L’ Italia irrazionale

Attualità & Cronaca

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Di Daniela Piesco Vice Direttore Radici

Esiste in Italia accanto ad una maggioranza ragionevole e saggia una fetta di irrazionalità. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. È solo uno dei dati che emerge dal 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese presentato il 3 dicembre scorso .

Il Censis( https://www.censis.it/rapporto-annuale) ha rilevato in una parte della popolazione una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste.Non esiste dunque ,in Italia come nel mondo,solo la paura del vaccino ma esiste soprattutto la voglia di rifugiarsi in fantasticherie improbabili ed assurde.In particolare :

Le teorie dell’ Italia irrazionale :

Ecco alcuni esempi dell’Italua irrazionale : esistono e sono diffuse le tecno-fobie ossia il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone; le teorie del negazionismo storico-scientifico: il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna.

Per non parlare della teoria cospirazionistica del “gran rimpiazzamento” che ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste.

L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia nelle posizioni scettiche individuali, sia nei movimenti di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze, e si appresta a ritagliare uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri e occupando le ribalte televisive.

Per il Censis, la fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali. Infatti, l’81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio. Il 35,5% è convinto che non conviene impegnarsi per laurearsi, conseguire master e specializzazioni, per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento.

Ma in particolare perché abbiamo paura dei vaccini?

Eppure i vaccini sono una delle conquiste più importanti della medicina e uno strumento fondamentale di tutela della salute pubblica. Ma allora come mai, nonostante le evidenze scientifiche, i vaccini continuano ad avere detrattori e molte persone ne hanno paura?

L’Organizzazione Mondiale della Salute (World Health Organization https://www.who.int/) è consapevole che si tratta di un tema che non riguarda solamente COVID-19, ma le vaccinazioni in generale. Infatti, tra le 10 principali minacce alla salute pubblica, figura proprio la diffidenza nei confronti delle vaccinazioni e, secondo alcuni recenti sondaggi effettuati in paesi europei, a dichiararsi diffidente è ben il 25% del campione preso in considerazione.

In questa esitazione nell’approcciarsi ai vaccini ci sono vari fattori determinanti. Uno è sicuramente rappresentato dalla paura di eventi avversi, per quanto siano molto rari. La reazione di fronte a un rischio dovrebbe essere il risultato di un calcolo razionale tra la possibilità che una cosa avvenga e la gravità di quell’avvenimento, ma questo calcolo non avviene sempre su base razionale, come ci insegna la diffusione preponderante della paura di volare rispetto alla paura di viaggiare in auto. Questo perché la sensazione di paura dipende molto dalla percezione di avere o meno controllo su una determinata cosa: sottoporsi a un vaccino, proprio come salire su un aereo, espone alla percezione di non avere il controllo su quello che succede.

Può capitare addirittura che a esprimere incertezza sulle vaccinazioni sia una persona che lavora con la sanità, a dimostrazione che questo tipo di paura nasce davvero da una parte irrazionale ed emotiva dell’essere umano. I dati messi a disposizione dell’organizzazione mondiale della salute evidenziano da questo punto di vista una maggiore presenza di fattori emotivi invece che socio culturali, per questo ne sono soggette anche persone che lavorano nella sanità.

E poi bisogna considerare anche altri fattori che concorrono a questa preoccupazione: la paura delle vaccinazioni, infatti è anche correlata alla fiducia o alla sfiducia nelle Istituzioni.

Tutta colpa della politica allora?

Sempre secondo il rapporto Censis l’Italia affronta la grande sfida della ripresa post-pandemia con una grave debolezza: la scarsità di risorse umane su cui fare leva. Il primo fattore critico è l’inverno demografico. Tra il 2015 e il 2020 si è verificata una contrazione del 16,8% delle nascite. Nel 2020 il numero di nati ogni 1.000 abitanti è sceso per la prima volta sotto la soglia dei 7 (6,8), il valore più basso di tutti i Paesi dell’Unione europea (media Ue: 9,1). La popolazione complessiva diminuisce anno dopo anno: 906.146 persone in meno tra il 2015 e il 2020. Secondo gli scenari di previsione, la popolazione attiva (15-64 anni), pari oggi al 63,8% del totale, scenderà al 60,9% nel 2030 e al 54,1% nel 2050. Secondo un’indagine del Censis, poco prima della pandemia il 33,1% dei capifamiglia con meno di 45 anni aveva l’intenzione di sposarsi o di convivere e il 29,8% aveva l’intenzione di fare un figlio. Ma soltanto il 26,5% ha continuato a progettare o ha effettivamente intrapreso un matrimonio o una convivenza stabile. In un caso su dieci il progetto originale è stato annullato. La grande maggioranza delle famiglie che stavano pensando di avere un figlio ha deciso di rinviare (55,3%) o di rinunciare definitivamente al progetto genitoriale (11,1%).

