Giovanni Falcone
Paolo Borsellino
La loro lezione di libertà e democrazia
di Angelica LUBRANO
Negli anni ’90, giovane insegnante di Italiano e Storia, scelsi la sede di Reggio Calabria come commissario d’esame di Stato.
Nell’albergo, dove alloggiavo, c’era uno strano personaggio che, dopo qualche convenevole, si aggiunse al gruppo di professori in trasferta.
Chi era? Un pentito di mafia? Un infiltrato? Non ho mai scoperto cosa ci facesse in quell’albergo, né che ruolo avesse, non nego, però, che la mia fantasia evocava storie inquietanti, collegate al mondo criminale della mafia…
Inevitabili, quindi, nelle discussioni serali lungo la magnifica passeggiata reggina, i riferimenti alla ‘ndrangheta calabrese.
– “Dobbiamo smetterla di pensare alle mafie con le coppole e la doppietta in spalla. Hanno ormai una potenza finanziaria pari a quella delle primarie industrie italiane. Mandano i figli a studiare nelle migliori università internazionali. E fra poco saranno in grado di aggiudicarsi ogni gara di appalto più ambita con prestanomi, grazie a una disponibilità di denaro a costo zero, frutto di reati”.- mi ritrovai a fare questo ragionamento, che oggi risulta quasi una profezia.
– “Vi è stata forse, nel tempo, una qualche complicità o acquiescenza dello Stato verso la Mafia, fenomeno non nuovo dall’Unità d’Italia alla strage di Portella della Ginestra – aggiunsi – quando questa si trasformò, passando dai rapimenti e dagli abigeati di bestiame al traffico di eroina, per spezzare lo slancio rivoluzionario della “Meglio Gioventù”
Dove nasce questo sospetto?
‘Lo Stato era altrettanto responsabile di Cosa Nostra per l’allargarsi a macchia d’olio dell’uso della droga. Che l’eroina aveva fatto comodo al potere quando era servita per “controllare” le masse studentesche, negli anni della contestazione giovanile.’
– firmato: il Corvo, in un “pizzino” a Giovanni Falcone.
Quella trasferta calabrese mi torna spesso alla mente nel corso delle varie iniziative in ricordo dei tragici attentati a Giovanni Falcone, 23 maggio 1992 e a Paolo Borsellino, 19 luglio 1992.
Riflettevo sulla lunghissima e spietata, e qui incompleta, stagione di mattanza di giudici e di uomini dello stato con le loro scorte: da Gaetano Costa, procuratore della Repubblica di Palermo a Piersanti Mattarella, presidente della regione siciliana; dal capitano dei carabinieri, Giuseppe Russo, al capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano; dall’esponente politico della Dc Michele Reina al giudice Cesare Terranova; poi Rocco Chinnici, capo dell’ufficio istruzione e un alto dirigente del Pci, Pio La Torre, alfiere della protesta popolare contro l’installazione di missili a testata nucleare a Comiso e sottoscrittore di un disegno di legge destinato a potenziare le misure di prevenzione patrimoniale e a introdurre nel nostro codice penale una nuova figura di reato: associazione a delinquere di stampo mafioso; poi, ancora, il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e i due commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà; il giudice Rosario Livatino appena elevato a beato dalla chiesa… Tanti e tanti ancora furono i martiri che meriterebbero di essere qui ricordati, ma fino a Falcone e Borsellino tutti gli obiettivi della Mafia apparivano precisi e mirati.
Le stragi successive, da quella di via dei Georgofili, compiuto da Cosa nostra nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, le cui orribili immagini abbiamo visto scorrere in tv in questi giorni, fino allo stadio di Roma, per fortuna fallito, saranno tutti attentati nel mucchio e fuori dalla Sicilia, seguiti da un lungo periodo di PAX mafiosa. Perché?
Due ipotesi:
1) obiettivo raggiunto, ma quale? Visto che il regime 41 bis non ha visto di fatto nessuna concessione?
2) segno di resa della mafia? Ipotesi poco credibile vista la vitalità espressa dalla criminalità mafiosa nel risalire lo stivale, fino nella mia bella Liguria, dove alcuni Comuni sono stati sciolti per mafia, “mano a mano che sale la linea della palma” (Sciascia).
Credo sia giusto rifuggire da elucubrazioni dietrologiche, però…
Molte sono state le mutazioni della Mafia dalle prime inchieste dopo l’unità d’Italia. Senza l’ambizione di scrivere un saggio storico, ma del fenomeno mafioso andrebbero oggi messi in un museo dell’orrore certi caratteri folkloristici e locali, anche se alcuni riti e strutture feudali del periodo prebellico appaiono ancora oggi inalterati, nonostante la globalizzazione, lo sviluppo capitalistico e i mutati interessi economici internazionali dell’associazione criminale.
A proposito di attività economiche, passando ad analizzare i rapporti con il mondo imprenditoriale si individuano tre tipologie di imprenditori conniventi:
1) l’imprenditore succube;
2) l’imprenditore –favoreggiatore;
3 ) l’imprenditore- mafioso tout –court.
