Un assassino, Martini e la sua mamma hanno cambiato la vita di don Gigi

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Vaticanista

Tutto il Perù conosce “El Viejo Paco” ed il suo nome fa venire i brividi alla pelle ancora oggi, a distanza di tempo dall’arresto che fu un evento clamoroso per il paese andino: era infatti un criminale incallito, condannato a 35 anni di carcere per 300 omicidi. Quest’uomo del quale nessuno vorrebbe dirsi fratello, il cardinale Carlo Maria Martini che nel 2005 scelse il sacerdote come assistente in Conclave, e “quell’angelo di Santina”, la mamma che lo ha messo al mondo ma soprattutto gli ha insegnato ad amare i poveri, tre persone anziane, certo con passati molto diversi tra loro,  hanno segnato la vita di don Luigi Ginami, sacerdote di Bergamo in servizio in Vaticano, ma anche apostolo e buon samaritano in giro per il mondo.

Il primo, quel detenuto di cui tutti avevano paura, lo ha incontrato lo scorso Natale nel carcere di Challapalca, il carcere di massima sicurezza e di castigo che si trova vicino alla città di Tacna,  all’altezza sorprendente di 5050 metri dove l’aria rarefatta mina drasticamente le condizioni di salute dei 122 prigionieri. Di notte la temperatura scende a meno 25 gradi e di giorno arriva solo a 5 gradi! Freddo e gelo impediscono uso della poca acqua che ghiaccia negli scoli… . E’ considerato la latrina dell’umanità, gente che è li solo per punizione senza nessun percorso di riabilitazione. Le condizioni di prigionia “disumane e degradanti” sono state ripetutamente denunciate da Amnesty International e dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. E fare una doccia è praticamente impossibile nelle due ore in cui vi è accesso all’acqua. Ebbene in questo luogo don Gigi ha celebrato la messa per il 30esimo di ordinazione sacerdotale e ha portato ai detenuti il messaggio del Giubileo della Misericordia voluto da Papa Francesco.

E durante il rito uno di loro,  il più anziano tra i presenti, soprannominato per questo “El Viejo Paco” , si avvicina all’altare e ad alta voce dice al celebrante: “ho ucciso, rapinato banche, sequestrato persone, può esserci perdono per me?”. E don Gigi gli risponde: “Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen”. Poi lo abbraccia e agli amici, a Roma, confiderà: “in quel momento ho pensato a quel che ci ha detto Papa Francesco commentando il Vangelo di Matteo, Gesù nel momento della mia visita in carcere era quel detenuto di cui tutti hanno paura. Abbracciarlo è stato un dei momenti di maggiore gioia della mia vita”.

L’esempio di Martini

“Don Gigi, te la sentiresti di venire in Conclave con me?”.  Don Ginami, non era preparato all’invito del cardinale Martini anche se ha diviso con lui anni intensi da quando, ancora studente, ha conosciuto l’arcivescovo di Milano e ne è rimasto affascinato. Così il prete bergamasco si è trovato a vivere un’esperienza unica accanto a un personaggio unico: l’uomo che non desiderò essere Papa.  “Era il 24 marzo 2004. Avevo deciso di svolgere gli esercizi spirituali a Gerusalemme col cardinale Martini. Si parlava del Papa malato, invaso dal Parkinson. È stato allora che il cardinale mi ha chiesto se me la sentivo di fargli da segretario a Roma, in vista di un Conclave che appariva ormai certo. Sono rimasto folgorato. Sono corso a pregare al Santo Sepolcro e al ritorno ho dato la mia disponibilità. L’anno dopo abbiamo fatto Pasqua insieme. Avevo portato mia mamma. Il cardinale le disse: ‘Ho chiesto a don Gigi di farmi da segretario a Roma’. ‘Ma sarà capace?’, era stata la risposta della madre apprensiva come tutte le madri. Arrivati a Roma, ci hanno informato che Giovanni Paolo II si era aggravato. Il 2 aprile è morto”.

“Ho accompagnato il cardinale fino alla soglia e l’ho atteso all’uscita. Prima che entrasse ci siamo scambiati un abbraccio. All’uscita era molto sorridente”.  Dopo quell’esperienza, don Gigi ha seguito l’esempio di Martini nel distacco dal carrierismo e da ogni bene materiale, e come faceva l’anziano cardinale si rifugia appena può in Terra Santa, dove ha una piccola casa e dove è ora sotterrata la persona che aveva più cara, la sua mamma Santina.

La forza debole di Santina

Può la vita di una donna, anziana negli anni, ammalata, costretta su una sedia a rotelle, con difficoltà anche a comunicare, produrre frutti, essere feconda e continuare a esserlo anche dopo la morte? La storia di Santina Zucchinelli, nel cui nome un flusso crescente di aiuti ma soprattutto di amicizia giunge agli ultimi della terra, dice che sì, questo è possibile. “Quando sono debole è allora che sono forte”, spiega il figlio, citando le parole di san Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi, che sono il filo conduttore della sua straordinaria esperienza.