La percezione che i gangli del potere,in Italia, decisionale siano in mano alle fasce anziane della popolazione è molto forte tra i giovani: è quanto emerge da un’indagine del Censis. Il 74,1% dei giovani di 18-34 anni ritiene che ci siano troppi anziani a occupare posizioni di potere nell’economia, nella società e nei media, enfatizzando una opinione comunque ampiamente condivisa da tutta la popolazione (65,8%). Il 54,3% dei 18-34enni (a fronte del 32,8% della popolazione complessiva) ritiene che si spendano troppe risorse pubbliche per gli anziani, anziché per i giovani. La precarietà lavorativa sperimentata nei percorsi di vita individuali influenza il clima di fiducia verso lo Stato e le istituzioni. Il 58% della popolazione italiana tende a non fidarsi del governo, ma tra i giovani adulti la percentuale sale al 66%. I Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, costituiscono una eclatante fragilità sociale del nostro Paese. Tra tutti gli Stati europei, l’Italia presenta il dato più elevato, che negli anni continua a aumentare. Nel 2020 erano 2,7 milioni, pari al 29,3% del totale della classe di età 20-34 anni: +5,1% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno sono il 42,5%, quasi il doppio dei coetanei che vivono nelle regioni del Centro (24,9%) o nel Nord (19,9%).

Ma a questo punto qual è il modo migliore di rispondere all’incertezza e alla paura delle persone?

Si tratta di una questione che va pensata sia a livello istituzionale sia a livello privato. Il problema, infatti, si pone su un piano emotivo ed è lì, dunque, che va giocata la partita. Paradossalmente è necessario toccare la ‘pancia’ delle persone per smuovere la loro razionalità: non basta l’evidenza scientifica, bisogna costruire un dialogo per fare in modo che quella di fidarsi del vaccino sia una decisione autonoma delle persone.

Questo significa non limitarsi a elencare dati e temi tecnici, ma lavorare sulla fiducia. Un elemento fondamentale che si correla alla confidenza con il tema della vaccinazione, sotto questo aspetto, è la fiducia nei professionisti sanitari.

Solo una comunicazione calibrata e personalizzata sulla base della comprensione profonda dei motivi psicologici di esitanza può aiutare davvero le persone a sentirsi ascoltate e valorizzate come protagoniste nella lotta contro la pandemia in corso. E quindi sostenerne la motivazione alla vaccinazione.

Le conseguenze del diritto di scelta in Italia

Si parla tanto della libertà di scelta che in un sistema democratico come l’Italia dovrebbe essere garantito a tutti ,ma mi pare che essere liberi significhi anche e soprattutto non ledere la libertà altrui .

Difatti il cavallo di battaglia dei no-vax ,ossia il principio fondamentale al quale si appellano , è che non può essere messo in discussione il diritto di ogni singola persona di scegliere se vaccinarsi o meno.

Ma, numeri alla mano, è immediato mostrare che, nonostante i non vaccinati rappresentino solo il 14,6 per cento della popolazione con più di 12 anni, la loro scelta ha già oggi conseguenze per la tenuta del sistema sanitario. Conseguenze che plausibilmente sono destinate ad aggravarsi nel giro di poche settimane. In altre parole, il loro diritto a scegliere confligge – nei fatti, non in teoria – con il diritto di tutti ad avere un sistema sanitario funzionante.

I reparti di terapia intensiva sono la prima linea del sistema sanitario. Vi vengono ricoverati i pazienti che non potrebbero sopravvivere altrove, poiché le malattie acute di cui soffrono mettono a rischio la loro vita. Non sorprende che fin dall’inizio della crisi Covid-19 l’attenzione sia stata altissima soprattutto sulla tenuta di questi reparti, essenziali per la sopravvivenza delle persone colpite dal virus in forma acuta oltre che per quella delle persone affette da altre patologie.

Il diritto a scegliere liberamente invocato dai no-vax ha un prezzo: mette concretamente a rischio il diritto di tutti ad avere un sistema sanitario funzionante. In particolare, rischia di riaprire la crisi della prima linea del sistema sanitario, le terapie intensive: il nodo del sistema che fa la differenza tra vivere e morire.

Daniela Piesco Redazione Corriere Nazionale

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