colpevole. Penso ai test sull’emoglobina che Holmes effettua nel suo laboratorio: “Ho trovato un reagente che precipita con l’emoglobina, e solo con quella”. “…Questo test sembra funzionare sia quando il sangue è vecchio sia quando è fresco. Se fosse stato scoperto prima, centinaia di individui che oggi se ne vanno liberi per strada avrebbero pagato da un pezzo il fio dei loro crimini”. Interessante anche la capacità di Holmes di dedurre attraverso l’osservazione di alcuni particolari la vita di chi ha di fronte, applicata al crimine, mi fa pensare alle tecniche di analisi comportamentale usate per tracciare un profilo del criminale. “Dottor Watson, il signor Sherlock Holmes, disse Stamford, incaricandosi delle presentazioni”. “Piacere, disse lui cordiale, stringendomi la mano con una vigoria inaspettata”. “Vedo che è stato in Afghanistan.” “Come diavolo fa a saperlo?” “Lasciamo perdere, fece lui, con una risatina”. Il dottor Watson avrà la sua spiegazione su come Holmes sia arrivato a capire molto di lui, prima ancora di conoscerlo, ma per saperlo è necessario addentrarsi nella piacevolissima lettura di Uno studio in rosso.

F.Moretti

 

 

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