Perché non si parla abbastanza dei referendum sulla giustizia di giugno

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È l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, a denunciare all’AGI il “silenzio” informativo sulla chiamata alle urne dei quesiti programmati nell’election day del 12 giugno:

“Il sistema dell’informazione sin qui non ha fatto abbastanza ma parlerei di una certa approssimazione dalla parte della politica”

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Fabio Sasso / AGF – voto, referendum

AGI – “Se ne parla davvero poco, meglio non se ne parla proprio anche perché sono stati ‘fatti fuori’ i tre quesiti più popolari, quelli su fine vita, cannabis e responsabilità civile dei magistrati che avrebbero portato la gente a votare. Realisticamente mi pare davvero difficile che a spingere alle urne sia la voglia di pronunciarsi sull’abrogazione del decreto Severino o sulla riforma del Csm”. L’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, denuncia all’AGI il “silenzio” informativo sui referendum sulla giustizia programmati nell’election day del 12 giugno.

“Non credo che dietro ci sia un ‘disegno’ – spiega Caiazza – le ragioni sono complesse: sicuramente il sistema dell’informazione sin qui non ha fatto abbastanza, e mi riferisco naturalmente in primis al servizio pubblico e radiotelevisivo, che ha il dovere di comunicare su certi temi. Ma non aiuta, anzi, nemmeno il modo in cui sono stati concepiti i quesiti: a noi, ad esempio, nessuno ha chiesto niente laddove invece avremmo potuto dare suggerimenti utili. Parlerei di una certa approssimazione dalla parte della politica”.

“Noi – conclude il presidente dei penalisti – abbiamo dato indicazioni per il sì e speriamo nel raggiungimento del quorum, ma ripeto che la decisione della Consulta di bocciare i quesiti più popolari alla fine rischia di avere conseguenze”.

Quello indetto dall’Anm per lunedì prossimo “è uno sciopero corporativo: in sostanza, la magistratura non accetta l’idea che si metta mano alla sua organizzazione ordinamentale senza che le norme vengano scritte e dettate dalla magistratura stessa”, spiega ancora Caiazza. “Le toghe sono in buona fede, intendiamoci, ma in nome di un malinteso senso di autonomia e indipendenza non vogliono che il Parlamento faccia il suo lavoro, non concepiscono che a decidere in materia di giustizia siano quanti sono deputati istituzionalmente a farlo”.

Per il presidente dei penalisti, anche la riforma Cartabia è “blanda” e “lacunosa” ma ha il merito di “provare a sciogliere nodi importanti, diversi dalla riforma del sistema elettorale del Csm che di per sé non cambia niente.

I temi chiave sono due: primo, la responsabilità professionale dei giudici. Il fatto che abbia un minimo di ricadute sulle loro carriere è una cosa di una banalità assoluta eppure fa impazzire le toghe: anche perchè ad oggi le verifiche previste si sono rivelate finte e di fatto si progredisce automaticamente. Secondo, i magistrati fuori ruolo, distaccati preso l’esecutivo. Il solo pensiero che si possano introdurre dei paletti effettivi li destabilizza, e non è un caso che non ne parlino proprio”.

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