Una corona per  Maradona

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Perché la morte di Maradona sta creando tutto questo enorme clamore mediatico?

Credo che il fenomeno  sia complesso da descrivere e analizzare in poche battute.

L’attuale società (ma anche quelle del passato, solo che non lo possiamo dire con certezza perché ci mancano elementi oggettivi, o meglio, essi andrebbero scavati in una ricerca nel solco della socio-psicogia di massa) è sovrana nel decidere quali  personaggi sono da iconizzare e quali altri no. Essendo inoltre la nostra, una società in forte declino culturale, con modelli di realizzazione personale e arricchimento “alternativi”, è chiaro che scelga i suoi eroi (immedesimandovisi) tra quelli che mostrano al massimo grado della potenza questo tipo di profilo sociale, sopratutto per la facilità di successo e l’avere tutto e subito.

La fotografia di questo meccanismo è ciò che sta accadendo questi giorni a Napoli e in Argentina per el Pibe de oro: bambino poverissimo, cresciuto con forte il valore della famiglia, ignorante ma intelligentissimo, geniale e superlativo nel gioco (Gardner ci sostiene), profondamente sofferente per una dualità quasi schizofrenica patita, contatti con la delinquenza, la droga, il degrado (il lato oscuro dell’individualitá e della società nei comportamenti di massa), tutta la sua vita vissuta come un enorme palcoscenico, l’attraversamento di tutte le gradualità del vivere, dalla miseria alla ricchezza, dal successo al tracollo, dall’ovazione all’odio cieco e amplificato (sempre sotteso il fenomeno di massa), la morte prematuramente rubata alla vita.

 Da aereo danzatore i suoi giochi di gambe, macchine da guerra perfette i suoi gol che hanno divertito, costruito un sogno lungo da vivere, da soffrire e far vincere collettivamente.

C’è un riscatto sociale nel rapporto tra Maradona e il mondo del calcio, riscatto che attraversa tutte le fasi del riconoscimento del leader, dell’identificazione con l’eroe, del trapassare ad altra dimensione, quella del sogno e dell’idealità, anche se in questo caso è un sogno con connotati minimi.

Maradona, re senza speranza e della speranza, ha saputo unire tutti i ‘senza speranza’ del mondo, quelli che stanno lì perché sono capitati e non hanno nemmeno il coraggio o il bisogno di chiedersi il perché.  Ha inventato per milioni di persone una possibilità, un motivo d’essere, di imparare a sollevare la testa nell’atto di tendere a qualcosa più in alto, e val la pena qui rileggere ‘Barbari’, di Kavafis.

Da Pindaro in poi, ogni sistema sociale si è dotato di eroi, di sogni di breve portata e alla portata di tutti, dall’individuo più umile alla più alta carica di Stato, riuniti in un  segno di riconoscimento di comune umanità e di valore sociale. Purtroppo nel corso della storia, si è fatto uso e abuso di tale infallibile quanto collaudato meccanismo, ‘panem et circenses’, ben sappiamo…

E questo è quanto basta, qui i caratteri perfetti per fare di Diego Armando Maradona, dal cavalleresco nome, un’icona.

E allora parte il tam tam mediatico, col riconoscimento sociale e con il “montaggio” da parte degli addetti ai lavori (fors’ anche su commissione, perché le occasioni mai vanno perse e c’è un osservatorio che ogni giorno scandaglia gli accadimenti del globo per cui, si sa, un battito d’ali a Miami diventa terremoto a Singapore) di questo cortometraggio perfetto che è già stato consacrato ‘icona mondiale’.

Ma, al di là di tutte le analisi che potranno essere scritte, resterà nel respiro una lucida testa riccioluta, uno sguardo che rimandava ad un oltre, un corpo atletico che reclamava qualche centimetro in più, una flessuosa scioltezza nel movimento che urlava l’intelligenza del corpo, rimarrà Diego, immolatosi Maradona, per il sogno del mondo, insomma un mistero di poesia.

E qui non c’è risposta.

Maria Pia Latorre

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