Tra le risaie del Pavese, “stop ai diserbanti perché tutto sta morendo”

Economia & Finanza

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Viaggio nella provincia che, assieme a quelle di Novara e Vercelli, produce il 50% del riso europeo. “Tra dieci giorni non ci sarà più acqua, inutile spendere per disinfestare”.

di Manuela D’Alessandro

© @manuela d’alessandro –  Un campo di riso nel Pavese secco a causa della siccità

AGI – Il riso qui, in una delle tre province dove se ne produce il 50% di tutta Europa assieme a Vercelli e Novara, è amato come un figlio. Eppure, è arrivato il momento di lasciare che il proprio figlio venga infestato liberamente. Non lo si protegge più.

“Inutile spendere quando saremo senz’acqua tra poco”

Questo è un dialogo tra due agricoltori che parlano dai finestrini delle loro auto, in mezzo a una strada sterrata che attraversa i campi, un tempo larghe distese di verde vivido, della Lomellina.”Io ormai bagno solo un campo al giorno” dice quello più giovane. “Io non diserbo più” risponde l’anziano e l’altro, di rimando: “Alcuni li ho diserbati ma ora mi fermo. Tra dieci giorni siamo senza acqua”.
Antonio Strada, che è anche il vicepresidente di Confindustria Pavia, ma ora è soprattutto un uomo che soffre, “di notte non ci dormo perché vedere le coltivazioni così è come guardare i figli stare male”, spiega all’AGI perché non si eliminano più le piante ‘cattive’.

“È molto difficile che a breve avremo ancora acqua; quindi, è inutile spendere in diserbanti e concimi. Io all’anno metto 80mila euro in diserbanti. Se anche riuscissimo ad avere una parte di raccolto, avremmo comunque un calo della produzione perché senza i disinfestanti le risaie sarebbero più sporche”.

risaie Pavese diserbanti
© @AGI

I fossi senz’acqua nel Pavese

Il ‘listino’ online del Lago Maggiore

Al bar della piccola Scaldasole, novecento abitanti, due clienti consultano online il livello del lago Maggiore come un oracolo o un listino di Borsa, visto che cambia in continuazione. “Stanno entrando 110 metri cubi in questo momento, mentre ne escono 138. Rispetto a ieri è salito un po’ grazie a un temporale, siamo a meno 115”.

“Cerco di guardarlo il meno possibile, mi viene l’angoscia. Se non arriva una settimana d’acqua tra dieci giorni è finita, non ne avremo più. In questo periodo, le risaie dovrebbero essere sommerse. Può essere che il riso riesca a sopravvivere, soffrendo, e qualcosa lo salviamo. Ma se non accestisce, cioè non ‘figlia’ altre piante, la perdita sarebbe in ogni caso enorme”.

Strada possiede 250 ettari di riso. Mostra un campo dove le piantine si reggono esili e spente in un disperato sforzo di equilibrio sulla terra quasi deserta. “Questo non vede acqua da venti giorni. Il trattore prova a spingere dentro ma ce n’è talmente poca…E quella poca la tiriamo su con le turbine che, col gasolio alle stelle, è un’altra spesa”.

Le foglie sono accartocciate. Anche i campi di mais appaiono stremati. “Questo è andato…” ne indica uno Strada, con una nota di profondo dispiacere anche se non è terra sua.

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©  @AGI

Un campo di mais allo stremo

L’impianto che salva il mais

Lui ha una settantina di ettari di mais, metà in ottima salute e l’altra in difficoltà. Qui interviene la tecnica che può segnare la differenza anche durante la siccità. Si fa largo tra gli steli carnosi fioriti in cima per mostrare come si possa avere una coltivazione florida anche in queste condizioni. Un tubo nero serpeggia una fila sì e una no. “E’ la manichetta,  un impianto inventato dagli israeliani che irriga goccia a goccia il terreno, con un grande risparmio di acqua. La fila non bagnata sente l’umidità. Posso controllare la situazione anche col telefono”.

E’ il primo anno che ha deciso di usare la manichetta e, visto com’è andata, sono stati 60mila euro ben spesi perché questa parte dei suoi terreni è indifferente alle piogge mancate.

Non molto lontano da qui agonizzano le risaie di Alberto Ghislanzoni. “Ad aprile c’erano già tutti i segnali. L’innevamento era bassissino, le previsioni brutte. Si poteva e doveva agire prima. Bisognava intervenire sul livello del minmo deflusso vitale, programmare coi fondi del Pnrr la costruzione degli invasi sotto le Alpi. Ancora una volta la politica è in ritardo, adesso ci sono fondi per tutto, possibile che non sia pensato a noi?”.

Nei fossi intorno alla cascina c’è solo un letto arido tranne che in quello del Sesia, dove ancora scorre qualcosa.

“Una volta ogni giorno bagnavi un paio di campi, qui sono 18 giorni che non c’è acqua, il riso man mano stringe e diventa nero. A questo punto dell’anno dovrebbe essere alto un braccio, a settembre dovresti avere una spiga coi suoi figli bella piena”. La notte scorsa è riuscito a irrigare un campo. “Di solito faccio 100 pertiche a turno, a malapena ne ho fatte 40 con ben 15 ore di acqua. Le altre le bagno a turno ma tra dieci giorni finirà”.

“Come una madre che non mangia a 20 anni”

La cascina Ghislanzoni esiste dal 1850, le terre sono della famiglia da secoli. Angelo, il collaboratore e memoria storica, afferma che “una siccità così non si è mai vista da queste parti”. “A chi ha le melighe (il mais, ndr) è già venuta la comparsa – osserva Ghislanzoni -. Significa che la pianta si ferma, è come se dica ‘procedo alla fecondazione per istinto di sopravvivenza ‘ma è come una madre che a 20 anni non mangia per dar da mangiare a quella dopo…”.

Per il riso lungo, “ci si rivolge al mercato asiatico ma bisogna sapere che usano diserbanti da noi proibiti da 40 anni e come viene trattata la manodopera. Se togli l’agricoltura qui, non resta nulla: o l’incolto o le discariche di amianto”.

Nella cascina degli Strada, il padre di Antonio, il signor Franco, 78 anni, in questi giorni è impegnato a riempire una bacinella con una miriade di coccinelle giapponesi dai riflessi dorati. “Quest’anno c’è un’invasione. Stanno mangiando le foglie di tutte le rose ma sto conducendo una dura lotta con loro. Le rose piacevano tanto a mia moglie che non c’è più”.

La bacinella è colma di coccinelle. Dove le butta?”. “Le tengo lì, per adesso, per risparmiare l’acqua dello scarico”. Ride ma appare un riso amarissimo.

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