“Vi spiego perché il pezzo della pasta dovrebbe aumentare più di così”

Economia & Finanza

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Ciro Moccia (La Fabbrica della pasta): la guerra in Ucraina “non c’entra nulla. È una scusa”. “Sono in atto invece speculazioni di alcune multinazionali e di tanti grossisti”.

formati di pasta

AGI – “Non sappiamo nemmeno quanto perdiamo sulle commesse. Facciamo accordi con i nostri clienti più o meno come si gioca al lotto”. Sintetizza così per l’AGI la situazione delle piccole e medie imprese del food Ciro Moccia, a capo con il fratello Antonino e le sorelle Marianna e Susanna de ‘La fabbrica della Pasta’ a Gragnano. Moccia è a Cibus in questi giorni. “Vengo a questa fiera dal 1992 – premette – mai ho visto così diffuso un sentimento di ansia depressiva. Tutti noi subiamo aumenti che vanno mediamente intorno al 40-45% sui costi di produzione negli ultimi sei mesi. Questo significa che abbiamo fermato gli investimenti e che abbiamo paura. Un dramma questa incertezza che si trascina da luglio 2021″.

Per lui, sul caro materie prime, la guerra in Ucraina “non c’entra nulla. È una scusa”. “Sono in atto invece speculazioni di alcune multinazionali e di tanti grossisti – sottolinea Moccia – proprio a metà dell’anno scorso è iniziata la mancanza di grano duro e adesso da 48 centesimi al chilo lo paghiamo 85 centesimi. Stiamo parlando di grano di filiera, non di grani particolari, e anche la grande produzione industriale di pasta lo paga 78 centesimi al chilo”.

Poi c’è stata una seconda tempesta, “quella degli imballaggi. Arrivano dalla Cina. Significa che se un container ci costava 3000 euro e arrivava in due mesi, adesso di euro ce ne vogliono 18.000 e bisogna aspettare sei mesi. Quindi si compra carta, cartone, plastica e vetro in Italia; ma questo ha significato un aumento del prezzo il cartone del 128%, della plastica del 100%, del vetro del 40%. Tutto a carico dei nostri bilanci”.

In più, evidenzia l’imprenditore, i produttori italiani di carta, ad esempio, “hanno pensato di guadagnare bene subito, avendo scorte a terra e le hanno vendute agli spagnoli, così facciamo fatica anche ad acquistarne”. Con aumenti e nuovi problemi bisogna fare i conti anche per spedire la merce all’estero: “I container se prima mi costavano 2000 euro ciascuno per inviare pasta degli Stati Uniti e ci mettevano un mese ad arrivare, adesso me costano 7000 euro e arrivano anche molto più tardi”.

I grandi commercianti di grano, “che hanno comprato a prezzo giusto, adesso vendono seguendo i rialzi del mercato e spesso hanno deciso di farlo a tunisini o turchi, per avere maggiore plusvalenza e guadagnare di più piuttosto che rifornire noi italiani”.

“Stiamo contrattando le consegne di settembre – dettaglia Moccia – e ci dicono che ci possono fare il prezzo 15 giorni prima di chiudere il contratto. Questo genera ancora più incertezza per noi. Grano di scorta non ce ne è più e quindi c’è pure l’incertezza legata al raccolto. Per esempio, il grano pugliese che io compro non ancora spigato e quindi non si sa ancora quale sarà il prezzo che verrà praticato”.

I pastai intanto sono costretti a dover mantenere la produzione consueta, “perché questo ci consente di abbattere i costi fissi, fitto delle strutture o dei macchinari, leasing, pagamento dei dipendenti, nel mio caso 70. Poi ci sono le bollette del gas, passata da 4.000 euro a 22.000 euro, e quella dell’energia, che è passata da 4.000 euro circa a 15.000 euro”.

“Cerco di contenere i costi all’inizio della tempesta perfetta di luglio- aggiunge – dovremmo aumentare di 50 centesimi al chilo la pasta (un pacco da mezzo chilo di prodotto artigianale si paga 2,90/3 euro, ndr.), perché rimanga un margine che ci permetta di arrivare a un pareggio. Se la semola la pagavo un milione di euro, adesso mi costa 1,6 milioni, mentre per gli imballaggi mi servivano 400.000 euro e adesso ne spendo 650.000. I dipendenti sono circa 1.500 euro a testa nelle loro tasche, 3.000 di esborso per quanto riguarda noi imprenditori”.

“Tutte le aziende medio-piccole italiane, non solo quelle della pasta, cioè il 90% delle imprese del Belpaese, sono soltanto in perdita – si sfoga l’imprenditore – e questo stress mediatico che ci fa sentire ogni giorno che prezzi aumenteranno fa sì che consumatore abbia ridotto i consumi, quando in realtà questi eventuali aumenti per quanto riguarda la pasta avrebbero pesato sul suo borsellino per circa 20 euro l’anno. Quando vai in pizzeria, in una sola serata, il compratore brucia tutto quello che sarebbe l’aumento di costi per il suo approvvigionamento annuo di pasta. In più, un chilo di pasta artigianale in cottura rende come 1,8 chili di pasta industriale”.

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