“Un fiore per 3P”, Palermo omaggia Padre Pino Puglisi

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Nel 28esimo anniversario della morte del sacerdote ucciso dall mafia, alle 18 ci sarà una messa in cattedrale

Il sorriso di padre Pino Puglisi nel giorno della beatificazione, il 25 maggio 2013

AGI – “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”. E’ la consegna di Padre Pino Puglisi, chiamato affettuosamente 3P, sacerdote, educatore e compagno di migliaia di giovani, parroco di Brancaccio, ucciso dalla mafia 28 anni fa, il 15 settembre 1993, nel giorno del suo compleanno, e proclamato il 25 maggio del 2013 beato e martire della fede, in una Palermo che aveva accolto Papa Francesco. Oggi alle 18 la comunità si raduna per una Messa in cattedrale presieduta dall’arcivescovo Corrado Lorefice e l’omaggio “Un fiore per 3P”.

“Dio ci ama sempre tramite qualcuno”

Lo diceva padre Pino Puglisi, marcando anche una identità esistenziale, vocazionale propria e da consegnare: abbiamo il compito di aiutare tutti a non essere esclusi dal gioco grande, complesso e bello della vita. Quanti bambini, giovani, adulti di Godrano, di Brancaccio, di ogni luogo che ha incrociato, si sono sentiti amati “tramite” e da padre Pino Puglisi? Migliaia…

Era solo un sacerdote

Dalla sua parte aveva la bella notizia del Vangelo, la forza buona che deriva dal vivere con passione e autenticità una vocazione che si interseca con le traiettorie degli uomini, ovunque si trovino. Persino quelle dei suoi carnefici ai quali ha donato il sorriso che li ha cambiati. Una storia, quella di padre Pino Puglisi, gioiosa, anche drammatica, piena di relazioni belle. Che inizia molto prima dei tre anni di Brancaccio. Che indica ancora oggi alla sua amata Chiesa la strada per essere più Chiesa. E a ogni uomo la via per vivere con maggiore pienezza. Chi l’ha conosciuto da vicino racconta che per “3P” servire significava “camminare a fianco di Gesù e camminare con ogni persona a partire dal suo vissuto”.

Una passione bruciante sui sentieri della vita

Era uno al quale piaceva stare in compagnia a scherzare; che passava dall’altare alla griglia per arrostire, dopo aver prima raccolto la legna”. E che amava la natura. Quando viveva con i ragazzi i campi di “fraternità e preghiera”, la notte si partiva in fila indiana e lui con il sacco sulle spalle e il bastone, li guidava per i sentieri bui che già aveva perlustrato e gli faceva ammirare la luna e le stelle, le ranocchie e i fiori, le farfalle e gli insetti strani. Con lui “tutto era un’avventura”.Per 3P vivere era bello, sorridere era benefico. Attraverso l’umorismo sapeva riconoscere i suoi limiti, non si stupiva delle sue fragilità, non si scoraggiava mai e accettava la vita così come veniva, trattandola sempre come un dono. E ogni incontro era un dono. Amava la sua attività di educatore.

“Sono figli miei”

Mai, ad esempio, nonostante i suoi mille impegni, avrebbe rinunciato all’insegnamento nella scuola pubblica perché qui “trovi tutti i giovani così come sono”. Educazione era “aiutare a tirare fuori da ciascuno la sua personale ricchezza”. Per lui era prioritaria la persona; più che i contenuti, intendeva far passare la consapevolezza del loro potenziale, la passione per la vita, la responsabilità nei confronti della società e della Chiesa, il loro compito nel mondo, vissuto in uno stile di servizio. Già, perché tocca “a ognuno di noi realizzare, nel proprio ambito, questo pezzetto di fratellanza, pace e giustizia”.

Questo per 3P significa ‘vocazione’: “Chiamati a rispondere a Dio che ci invita a collaborare con lui”, quale che sia la strada di ognuno. Aiutare a “tirare fuori” e ascoltare veramente: forse in questo consisteva il suo segreto: ascoltare attentamente colui che chiede di parlare e comprenderlo. E quando a causa della stanchezza, soprattutto dopo che era stato nominato parroco di Brancaccio, era tentato di saltare qualche appuntamento, a chi lo invitava ad assecondare il suo bisogno di rallentare, in modo risoluto, tornando sui suoi passi, diceva: “Sono figli, sono figli miei”.

Dignità e giustizia

Cosa voleva padre Pino per i suoi figli? “Rispondere a quella fame più profonda, fame di senso, dignità, affetto, benevolenza, amicizia, lavoro onesto, giustizia, cultura”. Così, a Brancaccio in soli due anni avvia le missioni popolari, la scuola teologica di base, il gruppo biblico, la mostra vocazione itinerante, il Centro Padre nostro. Tesse una profonda rete di relazioni che, ad esempio, consente, dopo le stragi di mafia, un’ampia risposta della sua gente alla ‘Giornata della vita’, dedicata allo sport nelle strade del quartiere, e poi la partecipazione alla marcia antimafia nel centro città. Il ‘suo’ Dio ama tutti “e – ripeteva – si ostina a non perderci. Si sente impoverito, se anche uno dei suoi figli si allontana da lui e ci viene a cercare”.

La mafia? “Al massimo può uccidermi”

Questa certezza 3P la sentiva molto e da qui prendeva spunto e sostegno tutto il suo impegno, che non escludeva nessuno, neppure i mafiosi: condannata con nettezza la mafia e la violenza, il sacerdote aveva invitato gli autori e i mandanti delle intimidazioni e delle percosse al dialogo per capire perché si opponessero alle iniziative della parrocchia, perché non volessero che i loro figli crescessero nell’abbraccio accogliente e nella giustizia. Intendeva ricondurre tutti alla casa del Padre. “Al massimo che possono farmi, mi uccidono? E allora?”, era la risposta a chi si preoccupava per lui che in quel contesto aveva chiarezza della sua missione: stare con la gente che a lui era stata affidata con il compito di promuovere la persona secondo lo stile del Vangelo. E adesso che nel suo percorso si frapponeva una forza avversa, per essa l’unico modo di fermare 3P è stato quello di eliminarlo.

“Povero sono venuto, povero me ne vado”

Enza Maria Mortellaro, una delle giovani cresciuta con lui, in una emozionante testimonianza, ricorda l’ultima volta che ha visto padre Pino Puglisi, due giorni prima che fosse ucciso, quando già le minacce e le violenze erano segnali che facevano presagire il peggio, ma la cui portata aveva nascosto per proteggere chi gli stava attorno: “3P non aveva per nulla fretta di congedarmi, era come se volesse in qualche modo trattenermi. Me lo ricordo ancora, mentre tutti aspettavano, lui era con me alla porta, ha aspettato che salissi sulla macchina, che facessi inversione e, fino a quando non sono scomparsa alla sua vista, era lì a fianco della porta aperta, in piedi, sorridente. Con un gesto della mano mi salutava mentre io mi allontanavo. Ripensando ancora a quel momento, lo vedo ancora senza soprabito, senza borsa, senza fretta di andare a mangiare, e mi tornano alla mente le parole che mi ha consegnato: ‘Povero sono venuto, povero me ne vado'”.

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