L’Europa dal 2015, è nel bel mezzo della sua seconda crisi migratoria; questa è più piccola, ma sembra più difficile da risolvere.
Secondo UNHCR, l’agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite, finora quest’anno in Italia sono arrivati 84.832 migranti non documentati.
Questo tuttavia sembra un problema molto diverso da quello che ha affrontato l’Europa nel 2015. La maggior parte degli arrivati che hanno inondato il continente attraverso la cosiddetta via mediterranea o balcanica orientale – attraverso la Turchia, la Grecia, l’ex Jugoslavia, l’Ungheria e poi in Germania e in Scandinavia – erano veri e propri profughi provenienti dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan.

Quest’anno, invece, i il più grande gruppo di persone che stanno arrivando in Italia attraverso il percorso mediterraneo centrale, soprattutto dalla Libia, sono nigeriani; seguiti dai bangladeshi, guineani, ivoriani, gambiani, senegalesi e marocchini. Questi paesi non sono oppressi dalla guerra come la Siria, e le persone che fuggono, lo fanno soprattutto per ragioni economiche.
E, siccome questo non è un esodo di rifugiati di massa, ma una somma di molti piccoli flussi provenienti da paesi più poveri, il traffico di esseri umani nella più recente ondata di migrazione svolge un ruolo più importante che nella precedente. Secondo l’Organizzazione internazionale per la migrazione, che esamina i migranti, il 79 per cento di coloro che quest’anno hanno utilizzato la rotta mediterranea, hanno riferito d’essere stati sottoposti a pratiche di tratta e abusive: detenuti contro la loro volontà, costretti a lavorare senza salario e torturati.

Un’altra importante distinzione è che, mentre la decisione tedesca d’accogliere i rifugiati nella precedente crisi ha sollevato una tensione nei paesi lungo la rotta balcanica (e aumentata in Germania, anche se è stata gestita), gli arrivi di quest’anno sono tutti imbottigliati in Italia. I paesi che confinano con le frontiere italiane sono ben attenti a tenere fuori il maggior numero possibile di migranti: l’Austria ha deciso di mandare soldati al confine italiano; la Svizzera sta rafforzando la presenza della polizia alle frontiere; i migranti si sono scontrati con la polizia italiana a Ventimiglia sul confine francese: né la Francia, né le città italiane li vogliono.

Nel marzo 2016 il cancelliere tedesco Angela Merkel, dirigendo l’accordo dell’Unione europea con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha promesso di accettare i migranti che l’Europa avrebbe mandato indietro, ha infine interrotto la precedente crisi. E, sebbene l’Unione europea non ha ancora mantenuto fede al contratto, che dipendeva in parte anche da alcune condizioni che Ankara doveva soddisfare, non ha mai inviato l’aiuto monetario promesso, non ha concesso ai turchi l’esenzione dal visto – l’accordo in gran parte ha portato all’Europa il risultato sperato. La Turchia ha ospitato quasi 3 milioni di profughi siriani, che sono in gran parte rimasti sul suo territorio; inoltre, i paesi lungo la rotta balcanica hanno fortificato i loro confini e hanno reso chiaro che ai migranti avrebbero reso la vita difficile.

Il percorso mediterraneo centrale è diretto – tra la Libia e l’Italia non ci sono altri paesi da attraversare, se non solo un mare tempestoso e spesso mortale. Non esiste anche nessun modo per mettere in piedi un accordo “stile turco”, perché Muammar Gheddafi è stato ucciso e la Libia ha un debole governo democraticamente eletto che non controlla gran parte del paese. Il generale Khalifa Haftar, è riuscito ad avere il pieno controllo della città di Bengasi, la seconda città della Libia, dopo una battaglia di tre anni, e ora, sta minacciando d’attaccare la capitale Tripoli entro la fine dell’anno. Ma, anche se i cittadini europei volessero fare un accordo con Haftar – e non lo fanno, almeno apertamente – non può promettere nulla.
Inoltre, il governo italiano è troppo debole per intervenire più pesantemente in Libia che, per la maggior parte della prima metà del XX secolo, è stata una colonia italiana. Le prossime elezioni italiane, che dovrebbero avvenire all’inizio del prossimo anno, minacciano di smontare l’establishment guidato dal Partito Democratico di centro-sinistra a favore del movimento populista 5 Stelle o di una risorgente destra, che ha guadagnato punti nelle recenti elezioni locali. Il primo ministro Paolo Gentiloni non è Merkel, ed è difficile aspettarsi che si possa esporre mettendo a rischio la propria comparsa politica.

In Libia ci sono quasi 400.000 migranti identificati, e probabilmente tanti altri non identificati. A differenza di quelli che si sono stabiliti nei campi profughi in Turchia, queste persone sono in movimento, e stanno attivamente cercando opportunità per arrivare in Europa, anche con l’aiuto dei trafficanti.
È chiaro che il programma di reinsediamento migratorio approvato dall’UE nel settembre 2015, non funziona – finora sono state trasferite solo 23.503 persone, la maggior parte delle quali provenienti dalla Grecia. Le nazioni dell’Europa dell’est non ne vogliono nemmeno una, e quelle più ricche dell’Europa occidentale sono molto lontane dal soddisfare le loro quote. Sono state utili le risorse aggiuntive all’agenzia europea di frontiera, Frontex – l’agenzia consente un risparmio di migliaia di migranti, che altrimenti sarebbero annegati e arrestati come sospetti trafficanti – ma non c’è modo di sigillare completamente il confine marittimo. E, sebbene l’UE consente all’Italia di gestire un grosso deficit di bilancio e dispiegare ulteriori fondi per il Paese in modo da poter gestire meglio i flussi – il blocco ha annunciato un’allocazione di altri 35 milioni di euro – ma i soli fondi non possono risolvere i problemi dell’Italia: grane legate alla migrazione, incluse quelle politiche.
Il piano d’azione recentemente emanato dall’UE per sostenere l’Italia, è in gran parte un insieme di misure palliative. Gli afflussi attraverso la via mediterranea centrale non possono essere eliminati, mentre la Libia è incapace di raggiungere ed attuare qualsiasi accordo per mantenere i migranti, come ad esempio ha fatto la Turchia. Se l’Unione europea avesse una forza militare congiunta, la crisi probabilmente potrebbe giustificare un dispiegamento – e, giudicando dall’attuale equilibrio di forze, un intervento sul lato di Haftar; ma nemmeno l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, di cui la maggioranza dei paesi dell’Unione europea è membra, può prendere in considerazione una cosa del genere.
A differenza del 2015, i rifugiati non entrano in Europa a milioni; ma l’attuale crisi è un disastro umanitario che ha raggiunto una impasse: il governo italiano non può fare molto per aiutarsi, mentre il pasticcio libico lo tiene in ostaggio.