Tonfo in Umbria: trionfa la destra

Perché gli avversari di Salvini continuano a perdere e come si può invertire la rotta

Politica

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Annunciata, scritta, prevista e prevedibile è arrivata la sconfitta, anche piuttosto pesante, in Umbria. La candidata Tesei ha trionfato con il 57% sul candidato Bianconi, fermo al 38%.

Intendiamoci: la destra governava già un territorio pari al 62% della regione. Nelle due principali città dell’Umbria, Perugia e Terni, così come anche ad Orvieto e Foligno, governano sindaci di centrodestra. A Perugia, il sindaco uscente Andrea Romizi ha vinto lo scorso maggio con il 60 per cento dei voti; alle elezioni europee, che si sono svolte lo stesso giorno, la Lega ha ottenuto il 38% (replicato anche ieri, n.d.r.) in tutta la regione, mentre il centrodestra, nel suo complesso, ha superato il 50 per cento dei voti.

La ormai ex regione rossa, dove il centrosinistra veniva da 50 anni di governo, era il primo, e forse unico, almeno a sentire le dichiarazioni rilasciate oggi dal capo politico dei 5 Stelle, Luigi Di Maio, esperimento a livello locale di questa nuova alleanza PD e 5 Stelle. Se si cercavano risposte, seppur parziali, gli elettori umbri sono stati netti nel bocciarlo.

Analizziamo ora alcune delle ragioni della sconfitta e poi veniamo al futuro possibile per gli avversari di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

La presidente uscente dell’Umbria, Catiuscia Marini, esponente PD, ricordiamolo, è stata costretta alle dimissioni per lo scandalo “Sanitopoli”. Al di là del merito e della fondatezza delle accuse, sulle quali si pronuncerà la magistratura, a denunciare per primo e scagliarsi contro questi presunti comportamenti illeciti è stato proprio il Movimento 5 Stelle.

Già questa circostanza avrebbe dovuto indurre a maggiore prudenza nel proporre l’alleanza in Umbria: come si può, infatti, pensare che gli elettori possano ignorare che coloro i quali si stavano combattendo fino a qualche mese prima, ora si alleino senza colpo ferire? Oltretutto, la parte debole di questa unione non è il PD che, pur fermo ad un non esaltante 22%, ha comunque tenuto rispetto ai numeri di precedenti elezioni, ma il Movimento 5 Stelle, capace di raccogliere appena il 7 per cento circa, lontano dalle percentuali a due cifre di recente memoria

L’alleanza, o “Patto Civico”, come è stato ribattezzato dai contraenti, tra due forze così diverse e lontane, non preceduta da un’elaborazione e da un percorso comune, è parso e appare solo come un modesto, almeno fino ad ora, patto contro Salvini. L’anti-salvinismo può essere un ottimo collante di coalizione, ma non basta a far nascere un’alleanza duratura e stabile nel tempo. Si è percepito ben distintamente, anche dai non umbri, che si è percorsa una strada in fretta e furia, cercando una soluzione raffazzonata e affrettata che, senza elaborazione programmatica preventiva , è parsa come una scelta non realmente voluta da tutti. In tal modo, non solo non si è realizzata l’addizione che speravano i due partiti al governo, ma rischia di essersi verificato, al contrario, un travaso di voti dai delusi di ambo gli schieramenti verso la Lega.

Qualche tempo fa, il giornalista de “Il Foglio”, David Allegranti, ha scritto un libro sul tema, dal titolo “Come si diventa leghisti”. Egli riflette durante tutto il racconto sulla “mutazione genetica” di quelle che, fino a pochissimo tempo fa, avremmo definito come c.d. roccaforti rosse. Uno dei casi analizzati più significativi è Pisa, dove la Lega è passata, in pochi anni, da 125 voti, pari allo 0.3, al 25%.

Partendo anche da alcune delle riflessioni di Allegranti, passiamo, adesso, ai possibili rimedi che dovrebbe attuare chi, oggi, si presenta come alternativo alla sua visione.

Al primo punto deve essere messo l’abbandono di un certo atteggiamento snobista quando «il popolo» non vota per il proprio partito.

Per citare un famoso adagio, «gli elettori hanno sempre ragione», anche, anzi soprattutto, quando non votano per il partito verso il quale si provano simpatie. È inaccettabile, ad esempio, che il Presidente del Consiglio Conte abbia sminuito il voto in Umbria. Dire che avrebbe votato un numero di cittadini pari alla intera provincia di Lecce significa non aver capito granché del malcontento che c’è, e forte, in Italia.

Smettere di inseguire Salvini sul suo campo.

Con oggi, Lunedì 28 Ottobre, sono ormai 8 giorni che la Ocean Viking attende, in mezzo al mare, l’indicazione di un porto sicuro. A bordo ci sono esseri umani terrorizzati all’idea di essere rispediti in Libia. L’ipocrisia di questo atteggiamento è ancora più sgradevole proprio perché proveniente da chi si ribellava alle politiche di Salvini al grido di «aprite i porti». C’è di più: il PD, accettava di formare un governo solo in nome della c.d. “discontinuità”; ad ora, di discontinuo, c’è ben poco. Non è stato smontato l’impianto dei decreti sicurezza; non è stato corretto il Reddito di Cittadinanza (meriterebbe un approfondimento a parte); non è stata cancellata quota 100 e non solo.