Queste stesse tipologie sono state riscontrate in alcuni politici.
Quel 1992 che vede le stragi di Falcone e Borsellino rappresenta uno degli snodi fondamentali della storia contemporanea insieme allo sbarco sulla luna, alla caduta del Muro di Berlino e poi all’attentato alle Twins Towers di New York.
Quel 1992 è anche l’anno di Tangentopoli.
In quel periodo la Magistratura registra il più alto favore nell’opinione pubblica, meglio non dire qual era invece l’opinione sui politici.
Da allora il successo elettorale favorirà quei partiti che si proporranno come antipolitici: imprenditori prestati alla politica, sventolatori di cappi in parlamento, seguaci di un comico, i cui risultati saranno tanto desolanti, da aver sempre bisogno di severi governi tecnici per rimettere in piedi il Paese.
Oggi a inquietare è che anche la credibilità della magistratura, precipitata dall’80% al 30% (i partiti sono messi peggio con una credibilità che sfiora il 5%).
Cos’è successo?
In molti cittadini ha fatto breccia il mantra delle toghe rosse, delle toghe politicizzate, del giustizialismo esigente e “tuttugualista” di chi dei politici disse: “Solo colpevoli non ancora scoperti” e oggi per la legge del contrappasso condannato a 15 mesi…
Misteri oggi infittiti dai casi Palamara e Amara, dai trojan fatali per smascherare le nuove logge massoniche “Ungheria” e il “piano Viola”… Non voglio appesantire l’articolo con riferimenti alla cronaca di questi giorni che i lettori potranno sbizzarrirsi a leggere sui giornali se ne avranno la voglia e lo stomaco.
Ma quali sono stati gli errori della Magistratura?
Certamente una certa sovraesposizione mediatica di alcuni pubblici ministeri d’assalto ha compromesso il principio di terzietà del giudice e ne ha risentito il difficile equilibrio fra le funzioni dello stato.
Spesso la Magistratura ha scordato di essere un ORDINE dello Stato non un POTERE.
La sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso i propri rappresentanti ELETTI in Parlamento.
La Magistratura non è quindi un potere, perché non elettiva, ma un ORDINE e credo che in questo equivoco si trovi la spiegazione di fondo della condizione di degrado della “giustizia”, come emerso AMARAmente in questi giorni.
Di chi la colpa?
Certamente dei politici, divisi fra chi esprime un rancore aggressivo e chi un’insanabile diffidenza verso la Giustizia, ma anche del forte disorientamento di tutta la classe politica, dopo tangentopoli che porta di fatto all’immobilismo e alla delega delle decisioni.
Ne è testimonianza tutta la risibile vicenda del fumus persecutionis nelle richieste di autorizzazione a procedere o quella infinita delle proposte per limitare usi e abusi delle intercettazioni con proposte oscillanti fra incompetenza, malafede e “Bonafede”, come ancora la farraginosità delle leggi e il loro numero spropositato, 450 mila a fronte di meno di due mila in altri paesi stranieri, fonte di sovraffollamento degli uffici giudiziari e causa di eccesso di discrezionalità sia nello stabilire la priorità, sia nel giudizio.
Ritengo comunque che la causa principale sia il “panpenalismo”, provocato dalla bassa soglia di senso civico e di senso della legalità in moltissimi italiani e dalla loro alta rissosità.
A questo forse si potrà ovviare coinvolgendo la scuola e tutte le agenzie formative, compresi i media, nell’educazione dei giovani, perché il tema della legalità in questo paese riguarda principalmente il loro futuro, non solo per una questione di etica e di civiltà, al primo posto, ma perché in un paese senza giustizia e preda di controllo criminale, nessun imprenditore onesto avrà voglia di venire a investire i propri capitali e l’Italia, nonostante il suo bel clima e la collocazione privilegiata, un ponte fra un Nord del mondo in senescenza e un Sud del mondo in vitale espansione a due cifre di PIL, malgrado i suoi millenni di civiltà giuridica, il nostro Paese pagherà il prezzo del declino per una giustizia negata. In tempi di PNRR e di Eu Next Generation grande attenzione, risorse e impegno vanno date al tema della Legalità e della Giustizia se vogliamo rendere attrattivo il nostro Paese e vincere il gap competitivo.
Articolo integrale con immagini versione pdf (coperta da diritti “demo”):Falcone, Borsellino e tutti gli altri
(*) Angelica LUBRANO, docente di lettere, vive in Liguria. Ha pubblicato racconti, poesie (Geometrie Sentimentali) saggi (Recupero delle terre marginali) e fiabe. Presenta libri e scrittori in una prestigiosa libreria di Savona. Nel 2011 vince il 1° premio Laurentum per la poesia in lingua italiana, nel 2012 è I^ classificata e nel 2013 III^ classificata al premio Internazionale di poesia Ischia . Selezionata e pubblicata dal Comune di Bellinzago in un’antologia e nel Calendario 2013 a tema ACQUA Immagini e parole. E’ presente su FB con oltre 5 mila contatti e 830 seguaci. Ha un blog e un sito www.lubranoangelica.it