Netflix: trimestrale con vista sulla pubblicità in streaming

Economia & Finanza

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Dopo un avvio di 2022 disastroso, molto ruota attorno a una parola finora indigesta alle grandi piattaforme: pubblicità.

di Paolo Fiore

Netflix

 

AGI – Utenti, fatturato, margini. Sì, ma questa volta nella trimestrale che Netflix pubblica il 19 luglio potrebbe esserci anche di più: indizi sul futuro della società e, in generale, sul mercato dello streaming. Dopo un avvio di 2022 disastroso, infatti, molto ruota attorno a una parola finora indigesta alle grandi piattaforme: pubblicità.

Nel primo trimestre 2022, Netflix ha registrato un calo di 200mila abbonati. È stato il primo passo indietro dopo dieci anni di progressi. Nessuna inversione in vista: Netflix ha già previsto che dovrebbe perdere altri 2 milioni di abbonati e affermato che “nel breve termine” il fatturato “non sta crescendo alla velocità sperata”. Nella lettera agli azionisti dello scorso aprile, la società aveva indicato alcuni “fattori” responsabili del rallentamento. Sono, a tre mesi di distanza, le sfide cui Netflix è chiamata a rispondere.

Condivisione

C’è un problema di condivisione: ci sono troppi utenti che usano lo stesso abbonamento. La quota degli account condivisi, afferma Netflix, è rimasta stabile nel tempo. Ma adesso è diventata un problema. I profili condivisi sono sempre stati tollerati – anche quando usati impropriamente – perché “hanno aiutato ad alimentare la crescita”. È stata, in un certo senso, una forma (costosa) di promozione. Oggi mi attacco all’account di mio cugino, vedo che mi piace, domani lo faccio da me. La tattica funziona solo se la crescita è continua. Ma in un mercato saturo, il giochino si rompe. Bloccare le condivisioni non sarebbe né fattibile né profittevole: Netflix sta cercando allora di monetizzarle. Come? Offrendo diversi tipi di abbonamenti, con costi più alti per gli account condivisi. Si tratta però di un percorso – ha ammesso la compagnia – che non produrrà effetti immediati.

Concorrenza: gli utenti

L’altro grande fattore è la competizione. Secondo un’analisi di JustWatch, negli Stati Uniti la quota di mercato di Netflix è scesa al 21%. È ormai a un’incollatura Amazon Prime Video (20%), che però beneficia del traino delle consegne gratuite. Più indietro HBO Max (15%), Disney+ (14%), Hulu (10%) ed Apple TV+ (6%). Sempre secondo JustWatch, la quota di Netflix in Italia è del 28%, simile a quella di Prime Video e quasi doppia rispetto a Disney+.

Secondo un’analisi di Antenna, gli abbonamenti dei servizi on demand statunitensi sono cresciuti del 24,7% in un anno. E se gli abbonamenti complessivi lievitano mentre quelli di Netflix calano, vuol dire che il pubblico si sta ridistribuendo. È fisiologico quindi che il leader di mercato perda utenti a vantaggio degli altri. Disney+ cresce a un ritmo rapido: secondo gli ultimi dati ufficiali (di aprile), ha 137 milioni di abbonati, il 33% in più anno su anno. Non ci sono invece informazioni precise su Apple Tv+, che dovrebbe però avere tra i 20 e i 40 milioni di abbonati.

Attenzione, però: ci sono anche altre spigolature: secondo un’analisi di Kantar sul mercato britannico, nei primi sei mesi del 2022 le piattaforme avrebbero registrato più di 3 milioni di cancellazioni. Tra inflazione e incertezze, quando si tratta di risparmiare si taglia lo streaming. Oppure si disdice un abbonamento per sottoscriverne un altro, magari sfruttando le offerte per i nuovi arrivati. Il pubblico sta quindi diventando sempre meno fedele.

Concorrenza allargata: il tempo

Le quote di mercato in termini di utenti sono importanti, ma non sono tutto. La stessa Netflix utilizza un’altra metrica: il tempo speso davanti al televisore, rilevato da Nielsen. Negli Stati Uniti, ogni cento ore passate guardando la tv, 6,4 sono dedicate a Netflix e 5,7 a Youtube. Prime Video si ferma a 2,3 e Disney+ a 1,7. In generale, a febbraio 2022, le piattaforme di streaming si sono conquistate il 28,6% del tempo, in crescita rispetto al 26% del maggio 2021.

Osservando il mercato da questa prospettiva, la leadership di Netflix sembra ancora solida. Se però a dove essere conquistato non è (solo) l’utente ma il suo tempo, il perimetro si allarga. E così, ad esempio, Youtube diventa un concorrente molto più pericoloso rispetto ad Apple Tv+.

Che cosa serve a Netflix (e allo streaming)

In sintesi: c’è bisogno di monetizzare gli account condivisi, offrendo abbonamento diversificati; è necessario incassare anche da fasce economiche più basse; è fondamentale saper navigare in un mercato aperto, in cui chiunque occupi la tv è un concorrente; è vitale attingere anche da un altro bacino finanziario, perché il settore si sta saturando ed è iper-competitivo.

La pubblicità non sarà la soluzione a tutto questo, ma è un tassello che Netflix reputa fondamentale per rispondere a queste esigenze. La società ha stretto una partnership con Microsoft e dovrebbe lanciare nuovi abbonamenti a basso costo per chi sia disposto a interrompere film e serie tv con degli spot.

Abbassare il prezzo potrebbe attirare nuovi utenti e scoraggiare le condivisioni (con ritocchi al rialzo per account premium). Gli abbonamenti con la pubblicità potrebbero anche essere un ariete nei mercati in via di sviluppo (come l’Asia e l’America Latina), meno saturi e con più elevato potenziale di crescita.

Il ceo Reed Hastings ha sempre detto di essere contrario alla pubblicità. Ma i tempi sono cambiati: “Ha senso consentire ai consumatori che vorrebbero un prezzo più basso e sono tolleranti alla pubblicità di ottenere ciò che vogliono”, ha affermato. Ha senso anche per Netflix. Servirà tempo. Nella conferenza post-trimestrale di aprile, Hastings ha stimato che saranno necessari “un paio d’anni” prima che gli abbonamenti con la pubblicità inizino a essere significativi per il bilancio.

Di sicuro la pubblicità è un punto di non ritorno. Una volta abituati a prezzi ridotti grazie agli spot, gli utenti non accetterebbero un ritorno all’antico. Ecco perché in questa trimestrale le parole potrebbero essere più importanti dei numeri: potrebbero anticipare un cambiamento strutturale per Netflix. E, sulla sua scia, per l’intero mercato dello streaming.

 

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