Suicidio: la speranza spezzata

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L’avvocato Massimiliano Alessandro Pozzi, 49 anni anni, separato e con figli, è morto precipitando dal settimo piano del Tribunale di Milano.

Sul posto anche le forze dell’ordine che indagano sull’accaduto: in tasca dell’uomo è stato trovato il tesserino da avvocato (sospeso a tempo indeterminato dall’Ordine già dal 2014 per questioni di tasse) e un biglietto in cui aveva manifestato l’intenzione di togliersi la vita per motivi familiari e economici.

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In Italia, per quanto concerne il fenomeno suicidi, si è parlato di un vero e proprio allarme; infatti a inizio del 2021 si contavano ben 413 e 348 i tentativi.

Questo secondo i dati emersi dall’Osservatorio Fondazione BRF.

Piaga umana e sociale di cui parleremo nella rubrica “La speranza spezzata” con Stefano Callipo, presidente nazionale dell’Osservatorio Violenza e Suicidio, nonché  psicologo clinico, giuridico e psicoterapeuta.

Dott.Callipo, perché ci ritroviamo con professionisti così demoralizzati e umiliati da trovare come unica via d’uscita un salto nel vuoto?

Spesso si tratta di persone che arrivano a compiere gesti estremi e che vivono un forte dolore mentale per il quale non trovano via d’uscita se non quella del suicidio. 

In tal senso, la crisi economica costituisce in questa fase pandemica e post pandemica un terreno molto pericoloso.

Come Presidente dell’Osservatorio Violenza e Suicidio sono molto preoccupato.

Noi abbiamo una sede in quasi tutte le regioni italiane e vediamo quanto la crisi economica stia incidendo sulla mente di soggetti fragili.

A volte può essere sufficiente l’arrivo di una cartella di pagamento per elicitare nel professionista, già in crisi, una condotta suicidaria.

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno, in Italia, si tolgono la vita circa 4 mila persone.

Un fenomeno molto subdolo, perché qualsiasi dato riconducibile al fenomeno suicidario avrà sempre un valore relativo, poiché esistono molti suicidi non rilevati, omicidi dissimulati con suicidi, tentativi di suicidio non censibili e molte altre variabili che offuscano i reali confini epidemiologici del fenomeno.

Come prevenire queste tragedie umane annunciate?

-Gran parte delle persone che assumono condotte suicidare lanciano dei segnali prodromici all’estremo gesto nell’hic et nunc.

Mettere in atto una corretta azione preventiva non significa soltanto capitare precocemente tali segnali, ma agire ancora prima.

Crisi economica, sovraindebitamento, dignità sociale e sensi di colpa sono gli ingredienti che, in questo periodo, possono costituire la miscela esplosiva capace di elicitare il gesto estremo.

Ecco, la prevenzione può e deve partire ed agire prima.

Dove abbiamo sbagliato e dove continuiamo a sbagliare?

Viviamo in una società accelerata dove non si ha il tempo neanche di accorgersi di quanto possa stare male un nostro vicino.

Si sottovalutano aspetti della società molto pericolosi.

In Italia circa 3 milioni di persone soffrono di depressione e di questi circa 2 milioni sono donne.

La depressione, che sarà il male del secolo, è subdola, lavora lentamente nella mente della persona stravolgendone l’equilibrio adattivo, e spesso nessuno si accorge di tale malessere e, a volte, nemmeno la persona coinvolta.

Utile sapere che:

se da una parte, molte persone depresse si suicidano;

dall’altra, non tutte le persone che si suicidano sono depresse.

Con questo voglio dire che dobbiamo stare attenti a non mettere facilmente l’etichetta di malato psichiatrico in chi assume una condotta suicidaria.

Spesso si tratta di persone non psichiatriche che sono sopraffatte da un dolore mentale che non riescono più a tollerare, e il suicidio viene visto come un’interruzione di quel dolore.

Cosa dovrebbe fare la politica, la società, la famiglia, la scuola, i media; chi, insomma, può ma soprattutto deve agire affinché sulla morte vinca la vita, sulle tenebre prevalga la luce e alla rassegnazione si sostituisca la speranza?

-Serve puntare su un’azione di prevenzione selettiva e generale, non soltanto quindi contenitiva, servono professionisti che abbiano una preparazione specifica, serve informazione ma soprattutto serve combattere lo stigma sociale del suicidio, e combattere l’etichetta di malato psichiatrico a tutti coloro che si suicidano o che lo tentino.

La politica può fare tanto a livello legislativo non soltanto puntando sulla promozione del benessere mentale ma anche sulla prevenzione dei rischio suicidario adulto e giovanile.

Nella spesa della salute sembra che soltanto il 3% sia dedicato alla salute mentale, e non si ha idea di quale costo per la sanità abbia la malattia mentale.

Noi stiamo da tempo lanciando l’allarme, anche attraverso numerosi convegni che stiamo svolgendo, come Osservatorio Violenza e Suicidio, in molte regioni italiane sul rischio suicidio giovanile e sulla violenza e criminalità minorile, cercando di fare, nel nostro piccolo, prevenzione, informazione e formazione.

Mai come in questo periodo l’attenzione deve essere focalizzata sui giovani.

Ogni anno, soltanto in Italia si tolgono la vita circa 200 under 24, un dato che non possiamo tollerare.

Anche i media hanno una grande responsabilità, si sta abbassando notevolmente l’età di accesso ai social, scevro dal controllo genitoriale, non esiste ancora una concreta ed efficiente normativa che disciplini la gestione del mondo social.

In tal senso, l’effetto emulativo dei giovani aumenta considerevolmente il rischio suicidario, a volte anche inconsapevolmente.

Non a caso, nel mio libro Il Suicidio (della Franco Angeli),

definisco il suicidio adolescenziale “un tentativo di suicidio mal riuscito”.

Ricordiamoci, inoltre, che spesso chi si suicida in realtà non cerca la morte ma fugge dalla vita, dal dolore mentale che non riesce più a tollerare.

“Fuggire dalla vita”, magari sarebbe il momento di vivere semplicemente la vita e insegnare ciò a chi rischia di essere di subirla anziché affrontarla.

Rita Lazzaro

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