I baresi e i derby. “Appula nulla erat urbs, quam non opulentia Bari vinceret…”

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Quando qualche tifoso, qualche tecnico, qualche giocatore, qualche dirigente di squadre avversarie, o qualche giornalista che ne cura le relative vicende, sostiene che il Bari è battibile solamente perché vince con fortuna, dicono il falso e non lo diciamo per partigianeria.

Certo, il Bari non è il Liverpool e, pertanto, è assolutamente battibile ma non perché sia scarso o fortunato, anche se la fortuna – si sa – aiuta gli audaci e chi non rischia, non viene supportato dalla dea bendata, ma solo perché è una normale squadra di calcio, peraltro prima in classifica distante otto punti dalla seconda, giusto per precisare. Il Bari ha perso due gare meritatamente perché ha dimenticato di scendere in campo, così come ne ha vinte altre con pieno merito ed altre ancora con meno ma non certo per fortuna ma per esperienza, solidità e testa che hanno preso il posto dello spettacolo.

In realtà costoro guardano spezzoni di gare, magari gli highlights, e non tutte la gare fin qui disputate perché se solo avessero guardato tutte le partite, si sarebbero resi conto del processo di maturazione e quello di crescita della squadra del Bari che, man mano, è cresciuta gara dopo gara, e certe giocate, una evidente padronanza del campo, certi gol su azioni pregevoli (ultima quella del gol di Botta con un velo da serie A di Antenucci), le eseguono solo squadre davvero forti, non certo squadre di centro-bassa classifica, né si confezionano a causa della fortuna.

Dunque lasciamoli dire perché il loro gioco è quello di creare tensione e rompere gli equilibri che, per fortuna, i giocatori del Bari si fanno scivolare, un altro tassello, questo, che fa parte del processo di crescita: in altre annate, anche recenti, per il Bari era facile assistere a conseguenze devastanti nell’economia dei risultati perché cadevano nel tranello della provocazione in quanto poco tutelati societariamente.

Con l’Avellino il Bari ha subito minacce, è stato bersaglio di petardi in hotel, ha subìto il vergognoso attacco da parte di un sedicente giornalista irpino che ha offeso la squadra e la città, senza dimenticare certe frasi inopportune del tecnico che, rivestendo quel ruolo, non avrebbe dovuto nemmeno pensarle. Ma dove si è visto mai un Ventura, un Torrente, un Mignani, un Nicola, un Grosso, un Conte, un Seghedoni, un Regalia, un Materazzi esprimersi in un certo modo? Lo stesso Fascetti che non le mandava a dire a nessuno e che brillava nel linguaggio tutt’altro che aulico, usava il sarcasmo ma mai l’offesa, né la provocazione.

Così è stato col Taranto: tensioni, minacce, auguri di morte ai baresi e via dicendo, tutta strategia subdola tipica di squadre provinciali che non potendo competere tecnicamente, socialmente, sociologicamente e antropologicamente davanti allo status di un capoluogo di regione, nono come abitanti in Italia, e davanti ad una città metropolitana con oltre un milione di abitanti, di una città da sempre dell’accoglienza, approdo e punto di partenza delle crociate verso Gerusalemme, via naturale di scambi commerciali da migliaia di anni, scalo di partenza e di arrivo di navi da guerra, di una città protetta da un Santo conosciuto e venerato in tutto il mondo e non da sole città vecchie, ponte naturale tra Oriente e Occidente, di una città attiva, commerciale, industriale e bellissima, con uno stadio da 60mila posti, con una proprietà calcistica assolutamente solida e rassicurante che non beccherà mai punti di penalità e che verserà sempre i contributi INPS e gli F24 senza ritardi, con un polo universitario invidiato da tutta Italia ed un altro sanitario anch’esso invidiabile, con una Fiera Campionaria che ospita decine e decine di manifestazioni specializzate europee (non solo quella di settembre), una Libreria Laterza invidiata da tutta Italia, tempio della cultura barese ed italiana dove ha lavorato Benedetto Croce (e non solo) e, infine, con un Festival del Cinema, provano a destabilizzare l’ambiente barese sperando così nella vittoria, ma non hanno fatto i conti con lo scudo della squadra e della città che non cade nelle provocazioni e che si fa scivolare tutto. Poveri illusi. Così han fatto, sia pur senza infierire come i tarantini, qualche personaggio foggiano. E non ne parliamo dei leccesi anche se con costoro sembra che la rivalità si sia un tantino raffreddata rimanendo nell’alveo dello sfottò. Almeno lo speriamo tutti. Così come ci auspichiamo – sia inteso – che queste stupide, pericolose, rivalità regionali e tra regioni, cessino per sempre lasciando il posto a naturali sfottò. Per carità, il Bari può e potrà perdere i derby, ci sta, ma che si eliminino le minacce e le provocazioni, non è onesto, leale e sportivo.

Pazienza, occorre capirli e compatirli e lasciarli nel loro ruolo di semplici capoluoghi di provincia che risultano persino belli e simpatici perché – ricordiamolo – anche queste cittadine hanno la loro storia così come hanno sicuramente le loro indubbie qualità e bellezze, senza dimenticare che non tutti gli abitanti sono come questi quattro personaggi in cerca d’autore, per dirla alla Pirandello.

Il tessuto sociale di queste realtà cittadine, sicuramente, è nel complesso sano. Città come Taranto e Lecce sono bellissime, la prima uscita fuori da un anonimato che l’ha relegata ad una riduttiva e offensiva “città dell’Ilva” e che da qualche anno, grazie alla buona politica, sta crescendo culturalmente e sociologicamente, Lecce abbagliata dal suo splendido barocco, Avellino è città storica, la città dell’Acquedotto Romano e di un altro – quello Pugliese a noi noto – più recente che dà acqua a quell’Apulia siticulosa di cui parlava Orazio, possiede il Decumano e il Cardo, simboli di una “urbs” romana di un certo rilievo, e ha un centro storico molto bello e sicuramente tanta gente per bene.

Le mosche bianche stanno dappertutto, anche a Bari, ma a Bari, però, non pensano nemmeno di offendere, di diffondere tensioni, minacciare e provocare. Semmai possono esprimersi con ilarità, sfottò, sarcasmo e soprattutto con più efficaci pernacchie eduardiane. Da qui si misura il termometro della signorilità e della grandezza antropologica rispetto ad altre realtà sociali. E il web ne è la prova: baresi ironici, altri seri nel loro modus operandi volto alla destabilizzazione.

Appula nulla erat urbs, quam non opulentia Bari vinceret. Omnia praeclarum super Appula moenia Barum”, scriveva Guglielmo Apulo che, con questa sua frase, ne consolidò la leadership regionale, ma in genere di una grossa parte del Sud Italia – Irpinia inclusa – per via delle sue qualità e per l’apertura a tante civiltà, dai bizantini agli arabi, dagli spagnoli agli ungheresi, dagli svevi ai greci, dai messapi agli japigi, dai normanni ai longobardi, dai romani ai francesi passando per i siciliani con loro regno, e dai napoletani sempre col loro regno, e tanti altri popoli, coi baresi che li hanno accolti sempre con signorilità e rispetto e trattati con la stessa moneta per la loro proverbiale capacità di dialogo, di ascoltare, di convivere e di comportarsi di conseguenza in situazioni di pace e serenità.

Ma questo, quei quattro disgraziati, lo sanno? Perché di quattro persone si tratta.

I tifosi del Bari, men che meno la città di Bari, non si permetterebbero mai di offendere e minacciare una città avversaria per una partita di calcio, per un derby regionale o del sud, né si sognerebbero mai di infondere la strategia della tensione e della provocazione nella settimana antecedente i derby, e nemmeno si sognerebbero mai di rubare auto e gettarle nell’ansa Marisabella così come facevano, un tempo, i tifosi del Taranto con le auto dei tifosi del Bari che, una volta rubate, le gettavano nel Mar Grande. Mai ! Gli sfottò coloriti ed incisivi bastano ed avanzano. Sia chiaro.

 

Massimo Longo

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