Trump più narcisista che razzista

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“Non ero contento” ha sostenuto Donald Trump mentre commentava i cori razzisti durante il suo recente comizio in North Carolina che incitavano “send her back”, (rimandatela a casa). I cori erano indirizzati a Ilan Omar, parlamentare del Minnesota, di origini somale, parte delle quattro parlamentari che Trump ha attaccato recentemente. Trump ha spiegato che durante il comizio lui ha cercato di interrompere i cori, ricominciando a parlare immediatamente. In realtà ha fatto una pausa di 13 secondi che ha permesso ai cori di essere sentiti chiaramente da tutti.

L’insoddisfazione con i cori razzisti è però durata poco poiché un giorno dopo il 45esimo presidente ha fatto marcia indietro. Parlando con giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha continuato i suoi attacchi, asserendo che i suoi sostenitori al comizio in North Carolina sono “persone incredibili e patrioti incredibili”. Poi Trump ha continuato a bersagliare le quattro parlamentari liberal (Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Talib, Ayanna Pressley e Ilhan Omar). I suoi attacchi razzisti a queste parlamentari avevano scatenato una ribellione alla Camera, dominata dai democratici, che come va ricordato, ha recentemente votato di censurare il presidente.

Il razzismo di Trump c’è ed è evidente anche all’osservatore casuale. Lindsey Graham, però, ha centrato il bersaglio quando ha detto che più che razzista Trump è narcisista. Graham, come si ricorda, è senatore del South Carolina, sconfitto da Trump per la nomination repubblicana nel 2016, durante la quale fu coperto di insulti dall’attuale presidente. Graham, ha dimenticato le umiliazioni e ha fatto dietrofront, divenendo uno dei più forti sostenitori di Trump. Sul tema del narcisismo Graham ha però ragione. Trump usa asserzioni razziste al servizio del suo narcisismo. Graham ha chiarito che quando il presidente Usa vuole fare deportare Omar alla Somalia non lo fa per razzismo ma perché lei gli è contraria. Se Omar fosse sostenitrice di Trump, la sua nazionalità, razza, sesso importerebbe poco. Nel mondo di Trump, Graham continua a spiegare, esistono le persone che lo possono aiutare e quelli che gli sono contrari. Gli avversari vanno attaccati usando qualunque espediente incluso la razza quando rappresentano una minaccia al suo egocentrismo.

Trump non discrimina con i suoi attacchi poiché includono diverse etnie, gruppi razziali, o ideologie. Ciononostante il razzismo è usato da Trump per conquistarsi elettori fedelissimi. Questa strategia ha funzionato e continua ad usarla in modo efficace poiché fornisce terreno fertile per scopi politici. Un recente sondaggio ci dice che il 57 percento degli elettori repubblicani è d’accordo con il suggerimento di “rimandare a casa” la parlamentare Omar. Questo ci aiuterebbe a capire la riluttanza della leadership repubblicana a condannare le asserzioni razziste di Trump. Ci spiega, per esempio, il rifiuto di 197 parlamentari repubblicani di votare a favore della censura del 45esimo presidente alla Camera. Trump sa benissimo che un linguaggio aggressivo contro gruppi minoritari produce risultati elettorali e quindi continua a farlo per mantenere alti i consensi. Il punto principale però è che i consensi nutrono il narcisismo di Trump. Avviene la stessa cosa con i suoi rapporti molto amichevoli con dittatori stranieri. Vladimir Putin è il più ovvio. Subito dopo l’inizio della campagna elettorale americana del 2016 il leader russo ha espresso ammirazione per Trump il quale ha sempre ricambiato i sentimenti. Trump ha persino sviluppato un rapporto con il dittatore coreano Kim Jong Un anche se all’inizio aveva minacciato di fare scomparire il Paese asiatico dalla faccia della terra. Kim però ha capito che si può adulare il presidente americano e farselo amico anche se i trattati bilaterali sulla denuclearizzazione rimangono elusivi. Trump ci è cascato. Forse gli iraniani potrebbero essere intelligenti e seguire la strada di Kim?

A differenza di altri politici che hanno una ideologia Trump è racchiuso dentro se stesso e usa le sue parole, esprimendo rancore che si aggancia a una piccola parte dell’elettorato americano poco informato. Con il suo slogan America First, Trump dice di dare preferenza al suo Paese a scapito degli altri. In tal modo si è dichiarato il difensore dei poveri che a suo dire altri politici avevano dimenticato. In realtà la stragrande maggioranza delle sue parole e azioni riconducono all’egocentrismo di Trump come ci conferma il suo modo di governare basato in grande misura sulla fedeltà del suo staff. Non pochi dei collaboratori hanno abbandonato l’amministrazione dell’attuale inquilino della Casa Bianca, alcuni per scandali ma altri per mancata fedeltà al presidente. Uno degli esempi più visibili è rappresentato da Jeff Sessions, ex ministro della giustizia, licenziato dal presidente per non averlo protetto dalle indagini di Russiagate. Il suo sostituto William Barr ha fatto proprio il contrario venendo meno alle sue responsabilità costituzionali che vedono il suo ruolo di fedeltà alla costituzione del Paese e non del presidente. Per i suoi comportamenti poco professionali Barr è stato trovato colpevole di oltraggio alla Camera. Trump però lo vede come un ministro fantastico perché in grande misura è divenuto il suo braccio destro nelle questioni legali. Barr come Kim capisce i bisogni narcisisti di Trump e li nutre ottenendo l’approvazione del presidente e la sicurezza del suo incarico.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.


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