Tutto comincia a Bergamo quando Gigi è un bambino piccolo, orfano di papà, e la mamma, vedova e senza redditi, che fa le pulizie per dar da mangiare ai suoi due figli, si consacra da laica alla causa del Vangelo soccorrendo i barboni che dormono sotto i portici, dando così un esempio che segnerà la vita del futuro monsignore. In particolare un giorno Santina rientra a casa con un crocifisso rovinato dal tempo, che era stato gettato via: la donna lo regala al figlio e da questo gesto scaturisce tutto, perché il ragazzo comprende che null’altro conta che Gesù,  povero in mezzo ai poveri, come don Gigi racconterà nel libro “Seguo il mio re!”.

L’altra svolta avviene grazie a Olinda, la badante peruviana che assiste Santina in 8 anni di invalidità. Don Luigi e la mamma incontrano attraverso di lei una realtà che non immaginavano, quella delle donne migranti, fatta di sofferenze e abbandono. E mettono in moto una macchina di sostegno per tante che lasciano il loro paese di origine per venire ad assistere anziani malati nelle nostre società benestanti. Nasce una rete di assistenza per le immigrate: a sostegno per esempio di ragazze madri ma anche per bisogni più semplici ma difficili per chi non conosce la burocrazia del paese in cui si trova, come essere in regola con pagamenti o ricorrere all’assistenza di medici convenzionati. Dunque l’aiuto concreto per le cure a una badante boliviana con problemi psichiatrici, a una bambina vittima dello choc di un attentato a Baghdad in Iraq, ma anche a un ragazzo dissidente a Cuba ricoverato in un ospedale psichiatrico.

La terza svolta è la decisione, umanamente folle, che madre e figli prendono insieme, di iniziare insieme a cercare i poveri nei luoghi dove più forte è l’ingiustizia: Santina e il suo figlio prete anticipano nei fatti l’idea forte del Pontificato di Francesco, che esorta a vedere Gesù negli ultimi. Con la mamma, che era già sulla sedia a rotelle, iniziano un lunghissimo viaggio per raccogliere e distribuire aiuti e per abbracciare chi è dimenticato da tutti. “Una disabile che tutti reputavano ormai in fin di vita, moribonda e inutile,  ha percorso ben più di centomila chilometri per dire che la Vita è bella ed affascinante anche quando il mondo la reputa una inutile spazzatura! Una donna di 86 anni incapace di mangiare, di bere, di parlare… ha un meraviglioso sorriso e che compie cose che addirittura le persone sane reputano difficili”.

Un flusso di aiuti e di amicizia

Dopo la morte di Santina, avvenuta il 4 dicembre 2012, il funerale e la messa in suffragio celebrata a Roma dal cardinale Comastri, la tumulazione avviene a Gerusalemme, l’ultima meta del lungo viaggio di questa donna umile e forte. Ma il percorso di don Gigi non si interrompe, anzi alcuni amici lo affiancano nel suo pellegrinaggio, dando vita all’associazione Onlus Amici di Santina Zucchinelli che ha festeggiato nei giorni scorsi il quarto anniversario. La meta più recente è di nuovo il Perù per incontrare Juana, una donna vittima di violenze incredibili e costretta a seppellire la sua bimba morta nella porcilaia. “Don Gigi si chiede dov’è finito il rispetto per la vita umana. Me lo sono chiesta anch’io e ve lo chiederete anche voi. Forse Juana, trattata, come moltissime altre donne come un animale, non se lo è chiesta”, racconta Valentina Alzraki nella prefazione dell’ultimo libro della collana “Volti di speranza”, edita da Velar, che raccoglie le diverse tappe di questa via crucis tra i luoghi del dolore.

“Don Gigi – racconta Valentina – si si pone un’altra domanda, dopo aver vinto un conato di vomito alla notizia di quella sepoltura inumana: Gesù si può incarnare nella sporcizia? Le pagine di questo libro ci sembrano dire di sì, che è possibile ma ci dicono anche che lo sporco può proteggerti e può anche non entrarti nel cuore, come nel caso di Juana che ci dimostra attraverso un debole sorriso, che lo sporco non ha l’ultima parola perché esiste la speranza”. Nel suo ultimo libro, intitolato Juana, è raccontata anche la storia di Omar, un bambino, nato come Gesù Bambino un 25 dicembre. Oggi ha 12 anni. Omar è stato vittima di maltrattamenti e sfruttamento sessuale indicibili ma, credo, la ferita più grande che ha nel cuore, è quello di avere una mamma che ha assistito, in silenzio, forse impotente, forse no, alla malvagità inumana del suo compagno verso suo figlio, carne della sua carne. Una mamma che come dice Omar a don Gigi, tra le lacrime, “non mi vuole

 

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