Nazionale italiana: “Fiesta, que es fantastica fantastica esta fiesta”

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Foto: Avvenire

Nella notte di Londra sono le buone stelle a guidare la Nazionale italiana. E a proposito di stelle, Raffaella Carrà è volata via. E questo si sapeva. In pochi, però, sapevano che era legata alla Spagna da vincoli professionali e affettivi, e ieri, di concerto con la FIFA, durante il riscaldamento delle squadre, è stato diffuso attraverso gli altoparlanti, un suo successo canoro quasi a voler abbracciare le due nazioni a cui la soubrette era assai affezionata. E parafrasando Raffaella, si potrebbe dire che “Fiesta, que es fantastica fantastica esta fiesta” perché la nazionale italiana del demiurgo Mancini accede alla finale di domenica battendo la Spagna temibile di Luis Enrique per 5-3 dopo i calci di rigore facendo letteralmente esplodere le strade delle città, una vera e propria invasione di semplici cittadini rimasti troppo silenti nel corso di un anno e mezzo senza che potessero gioire negli stadi e per le strade, urla liberatorie da parte di chi aveva necessità ed esigenza di sfogarsi senza tante restrizioni. E come non capirli. Si è sciolta la tensione di un paese intero da nord a sud come in un unico grande stadio pieno di tifosi.

Il Tuca Tuca ha avuto la meglio sul Tiki Taka, sempre prendendo spunto dalla grande Carrà. Ma non è stato, però, un trionfo, anzi, è stata una sofferenza per quasi tutti i 120 minuti, una sofferenza dalla quale gli azzurri hanno messo il becco fuori con lo splendido gol di Federico “Barbarossa” Chiesa dopo circa un’ora di gioco, a cui ha risposto Morata sul finire del secondo tempo (80′). Poi una traversa e qualche opportunità senza tanta convinzione.

Sono quelle partite che se vinte rilasciano un retrogusto di liberazione. Un 25 aprile al sapor di calcio, insomma. E si, perché ieri, a voler essere onesti ed obiettivi, se c’era una squadra che avrebbe meritato la finale, questa era la Spagna di Luis Enrique per il suo gioco proposto, per le occasioni prodotte e sbagliate, anche – occorre ammettere – per bravura di Donnarumma, ed invece, come spesso capita nel calcio, a farla franca è stata l’avversaria, ovvero la nostra Nazionale, però ai rigori coi soliti patemi d’animo già visti, almeno per noi attempati, in altre circostanze dove gli infarti la fanno da padrone. Il cuore nei piedi di Chiesa, il coraggio tra le mani di Donnarumma.

L’Italia vista ieri non era esattamente quella di Mancini, quella intravista fino adesso, era, più banalmente, quel cliché solito italiano tanto criticato dai sofisti del calcio ma che, però, spesso risulta vincente, una nazionale chiusa in difesa, poco mobile, e supportata da una gran… fortuna (per non essere volgari) nella roulette russa dei rigori.

Alla fine, dunque, ha avuto la meglio l’Italia che prosegue il suo cammino nel campionato europeo senza sconfitte, anche se ieri, almeno nel gioco, ha fatto decisamente un passo indietro. Però, girando la medaglia, la squadra ha dimostrato di saper soffrire, correndo, tuttavia, qualche rischio di troppo, e di saper agire in contropiede, un déjà-vu insomma, per noi che, nonostante i vari CT transitati da decenni fin qui, ognuno dei quali aveva in mente tanti moduli personalizzati, abbiamo alla fine sempre visto trionfare il classico gioco all’italiana, ovvero difesa e contropiede, unico vero schema vincente da sempre. Del resto la Spagna ha sbagliato tanto in fase di conclusione e l’Italia ha retto in difesa, e quando le gare si mettono su questi binari e vince la squadra che si è difesa, lo fa con pieno merito. E’ la regola non scritta del calcio. Anche l’Italia ha avuto le sue occasioni, poche ma le ha avute. Si vince difendendosi e attaccando, mica solo attaccando.

