Poco e costoso, cosa sta succedendo all’alluminio

Economia & Finanza

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È il metallo del futuro, ma se ne produce sempre meno e a prezzi proibitivi. Abbiamo intervistato il segretario generale della federazione europea del settore sui costi dell’energia e sui dazi all’import.

© Agf – Alluminio

AGI – L’alluminio tocca il suo massimo dal 2008. Mai così alto negli ultimi 14 anni, il prezzo del metallo leggero ha raggiunto i 3.236 dollari la tonnellata, con un rialzo del 3,3% e si avvicina al suo massimo storico, sopra 3.380 dollari.

E a fronte di un prezzo che cresce rapidamente, continua a diminuire la sua produzione, anche in seguito alla chiusura di molte fonderie, e questo accade soprattutto in Europa, dove il costo dell’energia per molti produttori è ormai insostenibile. Un problema serio che si ripercuote anche sull’industria a valle.

Ma a zavorrare una delle industrie che oggi appare fra le più strategiche per la transizione ecologica, non è solo l’aumento del costo dell’energia elettrica che sta colpendo tutta l’industria manifatturiera dell’Ue, come ci spiega Mario Conserva, segretario generale di Face, la federazione europea che rappresenta l’industria dell’alluminio del downstream.

alluminio poca produzione alti costi
© Agf

Alluminio

A gravare sul settore sono anche i dazi all’import di alluminio grezzo, problema di vecchia data che pesa sulle spalle delle industrie di trasformazione e di impiego a valle dell’alluminio, cui ora si potrebbe aggiungere anche il costo del Cbam, la carbon tax europea. Insomma, pare ci siano tutti gli elementi per una tempesta perfetta.

L’aumento dell’energia tocca sicuramente anche l’alluminio, materiale che come altri metalli, richiede molta energia elettrica per la sua produzione…

Certamente, ma una precisazione è d’obbligo: se, infatti, è vero che la produzione di alluminio primario dal minerale – secondo il percorso industriale da bauxite, ad allumina e poi ad alluminio primario – richiede in media tra 12 e 14 MWh per tonnellata, il metallo leggero e le sue leghe sono in realtà energeticamente virtuosi. Parliamo infatti di un materiale assolutamente recuperabile e riciclabile pressoché indefinitamente al termine del ciclo di impiego, con un fabbisogno energetico del solo 5% rispetto alla produzione primaria. In sostanza l’alluminio ha bisogno di energia per essere prodotto, ma poi la mantiene senza perdere di caratteristiche o proprietà: oggi si reimpiega tranquillamente alluminio prodotto come metallo puro decine e decine di anni fa. In altri termini l’alluminio non mangia energia ma ne è in realtà una vera e propria banca, grazie al riciclo del materiale che funziona benissimo, specialmente in Italia e in Europa, tanto è vero che oggi il metallo proveniente dal riciclo copre oltre il 30% del fabbisogno globale. Detto questo i costi produttivi del metallo primario restano un problema serio e datato, nello specifico gli elevato costi energetici hanno portato via via alla progressiva chiusura di molti smelter, i grandi stabilimenti per la produzione dell’alluminio primario per via elettrolitica.

Possiamo dire che il problema legato all’aumento dei costi energetici per l’alluminio si inserisce in un processo più lungo che va avanti da decenni e ci ha condotto alla situazione attuale: meno impianti, minor produzione?

Guardando ai tempi più recenti, dal 2000 a oggi, nell’Ue la produzione di alluminio primario è diminuita di oltre il 30%, da quasi 3 milioni di tonnellate nel 2000 a circa 2 milioni nel 2020, mentre il numero degli smelter operativi è passato da 33 a 13, in Italia da una quindicina di anni siamo a quota zero.

Una caduta libera…

Il risultato di questo declino è che oggi in Unione Europea produciamo solo il 25% dell’alluminio primario necessario alla nostra industria delle trasformazioni e lavorazioni a valle. E non basta: ancora nel 2021 diverse compagnie produttrici di primario hanno annunciato chiusure o tagli alla produzione, perché lo straordinario aumento dei costi energetici ha portato la redditività della produzione in rosso. Evidentemente, la forte crescita della domanda di alluminio e il conseguente aumento delle quotazioni di borsa, non hanno reso la situazione accettabile per molti stabilimenti.

Perché questo accade?

Il motivo principale delle difficoltà economiche degli impianti di primario dell’UE e della chiusura forzata di alcune produzioni è naturalmente il prezzo estremamente elevato dell’energia in Europa. Secondo recenti stime, dall’inizio del 2020 i prezzi dell’elettricità in Europa sono quadruplicati, superando i 200 euro/MWh, tanto che per un produttore di alluminio che utilizza ad esempio 14,5 MWh per tonnellata di alluminio prodotta, i costi dell’energia elettrica sono passati da 580 euro a tonnellata a oltre 2.000 euro a tonnellata.

alluminio poca produzione alti costi
© Agf

Alluminio

Siamo davanti a una situazione paradossale: l’alluminio sarà un materiale sempre più usato nel prossimo futuro, ma oggi si assiste alla scomparsa delle produzioni di metallo primario. Come spiega questa contraddizione?

