Un laboratorio intitolato a Vera Rubin, l’astronoma che scoprì la materia oscura

Scienza & Tecnologia

Di

di Loreta Minutilli

Per la prima volta nella storia degli osservatori nazionali degli Stati Uniti, quello da cui sarà condotta la survey astronomica più ambiziosa e completa che sia mai stata progettata è intitolato a una donna: si tratta di Vera Rubin, i cui studi hanno avuto un ruolo fondamentale per dimostrare l’esistenza della materia oscura.

L’Osservatorio Vera Rubin. Crediti LSST Project/NSF/AURA.

Secondo le stime più recenti, avranno inizio alla fine del 2023 le operazioni scientifiche legate alla Legacy Survey of Space and Time (LSST), la survey astronomica più ambiziosa e completa che sia mai stata progettata. L’obiettivo scientifico è imponente: fotografare l’intera volta celeste dell’emisfero australe più volte alla settimana nel corso di dieci anni, ottenendo quindi informazioni accurate su una grandissima varietà di oggetti cosmici non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Per aver un’idea delle dimensioni di questo progetto, basti notare che ogni notte la surveypermetterà di acquisire fino a 20 Terabyte di dati.

Gli ambiti dell’astrofisica e della cosmologia che trarranno beneficio da questa incredibile quantità di osservazioni sono innumerevoli, ma la survey è stata progettata per affrontare principalmente quattro macro-obiettivi: indagare la natura della materia oscura e dell’energia oscura, osservare gli oggetti transienti nel cielo visibile, produrre una mappatura della Via Lattea e un inventario completo del Sistema Solare.

Se il valore scientifico di questo progetto è straordinario, altrettanto significativa è la scelta di intitolare l’osservatorio da cui sarà condotta la LSST ad un’astronoma, per la prima volta nella storia degli osservatori nazionali degli Stati Uniti. In corso di costruzione dal 2015 nella località di Cerro Pachón, in Cile, l’osservatorio era stato in origine denominato Large Synoptic Survey Telescope. Nel 2019 è stato presentato al congresso statunitense un disegno di legge bipartisan per cambiare il nome del telescopio in onore della scienziata Vera Rubin, venuta a mancare nel 2016. La proposta è stata ufficializzata nel gennaio 2020, durante la riunione annuale della American Astronomical Society.

Vera Rubin (1928-2016)

La scelta appare particolarmente coerente se si pensa che la ricerca di Rubin ha giocato un ruolo fondamentale per sancire l’esistenza della materia oscura, circostanza che lega quindi intimamente l’astronoma agli obiettivi scientifici dell’osservatorio che porta il suo nome. Il valore di questo riconoscimento aumenta se comparato agli ostacoli che Rubin ha dovuto affrontare nel corso della sua carriera per farsi strada nell’astrofisica osservativa, un campo storicamente riservato agli uomini.

Diplomatasi in astronomia al Vassar College di New York – un istituto all’epoca riservato alle ragazze – nel 1948, Rubin dovette accantonare l’ipotesi di proseguire gli studi a Princeton, che non avrebbe accettato donne tra le sue studentesse fino al 1975. Si iscrisse dunque alla Cornell University, dove ottenne la laurea dedicandosi allo studio del moto delle galassie, un ambito che sarà ricorrente nel suo lavoro di ricerca.

La carriera scientifica di Rubin è costellata di ostacoli legati in parte al suo essere donna in un contesto in cui la femminilità era considerata un problema: vale la pena di ricordare l’aneddoto secondo cui a Rubin sarebbe stato in un primo momento impedito l’accesso al telescopio di Monte Palomar perché nella struttura non c’erano bagni separati per le donne. Parrebbe che abbia risolto il problema attaccando una figura femminile sulla porta del bagno, diventando quindi la prima astronoma ad infrangere questo divieto. La femminilità di Rubin era, probabilmente, tanto più percepita come problematica in quanto la scienziata non accettò mai di rinunciare alla maternità e alla famiglia per la ricerca scientifica, ma insistette nel perseguire i suoi obiettivi professionali mentre dava alla luce e cresceva quattro figli, che sarebbero a loro volta diventati scienziati.

La scoperta a cui Rubin deve maggiormente la fama arrivò nel 1978, mentre la scienziata, che all’epoca lavorava come ricercatrice alla Carnegie University di Washington, studiava la curva di rotazione della galassia Andromeda. La curva di rotazione è un grafico costruito a partire dalla velocità delle stelle in una galassia a spirale (misurata tramite la luce da loro emessa) in funzione della distanza dal centro della galassia. Il risultato atteso prevedeva che, in accordo con la legge di gravitazione universale, la velocità delle stelle diminuisse all’aumentare della distanza dal centro galattico: nell’estrema periferia della galassia, dove la densità di stelle è molto bassa, quindi contribuisce poco alla massa totale che viene tracciata dalla velocità di una stella a una determinata distanza, ci si aspettava dunque una curva di rotazione decrescente.

La curva di rotazione di Andromeda costruita da Rubin, invece, era piatta: le stelle più lontane dal centro galattico si muovevano alla stessa velocità di quelle centrali, implicando che dovesse essere presente una gran quantità di massa oscura nella periferia della galassia per rendere conto delle osservazioni. Tale massa sarebbe soggetta a interazione gravitazionale, ma non elettromagnetica, e a questo sarebbe dovuta la sua invisibilità.