Tuttavia, è appena il caso di dire, non si arriva in finale di un qualunque campionato a nazioni per puro caso, qualche motivazione e qualche merito ci saranno. E’ arrivata in finale la squadra che ha saputo reggere alla meglio le pressioni avversarie colpendo ogni qual volta ne ha avuto le possibilità, spietatamente sia coi centrocampisti che con gli attaccanti nonostante un Immobile apparso, nonostante il suo indubbio impegno, un po’ fuori contesto.

Insomma, volete mettere vincere una gara all’ultimo rigore, all’ultimo sussulto, all’ultimo brivido, dopo una gara giocata prevalentemente sulla difensiva? Vincere così dà più gusto senza dubbio.

E comunque, al di là dei meriti presunti della Spagna, si son viste in campo due signore squadre di alto livello, ognuna ha dato il massimo, una gara dall’alto tasso di intensità agonistica, due caterpillar l’una di fronte all’altra che non si sono risparmiate affatto. La Spagna per vincere, l’Italia nel difendersi. Due tipologie tattiche diverse che alla fine hanno premiato gli azzurri.

Del resto lo ha ammesso pure Enrique, da autentico Signore del calcio, il quale non ha pianto, né recriminato come spesso si tende a fare dopo una sconfitta (peraltro assai cocente come questa), anzi, complimentandosi con l’Italia per la quale tiferà in finale. E per chi se no? Il dolore straziante, per una terribile tragedia familiare, non lo ha piegato, e infatti ha portato a Wembley un fior di squadra che ha meritato ampiamente l’onore delle ami.

La difesa, certo, ha ballato parecchio, Chiellini, spesso, è andato in sofferenza, così Bonucci, soprattutto in occasione del pareggio di Morata che, forse, andava fermato prima che entrasse in area di rigore, ma non con Barella che lo ha seguito, non doveva esserci lui dietro Morata, ma i difensori. Abbiamo visto, invece, un ottimo Di Lorenzo che si è disimpegnato alla grande erigendo una vera e propria barriera dalle sua parti proprio quando si ballava altrove, non così Emerson.

A centrocampo, invece, si sono viste molte lacune: parecchi passaggi sbagliati, poco filtro e altrettanto poca costruzione di gioco nonostante i cambi altrettanto inefficaci.

L’attacco è risultato spuntato con Insigne che ha fatto un passo indietro rispetto col Belgio, Immobile, come abbiamo scritto, un po’ fuori contesto ed il solo Chiesa è stato a dare sprint. Certo, forse sarebbe stato il caso di far iniziare la gara con Berardi per poi sferrare l’attacco finale con il veloce Chiesa negli ultimi 20 minuti, sfruttando la stanchezza degli spagnoli reduci da ben due tempi supplementari, ed invece Mancini ha preferito mandare in campo lo juventino. E, comunque, ha avuto ragione perché alla fine sono i risultati a parlare. Vittoria dedicata a Spinazzola.

Poi i rigori che da sempre sono sinonimo di cardiopalma, con lo sconfortante errore di Locatelli, quello di uno straordinario Dani Olmo, una vera e propria ira di Dio in campo, poi l’errore di Morata, ovvero da colui il quale ci si aspettava il gol senza tanti giri di parole come per Baggio, quindi la parata determinante di un monumentale Donnarumma e poi l’apoteosi, alla Grosso, con Jorginho.

Alla fine, comunque, ha prevalso il gruppo che si è dimostrato coeso e caparbio nel voler vincere a tutti i costi pur soffrendo.

Ora Inghilterra o Danimarca? I pronostici, ovviamente, sono tutti per i sudditi della Regina Elisabetta, e giocare in casa a Wembley, sicuramente, non sarà d’aiuto ai Mancini’ boys. Però questa nazionale ha dimostrato che occorre fare i conti con essa, nulla è precluso. Nemmeno la vittoria finale. E poi, in effetti, volete mettere vincere in casa loro davanti ai principi ereditari? Sicuramente ci sarebbe più gusto. E se l’Italia ha vinto con fortuna (è evidente), occorre dire che la fortuna non cade dal cielo, va cercata. Audantes fortuna iuvat. O, se preferite, “la fortuna non esiste. Esiste il momento in cui talento incontra l’occasione”, scriveva Cartesio.

 

Massimo Longo

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