È chiaramente un caso complesso e con tante sfaccettature: l’alluminio si è imposto ovunque come materiale indispensabile per tantissimi usi e avrà un ruolo centrale nella transizione verde. Per la sua riciclabilità e per la sua ecosostenibilità è al centro del Green Deal della Commissione europea e la sua domanda aumenta ovunque, anche in Italia, un paese già molto avanzato e pioniere per l’utilizzo dell’alluminio. Da noi, infatti, la crescita del suo utilizzo è aumentata da poco più di 1 milione di tonnellate tra primario e secondario nel 1992 a oltre 2,2 milioni di tonnellate lo scorso anno. L’Italia è un ottimo esempio di come cresce il fabbisogno di materia prima di alluminio per le prime trasformazioni, come estrusione, laminazione, fonderia e pressocolata getti, per alimentare a sua volta un manifatturiero a valle. Al tempo stesso, però, in Europa la produzione del grezzo primario, la materia prima essenziale, denuncia severe difficoltà per lo più a causa dell’aumento straordinario della bolletta energetica. Grandi prospettive quindi per il metallo leggero, ma per il vecchio continente dobbiamo fare i conti con la realtà: l’alluminio può essere un elemento chiave anche per la rivoluzione verde, ma è essenziale che i decisori europei predispongano gli opportuni strumenti di politica commerciale per agevolare la diffusione di alluminio e in particolare di metallo green.

Da quanto tempo va avanti questa situazione e cosa ha contribuito a inasprirla?

Sicuramente quello che sta accadendo adesso all’industria dell’alluminio, nell’ottica dell’industria manifatturiera italiana e del contesto europeo in cui siamo inseriti, è l’acutizzazione di un problema di vecchia data: cresce la domanda globale di alluminio, c’è un’industria a valle trasformatrice e utilizzatrice di pezzi, componenti e prodotti finiti, solida e competitiva sui mercati mondiali, manca però la materia prima perché i costi di energia domestica non consentono una produzione profittevole, gli smelter in Europa chiudono ed emigrano laddove l’energia costa meno.

I passi avanti in termini di riciclo non aiutano in questo senso?

Ben vengano i passi avanti fatti in Italia e in Europa nel recupero e nel riciclo, ma questa pratica virtuosa non è sufficiente a coprire il fabbisogno, né mai potrà esserlo. Occorre cercare alternative di approvvigionamento di alluminio primario valide, affidabili ed alle migliori condizioni di competitività rispetto al mercato globale. Ed è esattamente il contrario di quello che da anni stanno facendo le istituzioni dell’UE mantenendo un assurdo dazio all’importazione di alluminio grezzo in Europa, un costo anticompetitivo di oltre un miliardo di euro all’anno, sostenuto dagli utilizzatori negli ultimi 20 anni per poter avere la materia prima che ci manca e che ci serve al nostro sistema industriale, un onere che è già molto importante e  che sicuramente sarà destinato a crescere in futuro per il balzo in avanti della quotazione in borsa e dei premi. Questo dazio sulla materia prima grezza è una barriera artificiale che fa molto male all’industria europea.  Per evitare equivoci riteniamo, invece, indispensabile mantenere i dazi all’import in UE delle produzioni a valle della filiera (semilavorati laminati ed estrusi, getti di fonderia e parti e componenti). I dazi devono essere una misura intelligente, usati e applicati come protezione laddove servono e possono funzionare.

Quali sono le strategie per l’industria dell’alluminio in Unione Europea affinché possa uscire da questo impasse?

Il problema di fondo è quello dei costi energetici: è difficile pensare a soluzioni veloci per avere oggi e subito energia a condizioni competitive, quindi non sembrano sussistere condizioni necessarie per ricostruire una sufficiente struttura di produzioni di alluminio primario in UE. Come ho già detto, ottime le attività di recupero e riciclo per supplire alla domanda, ma l’efficacia è limitata nei fatti. La domanda di alluminio aumenta e di pari passo serve sempre più primario per soddisfarla. Guardiamo in faccia la realtà e impegniamoci a fare il massimo possibile per eliminare le situazioni di dannosa anti competitività: togliamo i dazi all’import  della materia prima, l’ alluminio grezzo, una misura che costituisce tra l’altro un naturale disincentivo al flusso di alluminio primario da parte dei produttori mondiali verso l’Europa. Un problema apparentemente semplicissimo da risolvere che, complice anche la colpevole disattenzione dei decisori, da troppo tempo frena lo sviluppo dell’intero downstream dell’alluminio in Europa. E recentemente al costo dei dazi, si uniscono anche i costi della decarbonizzazione inseriti nel progetto di proposta europea noto come Cbam – Carbon Border Adjustment Mechanism.

Il settore dell’alluminio come valuta il Cbam: una buona proposta o un ostacolo?

Così come è oggi articolata, la proposta della Commissione Europea per il Cbam sembra ignorare il fatto che la nostra industria è costituita da numerosi sottosettori distinti, dalla produzione del metallo grezzo a chi lo trasforma in semilavorati, passando poi a chi li lavora, li tratta, li assembla in parti e componenti, sino agli utenti finali.  Nella formulazione attuale, la proposta non aiuta la decarbonizzazione e soprattutto va a danneggiare gran parte della filiera. Secondo una nostra stima, la proposta così com’è, unita al dazio vigente sull’import di alluminio grezzo (un’assoluta necessità per l’UE perché ci manca il 75% di fabbisogno di alluminio primario), causeranno alle aziende del downstream un sovracosto stimato intorno a 7 miliardi di euro all’anno.

Cosa proponete, dunque?

Siamo del tutto favorevoli al concetto e agli obiettivi del CBAM, ma è necessario rivedere il modo in cui è stata pensata la proposta. Una misura del genere potrebbe essere accettabile a condizione che si applichi ai semilavorati o ai prodotti finiti a valle nel pieno rispetto delle norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Così facendo si includerebbero solo i prodotti a valle soggetti al sistema di compensazione dei costi ETS effettivi e la copertura delle emissioni indirette, ovvero la cattura dell’impronta effettiva dei gas a effetto serra. Una volta revisionato il CBAM e sospesi i dazi UE all’importazione dell’alluminio primario, una altrettanto valida scelta per migliorare la competitività della filiera potrebbe essere l’assegnazione gratuita di quote a compensazioni dei costi energetici indiretti.

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