Sono questi tutti errori di timidezza e di scarsa lungimiranza. Una coalizione contro Salvini, come continua a sembrare questo accordo, non serve a nessuno e difficilmente può essere votata per governare il paese. Tutte le analisi, d’altronde, vanno verso questa direzione: la maggioranza deve concentrarsi di più sull’elaborare politiche a favore degli italiani, lasciando meno tempo e spazio a polemiche che alimentano solamente le divisioni latenti.

Recuperare la connessione col popolo.

Quelli che ben parlano, anziché di rapporto, parlano di connessione: Salvini lo ha capito, il PD no. Stupisce che, ultimamente, anche il Movimento 5 Stelle abbia smarrito quello che si è soliti chiamare “sentiment”: entrambi i partiti, divisi e litigiosi, sono accomunati dal non riuscire più a capire istanze e necessità degli elettori di Sicilia, piuttosto che di Umbria o Lombardia. Salvini e la Meloni, invece, hanno saputo inserirsi magistralmente in questa frattura. I due attuali leader della destra, a costo di non essere praticamente mai in Parlamento, non hanno paura di battere palmo a palmo le piazze e non si risparmiamo nulla. In Umbria non c’è stata piazza, palco o paesino che non sia stato anche solo lambito dalla campagna elettorale della destra; PD e 5 Stelle, con L&U, invece, si sono chiusi, quasi dovremmo dire rintanati, nei teatri, negli auditorium, non (ri)creando empatia con gli elettori. Non sfuggirà, soprattutto a chi studia comunicazione, che la foto di rito dell’ultimo giorno dei leader riuniti a Narni non faceva trasparire reale coesione e denotava quasi solo paura: e difficilmente la paura porta a qualcosa di positivo, come hanno poi confermato i numeri, appena pochi giorni dopo.

Ritrovare o darsi una chiara identità.

Fino ad ora, più che governo giallorosso, sembra il governo giallo-giallo. Anche qui torna l’elemento della paura: il PD, nel segno dello slogan #altrimentitornaSalvini, sta ingoiando qualunque “rospo” proposto dai 5 Stelle solo per non minare questa già fragile alleanza. Questo atteggiamento, tuttavia, siamo convinti, non premierà il Partito di Nicola Zingaretti, ma rischia solo di sbiadirne ulteriormente l’immagine, già abbastanza logora. Non siamo neanche sicuri premierà il Movimento 5 Stelle. Nei giorni immediatamente precedenti la formazione del nuovo governo, politologi e comunicatori, spiegavano le ragioni del successo di Salvini. L’elemento che ritornava più che spesso era l’assenza di identità dei 5 Stelle, contrapposta ad una, chiara, di destra, della Lega. Sembrava che, su queste basi, anche il Partito Democratico potesse imbastire una strategia simile di recupero di consensi. Tuttavia, il Movimento di Grillo continua a non volersi dare un’identità precisa e il PD non sembra avere il polso necessario a far virare la bussola del governo verso politiche più di sinistra.Ora i due leader sono ad un bivio: ritentare un’alleanza, magari correggendola e allargandone gli orizzonti, anche in altre regioni, oppure rinunciare a questa possibilità e “tirare a campare” fino al 2023. Il rischio è che però, tirare a campare, non basterebbe a contenere l’ondata di destra che attraversa un po’ tutta Europa. Non esistono, per cui, prospettive terze: o PD e M5S scelgono di correre insieme provando a trovare una sintesi tra le rispettive proposte, oppure spianeranno il campo alla destra più reazionaria e meno moderata di sempre.

I modi per ripartire ci sono tutti, basta saperli cogliere.

È innanzitutto prioritario che non sia Salvini ad imporre la comunicazione. La percezione radicata è che con questa manovra aumenteranno le tasse. A poco servono le smentite dei protagonisti: l’occupazione massiccia sui social della Lega ha ormai attecchito profondamente.

Cosa fare, quindi?

Sarebbe opportuno partire da temi che Salvini non tocca neanche di striscio.

Proprio qualche giorno fa, in un articolo su questo giornale, parlavamo di una delle cause dell’effetto Greta: l’attenzione all’ambiente. PD e Movimento potrebbero ben cogliere questa rinnovata sensibilità verde per recuperare consensi.

Anche sulla scuola si può ben sfidare Salvini, combattendo due fenomeni sintomo di decadenza culturale: l’abbandono scolastico di ragazzi di età inferiore ai 14 anni e l’emigrazione per motivi di studio dei nostri ragazzi (più di 200.000 nell’ultimo anno).

Va detto, per oggettività di analisi, che la manovra tiene conto, seppur molto, troppo, timidamente, di queste necessità: la forza con la quale sarà capace di sostenerle, incrementarle e farle conoscere ai più farà la differenza.

Ci sarebbero, infine, ancora tante altre ricette, temi e strade, tutti validi, sui quali riprendersi la scena e invertire la rotta.

Oppure, se la strada dell’alleanza non dovesse dimostrarsi più percorribile, meglio sarebbe separarsi e organizzarsi, ciascuno per proprio conto, a contrastare Salvini, come sembra abbiano scelto di fare altre sigle, quali Italia Viva di Renzi, Siamo Europei di Calenda, Più Europa, Italia in Comune e altri.

L’importante, come diceva Lao Tzu, è partire, sul serio, perché «anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo».

Vito Longo

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