Tutti i dubbi di un processo celebrato su Teams

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Le prime esperienze digitali raccontate dagli avvocati spaventati dalla possibile scomparsa del processo

 
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Prima udienza online al tribunale di Bologna 

“L’arresto è convalidato, cominciamo subito col processo, come da protocollo”. “Ma, signora giudice, non mi risulta che il protocollo per il virus abbia modificato il codice penale. Dovrei parlare prima col mio cliente e, in ogni caso, chiedo un rinvio, a termini di legge, per preparare la difesa”.

Il colloquio con un magistrato del tribunale di Roma, raccontato all’AGI dall’avvocato milanese Daniela Insalaco, è andato ‘in onda’ in una delle udienze  sulla piattaforma Teams che  stanno diventando una contestata ‘normalità’ dalla maggior parte dei legali nella stagione giudiziaria del coronavirus. Un emendamento al decreto ‘Cura Italia’ ha stabilito che i cittadini saranno giudicati in videocollegamento almeno fino al 30 giugno anche se il governo ha fatto sapere che la questione è ancora allo studio e sono probabili delle marce indietro.

Le udienze “in 4 finestre coi i busti delle persone”

Per il momento, il diritto penale smaterializzato viene sperimentato per lo più in udienze di convalida di persone arrestate e direttissime, ma la preoccupazione, spiegano gli avvocati Mauro Straini ed Eugenio Losco, “è che il nostro processo, questa splendida esperienza un po’ teatrale e un po’ liturgica, venga cancellato con un colpo di Amuchina. Dicono che era necessario per far ripartire la giustizia subito. Sbagliato: la giustizia non produce beni di consumo ma condanne che devono essere giuste, non rapide”.  

In sostanza, succede che le parti in causa, giudici, pubblici ministeri, avvocati, testimoni  e imputati si colleghino a Teams cliccando su un  ‘link – invito’ proveniente dalla cancelleria del tribunale. “Può accadere – dice l’avvocato Alessandro Bastianello – che una persona debba sapere attraverso un video sfocato e un audio poco chiaro che deve andare in carcere, con tutte le conseguenze psicologiche che potete immaginare, non avendo nemmeno un legale vicino”.

I problemi da lui riscontrati  in queste prime esperienze “arrivano dall’enorme punto debole di questa ‘giustizia casareccia’: la distanza fisica a fronte del peggiore software che abbia sperimentato, dove al massimo si possono vedere quattro finestre in contemporanea. Questo significa che non hai la possibilità di parlare al pm, cosa che succede spesso, fuori dal rito in qualche pausa, o col tuo cliente per delineare una possibile linea difensiva in corso d’opera.  Se si dovesse procedere col processo a casa, sarà inevitabile una commistione con altre persone. Magari uno ha dei figli adolescenti, ipotesi contraria al codice che non consente ai minorenni l’ingresso in aula. Tu vedi solo il busto delle persone: se un testimone per esempio sta leggendo un’altra cosa mentre tu parli non lo sai. In aula chiedi subito al teste di mostrare il foglio e lo vedi in un secondo, qui gli si dovrebbe far scannerizzare il provvedimento e poi farmelo avere, le cose si allungherebbero di molto e teniamo presente che l’esame di un testimone ha i suoi ritmi. Il tema è che non vedi tutti quelli che partecipano, mentre il processo si fa in un’aula in cui  devi vedere tutto quello che accade  e anche il giudice deve avere la visuale di tutti in contemporanea Questo modo di fare può essere solo un palliativo, non è immaginabile che vada avanti per situazioni più complesse di una convalida, senza contare che  verrebbe meno anche la pubblicità del processo, senza uno streaming”. Giornalisti e pubblico sono tagliati fuori dall’esercizio del controllo di eventuali abusi o irregolarità.

“Un mio assistito arrestato per spaccio – testimonia l’avvocato Pietro Gabriele Roveda – è stato portato per l’interrogatorio in una caserma. I carabinieri lo hanno lasciato a casa della sorella, fidandosi. Lo hanno preso la mattina e portato in una caserma, una di quelle che ha i dispositivi. Sarebbe più corretto portarlo in aula perché io ci devo parlare  nel segreto tra avvocato e cliente, riuscendo così a fare  il mio lavoro. Il giudice mi ha  convocato cinque minuti prima col link, mi sono connesso e ho  visto tutti: giudice, pm, imputato, carabinieri.. In quel momento non potevo parlare con lui. Esiste una linea dedicata che non avevano fatto attivare e ho fatto attivare. Tutti si sono disconnessi pe permettere il colloquio col cliente,  ma io che ne sono che al suo fianco non ha un carabiniere ad ascoltare? Questo tipo di udienze funziona dove si sa già come va a finire, come quelle di ‘messa alla prova’ o patteggiamenti”.

“La mia giudice – ricorda Insalaco – ha passato il tempo a chiedere di non far rumore quando nessuno di noi si muoveva. Si sentivano rumori dalla stanza nella caserma dei carabinieri adiacente a quella in cui c’era il detenuto. Io e il pm eravamo immobili, ma lei era molto nervosa per questi rumori”.

I lati positivi 

C’è anche chi tra gli interpellati, sempre con la premessa che il processo da  remoto può valere solo per situazioni ‘semplici’, individua dei punti di forza. “L’udienza del mio assistito – racconta l’avvocato Alessandro Corsano – è iniziata alle 13 ma già alle 9 ho potuto parlare al telefono col mio assistito e prima delle 12  avevo ricevuto la mail con gli atti dell’arresto dalla procura, un aspetto determinante che manca tragicamente nelle convalide per le direttissime. Amaro pensare che ci voleva la pandemia per trovare un equilibrio tra le parti che spero venga conservato in futuro. Poi, certo nulla può sostituire le emozioni, il silenzio, tutto quello che fa parte dell’esame di un testimone per esempio”. 

Anche per l’avvocato Roveda “la condivisione degli atti digitalizzati elimina ore di coda in cancelleria”. “Non si può dire nulla sull’organizzazione a Milano – afferma l’avvocato Enrico Belloli – ma ci sono dei limiti invalicabili, pena la morte del processo penale. Il processo su Teams non è applicabile a un dibattimento o un interrogatorio”.  

 
 

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