Curva di rotazione della galassia Messier 33 (Galassia del triangolo) osservata e attesa. Crediti:  Mario De Leo, licenza CC BY-SA 4.0.

Non era il primo indizio dell’esistenza di un tipo di materia diversa da quella ordinaria. Già nel 1933 Fritz Zwicky aveva segnalato la presenza di una velocità di rotazione eccessiva nelle galassie dell’ammasso Coma, introducendo per primo il termine materia oscura per spiegare l’anomalia. A causa delle incertezze presenti nelle osservazioni di Zwicky, tuttavia, il risultato non fu ritenuto convincente. Le osservazioni di Rubin, invece, rafforzate dallo studio di un campione di circa sessanta galassie a spirale condotto insieme al collega Kent Ford, erano prive di ambiguità: secondo i loro calcoli, per spiegare le curve di rotazione delle galassie a spirale era necessario ammettere che potessero contenere una quantità di materia oscura fino a dieci volte maggiore della materia ordinaria – oppure introdurre una nuova teoria della gravità. Su quest’ultimo punto, Rubin si dimostrò sempre molto aperta: “Non so se esiste la materia oscura o se è necessario cambiare la gravità o se dobbiamo fare qualcos’altro; sappiamo così poco del nostro Universo. È un Universo strano e misterioso. Ma è questo a essere divertente.”

Secondo il modello cosmologico standard, la materia oscura compone circa l’85% della materia del nostro universo. Il paradigma delle galassie comunemente accettato oggi prevede che le galassie siano circondate da un alone di materia oscura che si estende ben oltre il raggio individuato dalla materia stellare e gassosa, e che gioca un ruolo fondamentale nella formazione ed evoluzione delle strutture cosmiche. La materia oscure è diventata, insomma, un ingrediente fondamentale del nostro universo. Da quando Vera Rubin ha reso evidente la sua esistenza, numerosissime ipotesi sono state avanzate sulla sua natura: la ricerca dei suoi costituenti fondamentali stabilisce un punto di contatto tra l’astrofisica e la fisica subnucleare. Le particelle di dark matter devono essere esotiche, non comprese cioè nel modello standard: le candidate più promettenti sono al momento le WIMPs, particelle molto massive ma debolmente interagenti, della cui ricerca si occupa l’esperimento ATLAS al Cern di Ginevra. La loro esistenza è stata teorizzata e le loro caratteristiche si accorderebbero bene alle proprietà osservative della materia oscura, ma non sono ancora state osservate.

L’Osservatorio Vera Rubin darà un contributo fondamentale all’indagine sulla materia oscura. Il punto di forza di una survey estesa come la LSST è infatti la possibilità di applicare diverse strategie osservative, coadiuvando ricerche dirette, indirette e cosmologiche per esplorare le proprietà della dark matter.

Lo studio del lensing gravitazionale, l’effetto che consegue dalla relatività generale per cui le immagini di oggetti cosmici risultano distorte dalla presenza di una massa molto elevata, costituisce ad esempio uno strumento molto utile per porre dei vincoli sui parametri cosmologici, tra cui la percentuale di massa invisibile. La misura di tale effetto sarà migliorata grazie alle incredibili prestazioni attese per la camera del telescopio, la più grande mai costruita per l’astronomia in banda ottica: le sue dimensioni sono confrontabili con quelle di un’automobile e sarà in grado di rilevare radiazione dall’ultravioletto al medio infrarosso. Con il suo ampio campo di vista e l’elevatissima precisione, la camera dell’osservatorio Rubin sarà in grado di produrre dati di ottima qualità.

La camera digitale raccoglierà la luce osservata dal telescopio Simonyi, un innovativo sistema ottico formato da tre specchi disposti in modo da formare una superficie continua. Lo specchio primario ha un diametro di ben 8,5 metri: per gestire una superficie così ampia è stato scelto per la struttura di sostegno un design a nido d’ape che permette maggiore agevolezza nei puntamenti del telescopio e un più rapido raggiungimento della temperatura di equilibrio con l’ambiente nel passaggio dal giorno alla notte.

La survey aprirà nuovi scenari per lo studio della materia oscura non solo per la qualità dei dati prodotti, ma anche per la quantità: ci si aspetta infatti che la LSST riveli un’enorme numero di galassie e ammassi di galassie. Questo permetterà di ottenere nuove informazioni sulla struttura a larga scala dell’Universo, intimamente legata al modello cosmologico scelto per descriverlo e quindi alla percentuale di materia oscura.

L’uso di una survey così estesa per lo studio della materia oscura richiederà una vasta gamma di competenze che spaziano dalla creazione di modelli teorici alle tecniche di analisi dei dati e alla gestione degli strumenti. L’organizzazione e la gestione di tutti gli scienziati che lavoreranno a questo obiettivo è possibile grazie alle collaborazioni scientifiche: la Dark Energy Science Collaboration (DESC) della LSST si occuperà di misurare i parametri cosmologici fondamentali, tra cui la percentuale di materia oscura dell’universo, usando i dati provenienti dall’Osservatorio Vera Rubin.

Uno straordinario sforzo collettivo intitolato ad un’astronoma straordinaria che per tutta la sua carriera si impegnò per abbattere le barriere di genere e incoraggiare le donne e le ragazze ad entrare nel mondo della ricerca scientifica: e cosa meglio di un progetto iconico come l’Osservatorio Vera Rubin potrebbe contribuire a raggiungere questo risultato?

fonte scienzainrete.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube