ILVA: braccio di ferro governo-Mittal

La cordata franco-indiana pronta a chiedere i danni al governo italiano

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La già difficile situazione del centro siderurgico del capoluogo ionico è peggiorata a dismisura nelle ultime ore.

La situazione sta precipitando, dice Marco Bentivogli, segretario della FIM. Il vertice tra il ministro dello sviluppo economico Patuanelli, i sindacati e i rappresentanti di Arcelor, non ha prodotto effetti e da Mittal sembrano non esserci più spazi di trattativa.

La cordata franco-indiana, a seguito della scelta del governo di confermare la rimozione dello scudo penale, dando seguito ad un indirizzo politico già maturato dalla precedente compagine governativa, nel 2019 come effetto del Decreto Crescita, ritenendolo un privilegio ingiustificato non previsto per altre realtà aziendali, ha deciso di citare in giudizio il governo italiano. I legali di Arcelor Mittal hanno depositato presso il Tribunale di Milano l’atto di citazione per recesso dal contratto di affitto dello stabilimento siderurgico ed oggi (venerdì 15 novembre 2019, n.d.r.) i commissari straordinari di ILVA hanno annunciato ricorso urgente(ex art. 700) avverso questa scelta.

La situazione, dunque, che già appariva critica, sta rovinosamente precipitando verso un baratro del quale non riesce a vedersi fine. Il premier Conte si è, con grande dignità e coraggio, recato a Taranto, se pur privo di risposte concrete, solo per ascoltare e provare a dare conforto ai lavoratori che, in queste ore sono molto preoccupati per il futuro proprio e delle loro famiglie.

La situazione di confusione e agitazione su ILVA è la stessa che, già da diversi giorni, attanaglia anche il governo. Benché impegnato sul fronte della approvazione della legge di bilancio, in un percorso parlamentare che si prospetta quanto mai duro ed impegnativo, con le fibrillazioni interne ai 5 Stelle, Renzi che spinge col suo partito in cerca di visibilità e la destra unita nel fare fronte di opposizione dura alla manovra fiscale, il governo rischia di cadere proprio sul caso dell’acciaieria di Taranto. Nonostante i protagonisti si affannino a ripetere, quasi come un mantra quotidiano, che la tenuta del governo non è a rischio, resiste, soprattutto nei 5 Stelle, una fronda interna al Movimento, capeggiata da Barbara Lezzi, ostinata nell’impedire che venga ripristinato il c.d. scudo penale per Arcelor Mittal.

Oggetto del contendere è lo scudo penale concesso per le violazioni delle norme ambientali commesse dallo stabilimento nel corso degli anni, i cui effetti continuano a manifestarsi.

Difatti, le conseguenze dell’inquinamento sono difficilmente prevedibili e in genere si manifestano dopo diverso tempo; ciò ha indotto i vertici aziendali a ritenere lo scudo penale il solo modo per tutelarsi dalla responsabilità per fatti a loro non imputabili.

Del problema della legittimità dello scudo penale dell’ex Ilva era stata investita anche la Corte costituzionale che con ordinanza del 9 ottobre rimetteva gli atti al GIP (Giudice per le Indagini Preliminari, n.d.r.) di Taranto, che aveva impugnato il provvedimento, dichiarando che le vicende legislative sopravvenute avrebbero potuto condizionare il quadro normativo.

Inquadrato il problema e lo scenario difficile, all’interno del quale si sta lavorando per trovare una soluzione quanto più condivisa, proviamo a fornire noi delle strade per evitare che uno dei centri più importanti d’Europa per la lavorazione dell’acciaio finisca per essere spento del tutto, bruciando circa € 24.000.000.000, pari all’1.4% del nostro PIL: tanto, infatti, ci costerebbe la chiusura del centro tarantino.

Milena Gabanelli, famosa giornalista di Report e ora su LA7, ha condotto un’interessante inchiesta sui SIN (Siti Interesse Nazionale, n.d.r.) in Italia. Degli 89 su scala nazionale, ben 3 sono in Puglia: Brindisi, Manfredonia e, appunto Taranto. Benché la bonifica e la sanificazione di questi luoghi dovrebbero toccare allo Stato, i siti finora attenzionati sono pari a 0.

Già questo dato basterebbe per far capire la non percorribilità della strada della nazionalizzazione, benché sia stata anche suggerita da più parti, a causa degli elevati costi non sostenibili da una pubblica amministrazione, ancora con la palla al piede di una burocrazia incapace, quando non corrotta.

Per cui la priorità del governo dovrebbe essere quella di ripristinare subito, con un decreto ad hoc, lo scudo penale. Se, infatti, è vero che è questo un alibi per recedere dagli impegni, infatti, la richiesta di acciaio di qualità sul mercato è di gran lunda diminuita, come pure i suoi costi,  è altrettanto vero che rimetterlo toglierebbe questo alibi dal tavolo e obbligherebbe Mittal, in caso di conferma della volontà di venir meno ad impegni già presi, a dichiarare di farlo per ragioni industriali, esponendosi, quindi, a rivendicazioni di carattere economico da parte dello stato italiano. Si verificherebbe, così, un ribaltamento dei rapporti di forza tra le parti.

Infine, mutuando un istituto come il “baratto amministrativo”, presente nel codice degli appalti, si potrebbe studiare una soluzione simile, pensandolo come un obbligo di bonifica. Nel provvedimento “Industria 4.0” era previsto il super ammortamento per chi investiva in macchinari utili al progresso, ossia uno sconto fino ad un massimo del 150% sull’importo speso. Lo stato potrebbe garantire vantaggi fiscali a chi si assume l’onere di andare a bonificare aree sensibili, quei SIN di cui si parlava prima, sgravando lo Stato di questo obbligo particolarmente oneroso e non sostenibile, anche per le ragioni appena enunciate.

I tempi sono strettissimi, ma, a ben guardare, nonostante le dichiarazioni di Mittal, ci sembra di vedere uno spazio, se pur ristretto di trattativa, per impedire che ILVA cessi la sua attività entro l’anno.

Vito Longo

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