Tra la memoria dell’umanesimo nel viaggio di Luigi Maria Lombardi Satriani

Arte, Cultura & Società

Di

di Pierfranco Bruni

 

Non credo che ancora si debba o possa discutere di folclore come strumento culturale di contestazione. Il folclore è dentro i modelli di tradizione che recuperano il senso della memoria e la memoria stessa come tradizione. In “Il ponte di San Giacomo” scritto da Luigi Maria Lombardi Satriani con Mariano Meligrana resta un discorso aperto sul mondo della vita e della morte. Una antropologia del tempo dell’esistenza e della memoria del finito e dell’immaginario.

Luigi Lombardi Satriani è stato un personaggio chiave non solo nel contesto antropologico ma nella cultura più complessiva e articolata, più pensata della metà del Novecento. Ha trattato gli argomenti riferiti all’antropologia attraverso una manifestazione in cui il senso della cultura era un bene, ovvero il “bene culturale” inteso come conoscenza, non solo del territorio in sé, ma di quella cultura popolare che ha le radici profonde in una dialettica divenuta scavo nelle tradizioni.

Il concetto di tradizione, in Lombardi Satriani, è stato sempre riferimento all’interno di una visione in cui l’anthropos è diventato l’ethnos e l’ethnos ha messo insieme quelle radici primitive che hanno creato il rapporto tra popolo e civiltà.

È stato il padre dell’antropologia moderna caratterizzata da quegli elementi che sono diventati forza trainante per capire l’identità e il senso di eredità delle civiltà. Conoscere le radici di un popolo, di una civiltà, di una identità significa, nella visione antropologica, conoscere l’uomo. La centralità dell’uomo tra riti e miti, tra usi e costumi, tra lingue e dialetti, tra tessuti territoriali e musicalità del vocabolario linguistico, è dentro questo percorso in cui l’antropologia culturale significa anche la cultura ereditata e trasmessa.

Su questo binomio “eredità e trasmissione” si basa la conoscenza di un dato significativo e significante dei suoi studi, della sua ricerca sul campo e soprattutto di quella consapevolezza mediante la quale la valorizzazione si lega alla tutela e alla fruibilità del bene culturale. Ma l’antropologia non è solo un bene culturale statico. È un bene culturale “parlante”. Ecco perché usiamo termini quali demo-etnoantropologia, demo-logia, demo-archeoantropologia. Concetti che contengono all’interno del proprio frasario una polifonia di simboli, di archetipi, di segni.

L’antropologia è quella disciplina immateriale che incontra l’archeologia, disciplina materiale. Oggi non è possibile pensare all’archeologia senza penetrare il tessuto antropologico. Lo scavo archeologico necessita dell’antropologo. Studiare uno scavo o i resti di una tomba significa capire il modello dell’evoluzione, non solo dell’humus del terreno, ma soprattutto del rapporto tra uomo e radici. I frammenti archeologici sono ricostruiti da una chiave di lettura in cui l’uomo diventa centrale.

È questo il viaggio antropologico di Lombardi Satriani che passa attraverso diversi modelli: da quello gramsciano a quello attraversato da Ernesto De Martino a Carlo Levi in “Tutto il miele è finito”, “Le parole sono pietre” oltre alla visione lucana del “Cristo si è fermato ad Eboli”. Lombardi Satriani ha studiato attentamente Levi sia dal punto di vista letterario che dell’ethnos ponendo insieme anche il vissuto della Sicilia, l’abitato della Sardegna, il confinamento in Lucania.

Elementi in cui Levi e Lombardi Satriani diventano interpreti di un processo culturale vero e proprio. Qui nasce l’asse significativo di una antropologia che va da Lévi-Strauss a Eliade, nella sua religiosità, a una dimensione che potrebbe essere letta politicamente su un percorso gramsciano.

La formazione di Lombardi Satriani è quella gramsciana, ma non basta allo studioso servirsi e scavare nella dimensione gramsciana del concetto di popolo e di cultura. Bisogna andare oltre, sosteneva sempre Lombardi Satriani nei nostri incontri. “Andare oltre” vuol dire anche verificare la materialità anche del pensiero. Se quel pensiero è immateriale e nasce da una forma materiale. I suoi studi, quasi in incipit, sono stati elementi di una riscoperta della cultura arbëreshë, italo albanese (era nato, infatti, a Briatico, in Calabria, il 10 dicembre 1936 e morto a Roma il 30 maggio 2022).

Questa visione di etnia, logos e anthropos è diventata un intreccio in cui le comunità, le civiltà, i popoli, il territorio sono leggibili sia come dimensione culturale, letteraria, storica e filologica, ma anche come una questione sempre aperta che si inserisce nella necessità di capire le radici di un popolo. Quelle radici identitarie che fanno di quel popolo l’empatia tra la storia e la memoria. È questo il dato concreto. Creare un’empatia tra la storia e la memoria.

Tra i suoi testi vorrei ricordare: Il folklore come cultura di contestazione, 1966, Antropologia culturale e analisi della cultura subalterna, 1968, Santi, streghe e diavoli. Il patrimonio delle tradizioni popolari nella società meridionale e in Sardegna,1971, Folklore e profitto. Tecniche di distruzione di una cultura,1973, Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud, 1974, Il silenzio, la memoria e lo sguardo,1983, Un villaggio nella memoria,1984, Diritto egemone diritto popolare. La Calabria negli studi di demologia giuridica,1995.

Una lezione di vita, quella di Lombardi Satriani. Non solo una lezione accademica, scientifica e prettamente antropologica, ma una vera e propria lezione di vita. Perché nell’antropologia in incipit nasce la vita e raccontare la vita ha sempre significato dare un segno alle origini dei popoli.

Ho incontrato diverse volte Lombardi Satriani. Siamo stati insieme al Premio Scanno nell’ambito delle attività antropologiche. Giornate contraddistinte da discussioni vaste, eterogeneità e dal confronto in cui la dialettica, pur io provenendo da un’altra formazione, ha incontrato la sua lezione di vita. Mettere insieme formazione eterogenee significa capire e capirsi, perché l’uomo ha la sua consistenza solo nel momento in cui riesce a comprendersi, a capirsi, a dirsi e a darsi.

Numerose sono le sue relazioni all’interno di un parametro singolare tra visione onirica e ritualità. Lo studio dei riti e dei miti è dentro questa dimensione che fa di una cultura una cultura popolare, non elitaria. La lezione gramsciana diventa la religiosità della conoscenza delle civiltà. Dalla immaterialità del pensiero al pensiero meta-storico, dalla materialità dell’oggetto alla immaterialità della tradizione.

Le tradizioni si raccontano dentro questo viaggio che è un viaggio culturale, ma lasciato nella memoria diventa viaggio onirico. Legare la scientificità di un oggetto con la pedagogia del pensiero e con la metodologia di un percorso tutto identitario, è un dato fondamentale dal quale non si può e non si deve prescindere parlando del padre dell’antropologia moderna, ovvero di Luigi Maria Lombardi Satriani. L’antropologo. Il poeta. Infatti al 2015 risale: L’evasione dai sogni. Poesie, e due anni dopo esce Omnia vicit amor. Poetica dell’Amore. Ma il poeta era già dentro l’antropologo. L’antropologo che ha sempre amato la poesia. Il poeta della conoscenza della memoria antropologica.

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